Morse …per amore
«Ti tic tic … ti ti ti … ti tic ti ….»
«What have God Wrought?», «Che cosa ha creato il Signore?»
Questa è la famosa frase tratta dal Libro dei Numeri nell’Antico Testamento ed è il primo messaggio che l’umanità ha trasmesso a grande distanza grazie alla corrente elettrica.
Era il 24 maggio dell’anno 1844 e Samuel Morse inaugurava con questa frase biblica la prima linea telegrafica americana, circa 50 km di lunghezza tra Baltimora e Washington. Il 2 aprile scorso ricorrevano i centocinquantadue anni dalla morte di questo pioniere della comunicazione istantanea, una realtà talmente familiare per noi tutti ormai, da renderci difficile immaginare un mondo privo di questa possibilità.
E pensare che Samuel Morse non fu mai uno scienziato, bensì un abile pittore, egli era infatti un affermato ritrattista. Nel 1825 Morse dovette affrontare una tragedia personale: mentre si trovava a Washington per dipingere un ritratto di Lafayette (ancora oggi conservato), ricevette una lettera da un messaggero a cavallo che gli annunciava la malattia della propria amata consorte e, mentre si apprestava a partire, il giorno seguente ne ricevette un’altra che ne comunicava invece il decesso. Devastato dal dolore, il vedovo partì per l’Europa, un viaggio importante per la sua carriera di pittore. Soggiornò anche a Roma, dal 1830 al 31, presso il Palazzo Capilupi dove una targa ancora ne ricorda il soggiorno.
Fu nel viaggio di ritorno che dalla sua dolorosa lacerazione per non aver saputo in tempo della malattia della moglie cominciò a fiorire in un’idea geniale: utilizzare gli impulsi elettronici poter trasmettere le informazioni. Al fine di poterla quindi realizzare, Morse decise di contattare un esperto di elettromagnetismo. Il concetto era facile: accendendo e spegnendo l’interruttore, si poteva dare un impulso corto e uno lungo: “punto”e “linea”. Questo era il massimo consentito; ma proprio grazie a una combinazione di punti e linee, Morse compose i numeri decimali!
Fu il suo assistente Alfred Weil -con il quale poi nacquero aspri contenziosi- a suggerirgli di assegnare questo codice alle lettere: nasceva così l’Alfabeto Morse.
Nel 1837, l’ormai ex pittore produsse un proprio telegrafo, in concorrenza con quello britannico inventato da Cook e Wheatstone; in breve, il sistema si diffuse in tutti i continenti formando una fitta rete. Con il tempo, l’uso degli isolatori in vetro o in ceramica per il filo elettrico di rame (non più in ferro) e il sistema duplex consentirono di aumentare la lunghezza delle tratte.
Nacque anche una categoria di operatori telegrafisti specializzati, alcuni dei quali arrivavano a digitare con una cadenza di quasi 100 caratteri al minuto. Fu ampiamente dimostrato che il Morse, nella sua essenzialità, si prestava a una miriade di utilizzi e di mezzi diversi: pensiamo al tamburellare “to to to toon” – tre punti, una linea- della ”V” di victory di Radio Londra, con le trasmissioni degli alleati durante la Seconda Guerra Mondiale.
Non solo suono, ma anche luce, come nelle comunicazioni luminose navali, realizzate con lanterne, o appositi lampeggiatori; un sistema talmente utile che rimase lo standard per le comunicazioni marittime fino al 1999.
Forse la più straordinaria applicazione del Codice Morse si deve all’ammiraglio americano Jeremiah Denton il quale, caduto prigioniero dei nord vietnamiti, nel 1966 fu costretto a dichiarare davanti alle telecamere che i prigionieri U.S.A. venivano trattati bene. Mentre parlava, con rara capacità di concentrazione, sbattendo opportunamente le palpebre, inviò il messaggio: T-O-R-T-U-R-E.
In questo modo, il servizio segreto della U.S. Navy apprese che i suoi prigionieri americani venivano torturati. Insomma, non era un tic nervoso, ma un tic di tutt’altro genere!
E pensare che tutto questo era nato solo e soltanto … per amore!