Storie al femminile

The limping Lady

The limping lady

Sapete chi era Virginia Hall?

Ebbene, cari lettori, se anche il suo nome di primo acchito non vi ricorderà nulla di particolarmente avvincente, in realtà ella fu una donna di grande forza, una figura chiave nello svolgimento degli eventi che portarono alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale: di certo non fu Mata Hari, non fu la femme fatale del doppio gioco, un po’ per i tedeschi e un po’ per i francesi. Non fu Christine Granville, pseudonimo della contessa polacca Krystyna Skarbek. E nemmeno fu Betty Pack, colei che – secondo il Times – «usava la camera da letto come James Bond usava la Beretta».

Però Virginia Hall, senza far uso di spiccate doti femminili, fu ugualmente l’incubo dei nazisti, «la più pericolosa agente alleata in Francia», il personaggio che, come riferirono le parole dei gerarchi nazisti «doveva essere trovata e distrutta».

Virginia fu tutto tranne che fatale: aveva una protesi di legno che le ricostruiva la gamba, dal ginocchio in giù. Eppure questa donna, modesta, minuta e silenziosa, fu la più formidabile spia della secondo conflitto mondiale.

Virginia Hall Goillot (6 aprile 1906 – 8 luglio 1982), nome in codice Marie e Diane

Nata a Baltimora negli Stati Uniti il 6 aprile 1906, Virginia aveva frequentato la Radcliffe, la facoltà riservata alle donne dell’Università di Harvard; quindi la Barnard, il corrispettivo femminile dell’Università della Colombia, e la scuola di specializzazione della American University a Washington, dove aveva appreso francese, italiano e tedesco. 

Contrariamente all’uso dell’epoca, aveva viaggiato in Europa e studiato alla Scuola di scienze politiche di Parigi, alla Konsularakademie di Vienna e poi in Germania. Conclusa la specializzazione Virginia aveva accettato un posto di segretaria all’ambasciata degli Stati Uniti a Varsavia, e da lì era stata trasferita a Smirne, in Turchia. Fu proprio in questa città della penisola anatolica che uno sfortunato incidente, occorsole durante una battuta di caccia, le causò l’amputazione della gamba sinistra all’altezza del ginocchio. 

È facile intuire come Cuthbert, l’affettuoso nomignolo con cui Virginia si riferiva alla sua gamba ortopedica, era divenuto un ulteriore ostacolo al suo intento di voler emergere in ambito diplomatico, volendo ella progredire di livello per la sua carriera: un impedimento in più oltre al fatto medesimo di essere nata donna. 

Quindi, dopo essere stata allontanata dal Ministero degli Esteri, Virginia decise di cambiare completamente rotta dedicandosi alla lotta contro il Fascismo che stava prendendo piede in tutta Europa. 

Una volta giunta in Francia, la donna si arruolò nel servizio ambulanze e diede inizio alla sua guerra personale. 

La sua vita fu a dir poco rocambolesca. In seguito all’invasione tedesca del 1940, fuggì dal Paese con una bicicletta e pedalando con la sua gamba di legno, giunse fino alla costa: qui s’imbarcò su uno degli ultimi traghetti diretti in Gran Bretagna. Al suo arrivo a Londra conobbe Vera Atkins, una spia britannica di origine rumena, abile reclutatrice per la sezione F (ovvero della Francia) del SOE, lo Special Operation Executive, l’organismo incaricato di inviare agenti in Europa per sabotare, spiare, rubare e, soprattutto, uccidere nazisti.

Per i suoi primi mesi di attività fu impiegata come operatrice radio. Poi, le cose cambiarono e gli incarichi divennero, di volta in volta, sempre più a elevato rischio mortale. Sotto il falso nome di Germaine, Virginia accettò perfino di essere lanciata in paracadute sul territorio francese con il compito di raccogliere quante più informazioni possibili sull’occupazione tedesca, oltre che di fornire armi alla resistenza francese. Una volta insinuatasi in terra nemica, diede solidità alla la sua missione facendosi passare per una giornalista, una copertura che le consentiva di informare Londra dei movimenti delle truppe tedesche per poi far piazzare bombe nelle basi militari naziste. 

Per le sue abilità, nonché per il suo coraggio e la molta determinazione, il suo nome iniziò a godere di una certa fama all’interno della resistenza. Ovviamente, di contro, ciò avvenne anche tra gli agenti della Gestapo, la polizia segreta nazista: per tentare di rintracciarla i tedeschi fecero stampare dei cartelli con uno suo presunto ritratto e la scritta: «Questa donna zoppicante è uno degli agenti più pericolosi degli Alleati in Francia; dobbiamo trovarla e distruggerla».

Ma Virginia, grazie alla cittadinanza statunitense e alla sua disabilità fisica, aveva avuto modo nel tempo di formare un gruppo dal nome in codice di Heckler: in esso aveva riunito tutti i membri della resistenza francese. Il suo obiettivo principale fu sempre quello di garantire un salvacondotto ai piloti britannici abbattuti e fornire appoggio agli altri gruppi della resistenza e agli agenti del SOE. Credetemi, ci riuscì benissimo. 

Poco a poco, Virginia divenne l’ossessione del capo della Gestapo a Lione, tale Klaus Barbie. Barbie organizzò retate, intercettò ogni trasmissione Morse inviata a Londra, catturò e torturò fino alla morte numerosi prigionieri, sempre alla ricerca di informazioni che gli permettessero di catturare l’elusiva spia. Ma di Virginia, non vi era mai alcuna traccia. Soltanto per un momento, grazie ad una spia della Gestapo infiltratasi nella resistenza francese, i nazisti ebbero la presunzione di riuscire a individuarla.

Ma fu un nulla di fatto: la Dama Zoppa -così come era nota tra i tedeschi- riuscì ancora una volta a sfuggire loro e scappando attraverso i Pirenei, con una sola gamba buona, arrivò fino in Spagna!

Una volta giunta alla frontiera, le autorità per l’immigrazione la trattennero: non si poteva entrare in Spagna senza visto. Virginia rimase per sei settimane in una prigione in Catalogna. dopodiché l’ambasciata statunitense fece pressioni affinché le autorità franchiste la liberassero; per Klaus Barbie catturare Virginia Hall rimase un miraggio! 

La biografia di questa intrepida donna avrebbe potuto concludersi qui.

E a ragione veduta, penserete anche voi! Invece no.

Virginia Hall smise di lavorare per il SOE britannico ma entrò a far parte dell’OSS, l’Office of Strategic Services statunitense, predecessore dell’attuale CIA e una volta che fu rientrata in Francia assunse una nuova personalità divenendo Marcelle Montagne. Vestendo i panni di una semplice contadina andò a vivere in una fattoria nel piccolo villaggio di Crozant, nel centro della Francia. Ma malgrado la solida copertura fornitale dalla sua nuova identità, venne presa di mira e interrogata più di una volta. Davanti al rischio di essere scoperta, Hall mandò via radio a Londra un ultimo messaggio: poche parole rimaste famose nella storia dello spionaggio; «i lupi sono alla porta».

Quindi, dandosi alla fuga, face perdere ogni traccia di se’. La vedremo ricomparire soltanto in seguito, nelle settimane precedenti al D-Day, lo sbarco degli Alleati in Normandia, poiché impegnata ad organizzare la resistenza in Borgogna, con lo scopo di sabotare linee ferroviarie, comunicazioni, ponti e strade, per ritardare l’avanzata tedesca verso le coste normanne. 

In questa sua ultima missione Virginia, per la prima volta, non agì da sola; ad affiancarla, ebbe altre donne, impavide quanto lei. Purtroppo, coloro che disgraziatamente vennero catturate, non vi fu salvezza e firono destinate a finire i propri giorni nei campi di sterminio di Ravensbrück o di Dachau.

Ma Virginia non fu tra loro: Virginia ebbe salva la vita, ancora una volta.

Il suo lavoro di spia, durato anni e anni di sacrifici ad alto rischio, si era alla lunga dimostrato di vitale importanza affinché gli Alleati potessero riconquistare la Francia pertanto, al termine della Seconda Guerra Mondiale, «la più pericolosa agente alleata in Francia» ricevette il giusto onore per le sue azioni: il governo francese le assegnò la Croix de Guerre avec Palme, quello britannico la elesse membro dell’Ordine dell’Impero britannico e quello statunitense le consegnò la Croce di merito.

Per tutto il resto della sua vita, Virginia non smise mai di lavorare per la CIA. Eppure, nonostante la più alta onorificenza del Pentagono mai data a una donna, l’agenzia non la tenne più in alcuna considerazione. Anzi, Virginia venne emarginata e costretta a trascorrere il resto della sua vita dimenticata dai più: nel 1966, delusa e amareggiata, si fece prepensionare e da allora visse in un appartamento di Rockville alle porte di Washington. 

Morì nel 1982, sola e in forti ristrettezze economiche, totalmente ignorata da tutti, CIA e resto del mondo. E tale sarebbe rimasto il suo stato se, un paio di anni fa, una giornalista inglese non avesse ritirata fuori la sua storia, trasformando la sua avventurosa biografia in un  bestseller. Il titolo del  libro si rifà a un play di Oscar Wilde: A Woman of No Importance. Titolo sicuramente più biografico di quello del film A Call to Spy, uscito di recente su tutti gli schermi. Ma senza il film che ha avuto un grande successo a dispetto della pandemia, gli americani non avrebbero mai saputo che questa donna di nessuna importanza  aveva realmente contribuito. come pochi altri, a liberare la Francia dal nazionalsocialismo tedesco.

Non è la prima volta che accade. Non sarà certo l’ultima.

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Barbara Chiarini

Barbara Chiarini nasce a Firenze nel 1967. Laureata in Architettura con indirizzo storico-restauro e conservazione dei Beni Architettonici, si ritiene un architetto per professione, una scrittrice per passione, ed una fiorentina D.O.C. Autrice del libro “Per le Antiche Strade di Firenze”, “Una finestra affacciata dull’Arno” e “Su e Giù per le strade di Firenze”, ella è anche la fondatrice nonche’ uno degli Amministratori di questo Blog.

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Daniela Bellini

Ottimo articolo molto interessante

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