I racconti di MileniK,Le vostre storie

L’ultimo scatto

-Guardi signora, ho fatto quello che ho potuto, meglio di così un potevo fare!- Il brav’uomo allungò alla signora vestita di nero l’urna con le ceneri del marito sigillate per benino.

-Un si preoccupi, va bene così!- disse la signora prendendo l’oggetto caro e stringendolo un momento al petto. Aveva ottenuto ciò che voleva per sé e per il suo Arturo, compagno di una vita, morto per una banale caduta che aveva fatto ridere entrambi per due minuti fino a che lui, sorpreso per lo strano umore interno, l’aveva guardata con una specie di sorriso gentile; poi si era accasciato a terra morto.

Adesso lei voleva tornare sul luogo dell’incidente e capire come poteva essere successo. Sistemato Arturo nella sua nuova cassettina da viaggio, una piccola riproduzione di un baule antico, avviò l’utilitaria fino all’uscita della città con molta apprensione: le avevano detto che non poteva trasportare le ceneri del marito come meglio preferiva, ma doveva attenersi alle ferree regole del legislatore. Che ne sapeva il legislatore di loro due? Agata non era d’accordo ed era convinta che Arturo avrebbe approvato la sua decisione. Al primo semaforo rosso si fermò pensando a quanto sarebbe stato meglio se avesse guidato Arturo rendendosi subito conto che eraimpossibile, ma era accanto a lei e non l’avrebbe lasciata sola.

-Sai iche si fa? Si va a imare, Arturo! Si torna in do t’è successo sta cosa brutta e finiamo la nostravacanza!

Prese sicura la deviazione che la portava fuori città. Quando negli anni addietro Arturo le diceva “Sai iche si fa? Si va a imare!” lei era felice, amava il mare quasi quanto suo marito. Avevano trovato un posto tutto loro tra Rosignano e Castiglioncello, una piccola insenatura nascosta alla strada dalla folta pineta e limitata dagli scogli ferrosi e appuntiti tipici della zona. Era difficile lì stendere un asciugamano o prendere il sole, ma a loro piaceva nuotare tra gli scogli sommersi, scendevano a piccole profondità, quelle che permetteva loro di guardare i pesci e le alghe muoversi armoniose al ritmo delle onde.

Un anno avevano trovato una fede con una data incisa all’interno, era appoggiata su uno scoglio bloccata tra un anemone rosa e un riccio nero. Arturo aveva chiesto alla pensione dove alloggiavano se qualcuno avesse perso l’anello, ma il marito distratto non era stato individuato, così l’aveva barattato con una macchina fotografica subacquea in grado di immortalare quelle meraviglie immerse nel profondo blu del loro mare.

“Si va a imare!” Le diceva Arturo appena il sole di luglio scaldava troppo la sua Firenze e girare per le strade diventava difficile: i turisti invadevano ovunque come fosse tutto loro, si fermavano in mezzo alla strada per fare una foto con l’obbiettivo di traverso senza curarsi dei ciclisti e nemmeno degli autisti.Diventava impossibile fermarsi per concedere l’attraversamento pedonale a un turista, all’improvviso la fila diventava lunga infinita e, a volte, conveniva spegnere il motore. Per non parlare di quelli che si ostinavano a camminare sui rialzi lungo la strada, rialzi che credevano marciapiedi. Allora niente riusciva a trattenerlo soprattutto quando l’ostinato era costretto a chinar la testa per la sporgenza della grata tondeggiante della finestra, allora urlava:

-Un tu lo vedi che un’è un marciapiede? Gli’è un limite di sicurezza per un sbattere icapo niferro, bischero!- poi, vedendo l’espressione confusa del turista di turno insisteva:

-Oh come vu ce lavete i marciapiedi a casa vostra? Che son così stretti? Grulli!!- insistendo sulla cadenza delle lettere aspirate che distingueva la parlata fiorentina da qualsiasi altro idioma nazionale. Arturo odiava quella massa di “turisti maleducati” che si aggiravano per le sue strade e per la sua città fingendo di esserne i padroni, beandosi delle belle arti che invece erano sue e di Agata che erano fiorentini da generazioni. Così per non soffrire quell’usurpazione di luoghi Arturo preferiva andare via, andarsene a Rosignano, in una pensione lontana dal mare. Qui dimenticava il caos cittadino e anche la sfrontatezza dei turisti.

Agata guidò tranquilla fino all’imbocco della superstrada per il mare, la chiamava simpaticamente “la Fi-Pi-Li” ed attraversava le province di Firenze, Pisa e Livorno. Ah quante volte il suo Arturo si era lamentato di quel tragitto, l’avrebbe voluto priva di traffico ed invece era sempre oberato dal passaggio di camion, era spesso in riparazione e questo gli creava disagio. Ora per fortuna le cose erano migliorate: le corsie erano più larghe, il fondo stradale era stato rinforzato ed ella potevatenere una guida tranquilla e rilassata. Il suo Arturo era sul sedile vicino a lei ben agganciato con lacintura, il sole era alto e la giornata serena, cosa poteva volere di più?

Ripensò agli anni addietro a quando lei ed Arturo erano giovani e per andare al mare dovevano percorrere una strada piena di curve e, per arrivare al mare, ci volevano due ore. Per ingannare il tempo chiacchieravano, parlavano di ciò che avrebbero fatto durante quella breve vacanza: alle immersioni tra gli scogli, alla raccolta delle pigne dalle quale Agata avrebbe ricavato ottimi pinoli per la torta della nonna e lui avrebbe avuto materiale utile per le sue curiose creazioni artistiche, che poi avrebbe dipinto di oro e argento rendendo loro il giusto aspetto natalizio.

Se tutto andava liscio, negli ultimi giorni della loro vacanza, avrebbero potuto raccogliere le more nei rovi cresciuti abbondanti lungo i sentieri sabbiosi che dalla pineta portavano ad una casadiroccata abbandonata da tempo, le avrebbero poi lavate e pulite pronte per diventare marmellata una volta tornati a casa.

Agata si scosse dai suoi pensieri: era il momento di lasciare la superstrada e continuare lungo la “Collesalvetti” per non perdere quel meraviglioso paesaggio che ancora oggi le appariva come un quadro naif allegro e dai colori accesi: gli appezzamenti di terreno ben delimitati da fossetti coperti di verde, distese color ocra intervallate da piccoli alberi dalle fronde brillanti dove i contadini trovavano ombra nell’ora del pranzo, i campi di grano di quel bel colore dorato pronto per la raccolta che le faceva pensare alla crosta croccante del pane appena sfornato ed i covoni a ruota di foraggio dorato. Gli appezzamenti a valle salivano dolcemente seguendo la curva della mite collina e la casa contadina spiccava contro il cielo di un azzurro incredibilmente intenso. Più avanti,scollinava verso il mare, avvertiva il profumo del salmastro nelle narici e si sentiva subito piena di allegria, sentimento che condivideva con Arturo, felice di vederla felice.

Parlavano di tutto in quel tragitto, facevano progetti per la raccolta delle more, per le foto da scattare ai pesci o dove andare a mangiare un gelato. Quando vedevano il campanile della chiesetta di periferia, capivano che erano vicini e si chiedevano se avessero avuto la stanza dell’anno precedente, se avessero trovato il milanese innamorato del Palazzo Pasquini di Castiglioncello perché fatto a copia del Palazzo Vecchio di Firenze e che puntualmente irritava Arturo sul suo voler conoscere Firenze meglio dei fiorentini ma, nonostante tutto, si trovavano bene in quella piccola pensione appena fuori dal paese dove tutti erano gentili, il prezzo era buono ed il cibo di ottima qualità. Il cuoco si vantava di fare il cacciucco più buono di tutta Rosignano, lui aveva fatto il marinaio da ragazzetto e si diceva un esperto.

Agata salutò la signora della pensione e le chiese di rientrare in quella loro stanza lasciata in fretta e furia solo cinque giorni prima. La ringraziò prendendo dalle sue mani la chiave e salì per riposare dal viaggio. Appoggiò Arturo sul letto e si sdraiò accanto a lui.

Due ore più tardi si cambiò, mise il costume, un vestito di color verde scuro ed und cappello di paglia fiorentino, prese la borsa da spiaggia vi infilò l’urna, la macchina fotografica subacquea ed uscì. La signora Gina, padrona della pensione, non le disse nulla anche se avrebbe voluto chiedere cosa fosse successo ad Arturo, dirle che le dispiaceva ed abbracciarla facendole le condoglianze, ma soprattutto avrebbe voluto vedere cosa nascondeva in quella borsa enorme.

Agata andò in pineta a cercare una pigna vuota, la ripose con attenzione nella borsa accanto allo scrigno, poi gironzolò per il sentiero che portava alla casaccia come Arturo chiamava la casa diroccata in mezzo alla campagna. Mangiò alcune more dolcissime pensando alla dispensa piena dei vasetti di marmellata, ne aveva a sufficienza per l’inverno. Osservò un gabbiano tuffarsi sotto il pelo dell’acqua e risalire con gozzo pieno. Arrivò al mare, nel loro posto speciale, vide dove il marito era scivolato, ricordò che la mareggiata della notte precedente aveva depositato sugli scogli ciuffi gelatinosi di alghe che l’avevano fatto cadere. Si preparò con pinne ed occhiali, mise al collo la macchina fotografica, si infilò in acqua e quando si sentì sicura prese la pigna e il piccolo baule con le ceneri di Arturo. Lo sfiorò con un bacio prima di immergersi nell’acqua e raggiungere lo scoglio dove qualche anno prima Arturo aveva trovato la fede nuziale. Era lì che lo voleva salutare.

Appoggiò lo scrigno sullo scoglio, in una piccola avvallatura, ci mise accanto la pigna seguendo una coreografia studiata durante il tragitto. Nuotò intorno e raccolse due grosse conchiglie di madreperla vuote, le appoggiò accanto alla pigna. Così era perfetto: preparò la macchina fotografica ed aprì lo scrigno. Le ceneri si sparsero intorno cullate dal lento movimento delle onde, come un tesoro che esce dal forziere affondato. Si spostò leggermente, inquadrò con attenzione e con tutto l’amore che aveva dentro scattò la sua ultima foto ad Arturo: il suo tesoro.

L’ultimo scatto
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Milena Beltrandi

Emiliana a Firenze dal 1970, fa parte del Gruppo Scrittori Firenze. Scrive dal 2017. Alcuni suoi romanzi hanno ottenuto menzioni e premi come: il Nabokov, l’internazionale Pegasus Montefiore Conca, La Ginestra monologo teatrale e III° x racconto La Città sul Ponte. Ha partecipato a 5 antologie a tema e pubblicato una propria raccolta di racconti e ricette Attualmente fa parte della giuria per La città sul ponte.

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