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Il ritratto di Dorian Gray

La vita come opera d’arte, vissuta nel culto della bellezza estetica e del puro edonismo. 

Il ritratto di Dorian Gray è forse una delle storie più famose della letteratura. Un vero e proprio capolavoro, capace di perdurare nel tempo e di rivivere in centinaia di trasposizioni. L’opera con cui Oscar Wilde svela l’ipocrisia del mondo, dipingendone i peccati di ieri, oggi e domani. Un grande classico le cui vicende si intrecciano con la censura e la libertà di espressione, e che racchiude in sé un messaggio rivolto ad ognuno di noi.

Quando si parla de Il ritratto di Dorian Gray, si fa riferimento a una di quelle storie che tutti, bene o male, conoscono. Non è necessario aver letto il romanzo per essere al corrente della dannazione di Dorian Gray. Nel tempo, infatti, la storia è stata ripresa più e più volte, trasformata in film e rappresentazioni teatrali, e riadattata a seconda delle esigenze. In alcuni casi, addirittura stravolta. Del resto, Il ritratto di Dorian Gray è proprio questo: una storia che trascende il tempo e, a prescindere dall’epoca, raccontando degli aspetti pio sordidi della vita.

Sono passati ben 131 anni da quando Oscar Wilde lo pubblicava per la prima volta, eppure il romanzo rimane terribilmente attuale.

Sicuramente una buona parte di questo aspetto è dovuto allo stile dello scrittore. Oscar Wilde fu un visionario, capace di anticipare i tempi e proporre una scrittura moderna e impetuosa, che ci parla ancora oggi come se fosse appena stata pronunciata. L’altra parte, invece, è legata al contenuto. Perché Il ritratto di Dorian Gray arriva dove pochissimi altri romanzi sono riusciti: rivolgersi direttamente alla nostra anima. Lo stesso Oscar Wilde dichiarava:

«Ognuno vede il proprio peccato in Dorian Gray. Quale sia il suo, nessuno lo sa. Chi ci vede qualcosa, ce lo ha messo da sé».

Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde, noto come Oscar Wilde (Dublino, 16 ottobre 1854 – Parigi, 30 novembre 1900), scrittore, aforista, poeta, drammaturgo, giornalista, saggista, e critico letterario

In questa frase è racchiuso tutto il suo successo: il romanzo prescinde dalla trama e dalle vicende, e ci sussurra all’orecchio rendendoci protagonisti. L’immedesimazione raggiunge livelli mai toccati prima, trasportandoci dentro una storia che è la nostra vita. E, soprattutto, mettendoci di fronte a domande che altrimenti non ci saremmo mai posti. Un concetto che fu alla base della produzione letteraria di Oscar Wilde e  che egli portò avanti fino alle estreme conseguenze nel suo capolavoro assoluto, pubblicato sul numero di giugno di Lippincott’s Monthly Magazine, mensile di letteratura molto diffuso in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America: era il 20 giugno 1890.

Fu il direttore della rivista, J.M.Stoddart, a chiedere allo scrittore irlandese di scrivere un racconto sensazionale per la rivista, da pubblicare insieme a quello di un altro autore emergente, un certo Arthur Conan Doyle, padre del celebre investigatore Sherlock Holmes.

La vicenda è ambientata a Londra nel XIX secolo:  tutto ha inizio con un quadro. Dorian Gray, un giovane di eccezionale bellezza, viene ritratto dall’amico pittore Basil Hallward in un quadro di straordinaria somiglianza. Affascinato dal cinico lord Henry Wotton, Dorian si lascia andare a una vita di piaceri senza alcuno scrupolo morale facendo soffrire quanti lo amano. Abbandona la fidanzata Sybil, che morirà suicida, e incapace di accettarne il biasimo uccide lo stesso Basil. Nessuna traccia di tanta depravazione resta sul volto di Dorian. Per uno strano sortilegio il ritratto possiede la prerogativa di invecchiare al suo posto.  Il volto spaventoso del quadro, che Dorian va a scrutare di nascosto, diventa così un severo atto di accusa contro di lui, al punto che egli non riesce più a sopportarne la vista. In un momento di disperazione lo sfregia con un pugnale.

Ma colpire il ritratto, che racchiude in sé la sua anima, significa colpire se stesso e Dorian muore. Improvvisa avviene una doppia metamorfosi: il ritratto torna quello d’uno splendido giovane mentre sul volto di Dorian compaiono i segni della sua vita dissoluta.

Nella cultura di massa, Il ritratto di Dorian Gray è certamente passato alla storia come il racconto della tentazione del peccato e delle sue conseguenze. Negli anni la storia narrata da Oscar Wilde è stata più volte utilizzata come metafora della corruzione dell’animo umano, oltre che profondo insegnamento di vita.

Tutto questo non è avvenuto per caso. Pur lasciando intendere molto della vita dissoluta del protagonista, durante tutto il romanzo l’autore non esplicita mai il vero peccato che il giovane nasconde. Dalle pagine si scopre che Dorian bazzica in locali poco raccomandabili, fa uso di oppio e frequenta molte donne. Si racconta persino che molti dei suoi amici più stretti abbiano fatto immancabilmente una brutta fine. Leggendo il libro si intuisce che c’è qualcosa di più, nascosto tra le righe. Un qualcosa che ci si aspetta infine di scoprire una volta per tutte, come nel migliore dei romanzi di mistero. R Invece quel segreto, il vero peccato di Dorian Gray, non viene mai svelato.

Una scelta simile potrebbe sembrare deludente, quasi frustrante. Eppure è proprio questo il vero potere de Il ritratto di Dorian Gray. La sua ambiguità diventa terreno fertile per le congetture. Il vuoto narrativo lascia spazio all’immaginazione. Eppure, il romanzo è molto meno ambiguo di quanto non si possa pensare. Fu infatti pubblicato nel 1890, ovvero solo un anno dopo lo scandalodi Cleveland Street, che turbò l’intera Inghilterra. Fu infatti in quell’occasione che venne a galla un giro di prostituzione maschile che coinvolse anche un erede al trono. All’epoca, l’omosessualità era illegale, e il collegamento fu presto fatto: questo era il vero peccato di Dorian Gray.

Un aspetto nemmeno troppo velato. Nella sua versione originale, il romanzo è infatti pieno zeppo di evidenti circostanze amorose tra i tre amici Dorian Gray, Henry Watton e Basil Hallword. Pur non essendo del tutto esplicito, il romanzo fu considerato un affronto, finendo per creare non pochi problemi allo stesso Oscar Wilde.

Ma malgrado tutte le sue provocazioni, gli sberleffi e gli attacchi alla morale costituita, da questo libro trascende invece un forte impegno morale. Il finale, infatti, mostra il peccatore che, pentito delle sue azioni, attacca, a suo rischio e pericolo, la vera natura della sua oscura perfezione. Siamo, insomma, in pieno Romanticismo nero, dalle parti de L’uomo della sabbia (1815) di Hoffmann o di Scarpette rosse (1845) di Andersen, che lo scrittore irlandese aveva ben presenti. L’ossessione per la bellezza conduce all’abisso ma quel sentiero, scosceso e esaltante, è necessario percorrerlo fino in fondo.

L’attore Colìn Firth , interprete principale nel film tratto dal romanzo

Nel 1891 Wilde rimise mano all’opera, ampliandola di sei capitoli e portandola alla forma di romanzo, con cui la ripubblicò nell’estate dello stesso anno. Il ritratto di Dorian Gray fu considerato apertamente scandaloso, attirando su di sé diverse condanne. La critica fu così aspra che Wilde si sentì in dovere di pubblicare una prefazione alla seconda edizione, nella quale tentava di spiegare il suo punto di vista.

Negli anni successivi Wilde fu processato per omosessualità, e il romanzo fu passato a setaccio, alla ricerca di prove concrete nei suoi confronti. Non fu trovato nulla. Il genio di Oscar Wilde è tutto qui: Il ritratto di Dorian Gray è una sorta di messaggio criptato, un capolavoro di magia dell’autore, capace di celare la verità pur raccontandola apertamente.

Considerato tra i più grandi capolavori della letteratura inglese, già dai primi anni del XX secolo, il romanzo divenne fonte di ispirazione per opere teatrali e più tardi per adattamenti cinematografici e musicali. Tra i film più noti, tratti dal romanzo, c’è quello del 1945 diretto da Albert Lewin e interpretato da Angela Lansbury, che si meritò una candidatura all’Oscar come miglior attrice non protagonista.

«Le persone di cultura sono quelle che in una cosa bella trovano un bel significato. Per loro c’è speranza. Sono gli eletti per cui le cose belle non simboleggiano che la bellezza. Non esistono libri morali o immorali. Esistono libri scritti bene e libri scritti male. Nient’altro»

OSCAR WILDE

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Barbara Chiarini

Barbara Chiarini nasce a Firenze nel 1967. Laureata in Architettura con indirizzo storico-restauro e conservazione dei Beni Architettonici, si ritiene un architetto per professione, una scrittrice per passione, ed una fiorentina D.O.C. Autrice del libro “Per le Antiche Strade di Firenze”, “Una finestra affacciata dull’Arno” e “Su e Giù per le strade di Firenze”, ella è anche la fondatrice nonche’ uno degli Amministratori di questo Blog.

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MASIMILIANO PANCANI

Bellissimo spaccato di uno degli artisti più chiacchierati della storia ma la sua famisissima frase “Ognuno vede il proprio peccato in Dorian Gray. Quale sia il suo, nessuno lo sa. Chi ci vede qualcosa, ce lo ha messo da sé”, come scritto sapientemente da Barbara, ci mette a nudo ed ogniuno di noi sa la sua risposta….Bravissima Barbara

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