Aroma di caffé
Bianca e Renato si erano conosciuti per caso in un giorno di metà inverno.
Una giornata particolarmente gelida, quella del 29 febbraio 1937, Bianca se ne accorse uscendo dalla grande sartoria di via Roma, dove lavorava come tagliatrice.
La giovane si strinse nel cappotto rosso che le scendeva fino a metà polpaccio, ma non riuscì a tenere lontano il gelo nonostante l’indumento di lana; si incamminò spedita verso via De’ Cerretani da dove sarebbe partito il tram numero due nero Circolare Sinistra che l’avrebbe portata a pochi passi da casa. Preferiva, nelle giornate gelide come quella, passare dalla grande piazza del Duomo anziché avventurarsi per le viuzze strette e ventose di Firenze. Il maestoso palazzo Arcivescovile, rallentava le folate di vento gelido proveniente dalle campagne vicine e Bianca si sentiva protetta dalle grosse mura. La strada per la fermata del tram diventava più lunga, ma il cammino sarebbe stato allietato dalle eleganti vetrine della boutique degli orologi di Panerai, dalle tende della passamaneria e poi c’era la Caffetteria dell’angolo famosa per la bontà della sua pasticceria e per la ricercatezza delle bevande calde.
La Caffetteria aveva aperto i battenti quell’anno ed era diventata, da subito, un punto di ritrovo importante. L’arredamento interno era in pelle pregiata, i particolari eleganti rendevano l’ambiente lussuoso e accogliente. Ma la raffinatezza non era confinata agli arredi, la stessa attenzione e passione veniva utilizzata nella realizzazione di bevande speciali e di pasticceria prelibata. La bellezza della piazza del Duomo, del palazzo Arcivescovile e del Battistero infine, aveva contributo ad attirare i clienti più esigenti. Gli avventori apprezzavano la gentilezza del personale e raccontavano di una cioccolata servita calda con un cappello di panna montata da far risorgere i morti. Il locale era frequentato dagli uomini d’affari, uomini illustri e di Legge che usavano scambiare due chiacchiere davanti a qualcosa di caldo prima di affrontare il freddo delle aule del Tribunale e della Borsa.
Bianca non era di famiglia ricca, passava davanti alla Caffetteria con la speranza di captare il profumo del caffè esclusivo e delle creme che le piaceva tanto e che l’avvolgeva da capo a piedi.
Aspettare il tram guardando le sfarzose vetrine era un buon passatempo per Bianca, i pasticcini e le cioccolate le rallegravano l’attesa: sognava di entrare e ordinare un vassoio di dolcetti da portare a casa a Giulia, la signora che le faceva da mamma da quando aveva sei anni.
Era una promessa che Bianca aveva fatto a se stessa quando aveva scoperto la passione per i dolci della cara donna. Lei e i suoi due fratelli erano stati accolti nella casa di Giulia quando la madre era morta di tubercolosi; dove si mangia in due si mangia anche in cinque, diceva sempre aggiungendo tre piatti alla sua povera mensa. Era rimasta vedova presto Giulia; i tre orfani riuscivano a riempirle la giornata e a dare uno scopo alla sua vita. Bianca le era molto affezionata e avrebbe voluto esaudire ogni settimana quel desiderio di pasticcini, ma dovevafare i conti con la misera paga che prendeva; non sarebbe stata in grado di sostenere quella spesa, soprattutto ora che doveva pagare al suo principale la stoffa per il cappotto che indossava.
Quel giorno aveva fatto tardi, rischiava di perdere il tram se non si fosse concentrata a procedere più svelta. Camminava così assorta guardando dove metteva i piedi quando, passando davanti alla nuova caffetteria, fu avvolta da una folata di fragrante profumo di cioccolata e bignè che la sbalordì. Svoltò l’angolo sognante e quell’attimo di distrazione la mandò a sbattere contro un gentiluomo vestito di tutto punto con un grande cappello neroche finì sotto i suoi piedi.
«Par bleu! Signorina! State attenta a dove andate, guardate che disastro: mi avete pestato il cappello! Raccoglietelo, su svelta, che ho fretta.» Bianca lo guardò sottosopra, raccolse il cappello e glielo spinse con forza tra le mani.
«Badate voi dove andate, signore! Prendete il vostro cappellaccio, anche io ho fretta!» Rispose stizzita.
Bianca era istintiva, difficilmente riusciva a tenere a freno la lingua.
Quell’uomo arrogante le ricordò suo padre: quando rientrava dal lavoro e trovava i figli a giocare, si arrabbiava e allora, indispettito, dal loro vociare sbottava:
«Dovete imparare a stare al vostro posto! Disgraziati, farete la fine di vostra madre!» Diceva loro quando era fuori di sé. Lo disse loro anche il giorno prima di abbandonarli nel vecchio casolare. Era apparso, il giorno dopo il funerale della madre, con una donna poco più grande della primogenita, vestita elegantemente, l’aveva presentata come la sua nuova moglie e aveva posato sul tavolo una forma di pane e una di pecorino: «Fatevelo bastare!» aveva bofonchiato, poi era uscito e non l’avevano più visto.
***
L’uomo si guardava intorno con fare stizzoso, cercava una guardia a cui denunciare la sfrontatezza della popolana, convinto di poterne ricavare qualche soldo di risarcimento: il cappello era ammaccato sulla tesa e si vedeva chiaramente l’impronta di un tacco. Alzò la mano e attese che il vigile all’angolo notasse la sua richiesta. Bianca si sentì invadere dalla rabbia, quel ricco signore avrebbe sicuramente convinto la guardia che lei era in difetto; la parola dei ricchi valeva molto di più di quella di una giovane operaia senza un soldo.
Si guardò intorno disperata, avrebbe fatto preoccupare la vecchia madre e, suo fratello, le avrebbe fatto, di nuovo, una ramanzina su come si devono comportare le brave signorine.
Se almeno i passanti avessero preso le sue difese! Tutti avevano visto che non era stata sgarbata, aveva solo girato lo sguardo ai pasticcini. E lo fece di nuovo! Di nuovo guardò la vetrina colorata, incrociò per un attimo gli occhi azzurro chiaro di un giovane, che le sorrise. Pudica e vergognosa Bianca abbassò i suoi e tornò a scrutare l’uomo che la stava indicando al gendarme accorso.
«Non ho fatto niente, camminavo di fretta, vedete là il mio tram sta partendo, a casa mi aspettano per…» lasciò cadere il discorso, non voleva far capire quanto i soldi della settimana, che aveva in tasca fossero necessari per la cena.
«Non credetegli agente, le conoscete queste poverine, fanno di tutto per rubare qualche spicciolo o, come in questo caso, l’orologio che avevo nel taschino.» Disse l’uomo frugandosi per dimostrare che la ragazza glielo aveva sottratto. Bianca aprì la bocca stupita, non si era parlato di furto, l’uomo aveva completamente cambiato atteggiamento e le stava dando della ladra. Non poteva accettarlo, afferrò con forza il manico della borsetta pronta a difendersi dall’accusa.
Dalla vetrina il giovane assisté alla scena e, riconosciuta in lei la ragazza misteriosa che passava ogni giorno senza mai voltarsi, fece velocemente un cartoccio e uscì di corsa.
«Signorina!» La chiamò «Aspettate, avete dimenticato questo!» Le mostrò il pacchetto di paste confezionate con la carta lucida con il giglio di Firenze impresso in oro e il nastrino dorato. Bianca rimase senza parole, non riusciva a staccare gli occhi dal cartoccio.
«Ma io non…» farfugliò mentre il gendarme si fece più vicino guardando sospettoso i duegiovani.
«Oh scusate stavate discutendo e mi sono intromesso. Ma vedete, signori gentiluomini, questa nostra cara cliente ha lasciato le paste sul banco, sarebbe stato un vero peccato che fosse arrivata a casa senza le pastarelle per i suoi genitori.»
«Cara cliente? Siete quindi una cliente della Caffetteria? Questo toglie ogni sospetto sulle vostre intenzioni, vero signor? Come vi chiamate messere? Avete sicuramente sbagliato ad accennare a un furto attuato dalla signorina, forse nella fretta vi ha semplicemente investito, avete qualche cosa da replicare?» Chiese minaccioso.
«Furto? No, non potrebbe essere mai, la signorina qui presente è di buona famiglia, ve lo posso assicurare guardia, la conosco, viene tutti i venerdì nel nostro negozio, le paste per la famiglia gliele preparo sempre io. Mi chiamo Renato e lavoro in questo locale da molti anni, prego signori entrate, chiedete pure al signor padrone e lui vi confermerà che la signorina non ha niente da spartire con le ladruncole che girano per le strade. Entrate, vi offro un bignè appena sfornato.» Disse il giovane facendo cenno di entrare nella Caffetteria;di sottecchi, strizzò l’occhio a Bianca che non solo non credeva ai suoi orecchi, ma si sentiva ancor più nei pasticci. Il padrone non avrebbe potuto confermare ciò che il generoso cameriere aveva raccontato e sarebbero finiti entrambi nei guai entrambi.
Rassegnata, seguì il gruppetto all’interno della Caffetteria e il profumo di dolci e di caffè la avvolsero piacevolmente. Preoccupato per la reazione della giovane davanti al principale e al gendarme, Renato le propose di approfittare del momento e andarsene via insistendo perché tenesse il pacchetto di paste. Bianca felice sorrise, fece un leggero cenno di saluto con la mano e uscì.
Generoso pasticcere dagli occhi azzurri, siete pazzo! Vi cacceranno, perderete il lavoro per colpa mia! Povera me! Non sapete quanto piacere mi avete fatto, prendendo le mie difese.Addio. Pensava Bianca mentre Renato faceva accomodare all’interno il signore offeso e il gendarme. Offrì loro un caffè e un bignè alla crema; al barista che lo guardava di sbieco, strizzò l’occhio sperando che, il collega, gli tenesse la parte. Marco lavorava al banco, era figlio del proprietario ed era sempre disponibile con la clientela. Aveva notato la giovane e precorrendo i tempi sperò che avesse un’amica bella quanto lei in modo da poter uscire la domenica tutti insieme.
Seduta sul tram, Bianca guardava il pacchetto che teneva sulle ginocchia. Tremava ancora, sapeva che non era per il freddo, era stato il gesto del giovane che era uscito in camicia per difenderla. I suoi occhi azzurri l’avevano turbata, le sembrava di vivere un sogno, una realtà di quelle che aveva letto nei romanzi. Poi guardava il pacchetto confezionato e si rendeva conto che era stata protagonista di un evento particolare, qualcosa che le avrebbe cambiato la vita. Si mordicchiava le labbra, osservava i passeggeri, teneva conto delle fermate, mal’emozione era incontenibile: non vedeva l’ora di appoggiare al centro della tavola il pacchetto che avrebbe reso felice mamma Giulia.
«Rena’ ricorda: chiedile se ha un’amica!» Si raccomandò Marco quando Renato gli confidò di aver visto passare la signorina dal cappotto rosso e di aver idea di chiederle di uscire.
Bianca passava ogni giorno, alla stessa ora, sperando di scorgere il giovane pasticcere. Convinta che l’avessero licenziato, fu veramente contenta di trovarlo a sistemare la vetrina con frutti di marzapane e stecche di cioccolata. Non si fermò, anzi, corse via. Renato non riuscendo più a incrociarla, un giorno l’aspettò alla fermata del tram con un pacchetto di bignè assortiti.
Da allora Renato incontrò spesso Bianca. La domenica passava a prenderla sotto casa,spesso camminavano a piedi lungo il viale, si sedevano in una panchina al giardino della Fortezza da Basso e poi proseguivano per via Nazionale fino alla grande piazza dove arrivavano i treni. Quando imboccavano via De’ Cerretani, Renato la prendeva per mano contento di mostrarsi al suo fianco. Entravano nella pasticceria tra i sorrisi e le occhiate del personale, si sedevano al tavolino e prendevano una cioccolata calda con qualche biscotto.
L’anno successivo Renato e Bianca si sposarono. Poi ci fu un’altra guerra, ma gli sposi tennero duro, avevano già due figli e presto ne sarebbero arrivati altri; l’ultimo, nato nel 1954, lo chiamarono Marco, in ricordo del collega scomparso sotto i bombardamenti di Cassino.