Alle 9.00 in centro
«Oddio, che ore sono?» mi alzo di soprassalto svegliandomi da un sonno profondo e agitato.
«Come ho fatto a non mettere la sveglia, dovevo essere in centro per le…» infilo le ciabatte e raggiungo il bagno in quattro balzi ma davanti alla porta mi blocco: a che ora avevo fissato? Il pensiero mi attanaglia, non riesco a ricordare l’ora dell’appuntamento nonostante cerchi di rammentarlo, sembra che ci sia un muro davanti al particolare.
Appuntamento con chi? Oddio non ricordo nemmeno con chi ho fissato né dove. Beh sarà l’effetto del risveglio improvviso, sono sicura che ho un appuntamento se mi sono svegliata per andarci. Faccio una doccia veloce e vedrai che tutto va a posto.
Esco dal bagno in accappatoio, mi sento più rilassata, strofino i capelli cercando di non pensare ad altro che al piacevole massaggio al cuoio cappelluto. Mi devo vestire, apro l’armadio e non trovo il paio di pantaloni a cui stavo pensando: non ci sono! I capi presenti nel guardaroba sembrano essere di un’altra donna, più semplice, più casalinga, come sono finiti tra i miei vestiti? Odio questa roba.
Scelgo quelli più eleganti che trovo, abbino una maglietta a mezze maniche e, sempre cercando di evitare di pensare, vado a sistemare il maquillage. Lo specchio è ancora leggermente appannato dal vapore della doccia ma quando alzo gli occhi sulla mia immagine riflessa, avverto un vuoto nel battito cardiaco: chi è quella persona lì? Non certo io. Io sono, mi chiamo, come mi chiamo? Che strano, mi sfugge il mio nome! Pazienza dimenticare un appuntamento, certamente sarà una cosa noiosa a cui devo partecipare e non voglio partecipare e questo giustificherebbe la dimenticanza, ma io adoro il mio nome è simpatico è…, quale è?
Stravolta ma non troppo decido di controllare i documenti che ho in borsa. Mi sembrava di averla appoggiata sul mobiletto all’entrata, ma non c’è. Non c’è il mobiletto, non sono dunque a casa mia?
Accidenti questa faccenda diventa sempre più complicata, devo sforzarmi di ricordare cosa ho fatto ieri sera, deve esserci una spiegazione. Non penso di essere il tipo ma forse ho bevuto in compagnia e, forse, dico “forse” perché lo escluderei a priori, ho accettato di assaggiare qualche sostanza strana, “fumo” lo chiamano in gergo.
Devo prendere un caffè, devo concentrarmi! Deve esserci qualcosa che mi collega a quanto accaduto ieri sera, non posso essermi dimenticata, all’improvviso, di tutto. Infilo le mani in tasca dei jeans con fare distratto e scopro che ci sono alcuni spiccioli, un piccolo tesoro che mi permetterebbe di uscire a prendere un caffè forte e ristretto che mi svegli una volta per tutte da questo incubo. Ma potrei anche fare una telefonata visto che non trovo nemmeno il cellulare, potrei usare questi spiccioli per chiedere aiuto a un medico.
Quindi che faccio? Esco per un caffè o esco per un medico?
Esco! Qualcuno mi riconoscerà ci sarà una buon anima in giro che sappia chi io sia e come sia finita in questa situazione. Come sia finita in una casa simile a quella dove abito ma non quella, un armadio pieno di vestiti che non metterei mai e un ingresso senza mobiletto e soprattutto senza la borsa dove ho i documenti e i soldi. C’è da diventare pazzi e non nego che ho paura che ciò sia già successo. L’unico indizio è questa sensazione di aver un appuntamento in centro ma non so né con chi né dove.
Esco.
Scopro con immenso piacere che questo palazzo è fornito di portiere: lui mi conoscerà senz’altro e se è un bravo portiere quando passerò mi saluterà “buon giorno signora xx” e scoprirò almeno come mi chiamo.
Aspetto invano il suo saluto, manco mi vede, sta giocando col portatile mentre sorseggia da un bicchiere di plastica, uffa ora mi sente.
«Mi scusi, buongiorno!» lo apostrofo, lui fa un salto sorpreso, il bicchiere prende il volo volteggia e ricade sulla tastiera spargendo il suo liquido denso ovunque. Mi guarda sorpreso come se fossi apparsa all’improvviso, non lo conosco ma a questo punto ho bisogno di aiuto andrà bene anche questo imbranato portiere.
«Ho perso i documenti e sono troppo agitata, ho bisogno di sapere due cose: chi sono e dove siamo.
Lo so le sembrerà strano ma ultimamente mi succede, tranquillo non è niente, e passerà subito se mi da una mano» dico con fare innocente.
«Mi dispiace signora, il portiere è malato e io lo sostituisco per un paio di giorni, non conosco nessuno nel palazzo.» mi guarda mortificato mentre cerca di asciugare la tastiera inondata di caffè.
«Ma ci sarà un registro su cui sono scritti i nomi dei condomini, che diamine, come fate a sapere dove mandare i fattorini, il postino, dia un’occhiata per favore, ci deve essere qualcosa che mi aiuti.» così scopro che non solo c’è un registro, c’era anche un elenco informatizzato irraggiungibile dopo l’improvvisa e imprevista cascata di liquido caldo e marrone sulla qwerty. Purtroppo il registro cartaceo era nella mensola sotto al ripiano e, alla colata di liquido scuro, si è aggiunto anche il biscotto di pastafrolla e marmellata di more che, al contatto con la bevanda calda, si è sciolto e ha reso illeggibile anche quello.
Forse sono una psicopatica assassina, perché quando il sostituto portiere mi spiega la situazione, mi sento all’improvviso calma, serena, ma con un pensiero nuovo fisso, non più su chi io possa essere, ma sul modo più crudele e doloroso per uccidere l’imbranato. Sorrido gelida e rimango due minuti sulla soglia appagata dal sogno di un terzo modo violento di omicidio. Sto guardando con una certa insistenza i fili del telefono che dalla strada entrano nel gabbiottino, uno strappo e potrei disporne per strozzarlo mentre l’essere continua a farfugliare che gli dispiace e che c’era modo di scoprire ma il caffè, ma la colazione, ma chessoio, che non è colpa sua: adesso sono veramente arrabbiata!
Sull’orlo della pazzia decido che quei due euro, che mi son trovata in pantaloni non miei, mi serviranno per la telefonata a un secondo avvocato, sempre che mi venga in mente chi chiamare e se, alla prima gratis, offerta dal sistema giudiziario, non dovesse rispondere qualcuno in grado di soddisfare la mia richiesta. Mi concentro sull’improbabile portiere, lo chiamo e cerco di scuoterlo, deve fare qualcosa, guardare la posta da consegnare, insomma che si muova perbacco, lui traccheggia ancora e io vedo i titoli dei giornali: “Trovato cadavere irriconoscibile nel gabbiotto della portineria in via dei Mariti n.1 a Firenze”. Ora lo sguardo da pazzo ce l’ha l’ometto che mi fissa mentre io rimango a bocca aperta, il cuore in gola, battito azzerato, solo un attimo poi alle mie spalle giunge una voce
conosciuta:
«Che ci fai ancora qui? Non dovevamo vederci in centro alle nove per un caffè e due chiacchiere? Che hai? Ti vedo disorientata. Sapevo che non dovevo lasciarti sola per i giorni del Salone del Gusto. Non dirmi che ti sei mangiata gamberetti e peperoni! Sai che sei allergica a entrambi e che la combinazione dei due cibi ti mandano in tilt, per fortuna non hai perso la memoria, l’altra volta ti sei smarrita, sei entrata in un appartamento attiguo al tuo, per fortuna disabitato e per poco non sei finita in prigione per aggressione. Come stai? Non sei contenta di vedermi, Beatrice?».