2 settembre 1945: l’anno zero dell’umanità
2 settembre 1945- L’atto di resa giapponese, l’accordo scritto che stabilì l’armistizio che pose fine alla Guerra del Pacifico ed alla Seconda Guerra Mondiale.
Ben 60 milioni di morti in sei anni precisi, dall’1 settembre 1939 al 2 settembre 1945.
Per raccontare la Seconda Guerra Mondiale, ciò che è stata, ciò che ha rappresentato per l’umanità, se ne deve necessariamente ricordare la macabra contabilità costituita da chi vi perse la vita: dalle bare che ebbero sepoltura, a quei tantissimi corpi che invece non la trovarono e rimasero a marcire nelle trincee o furono gettati nelle fosse comuni.
60 milioni di croci che, scusate se è banale dirlo, andrebbero immolate a Eterno Monumento alla Memoria e mai dimenticate.
Iniziata con l’innalzamento di un passaggio di frontiera prussiana e conclusasi con l’olocausto nucleare sui cieli del Giappone, dopo questa guerra e la carneficine che ne seguì, le grandi potenze mondiali deliberarono che fosse meglio fermarsi, cercando di mantenere saldo un equilibrio basato sul terrore: si sfidarono per anni, sfoderando armamenti sempre più crescenti in quantità e forza devastanti, senza mai utilizzarli, se non nel loro valore simbolico.
Così, sempre in bilico, il nostro pianeta ha potuto vivere i suoi ultimi settantacinque anni in uno stato di relativa pace globale, dove i conflitti, quando ci sono stati – e ci sono stati – hanno avuto una connotazione locale o regionale, ma mai più mondiale.
Quell’immane conflitto che ha preso il nome di Seconda Guerra Mondiale, generato dalla contrapposizione tra l’alleanza di Germania, Italia e poi Giappone e un cartello che raggruppava le democrazie occidentali e l’Unione Sovietica stalinista, ha sconvolto per sempre, come e più della Grande Guerra, ha modificato per sempre la percezione che l’uomo aveva delle sue capacità distruttive, alterando in maniera indelebile il concetto che l’uomo nutriva di se stesso, nonché la qualità dei rapporti tra i popoli.
Irrimediabilmente. Una ferita che non si è più rimarginata, non soltanto nella memoria di quelle centinaia di milioni di reduci, o di coloro che hanno perso i loro cari, ma anche in chi ha costituito la loro progenie.
Mio nonno era nato nel 1916. Non ricordava quasi nulla della Prima Guerra, ma della seconda …di quella si. Al tempo, lavorava come personale viaggiante, impiegato nelle Ferrovie dello Stato. Era sposato e da poco era divenuto padre di una bambina (mia madre). Venne fatto prigioniero insieme a tutti i passeggeri del treno su cui viaggiava a Pristina, quindi deportato e rinchiuso in un campo di concentramento nella Germania dell’Est, a Lipsia, per oltre due anni .
La città di Varsavia distrutta dai bombardamenti, 1944
I suoi ricordi della guerra, della sua prigionia, sono stati il pane quotidiano della mia giovinezza e tutt’oggi ne fanno parte, soprattutto quando mi domando – come adesso che ne sto scrivendo – quanti uomini non ebbero come mio nonno la fortuna di ritornare a casa vivi, di riabbracciare e potere vedere crescere i propri figli, e poi i propri nipoti: quante esistenze poco più che adolescenti furono strappate alla vita da una granata o da un mitragliatore, ingranaggi di un’immensa industria militare che per anni ha sfornato cannoni, carri armati e armi di ogni tipo!
Una generazione che uscì decimata e stremata da quella guerra. La stessa generazione che, fortunatamente, poco dopo seppe rimboccarsi le maniche, creando nuove fonti di crescita e sviluppo, consentendo ai propri figli di vivere nel benessere e nell’agiatezza.
Quella guerra non ebbe fine né il 25 aprile né il 2 settembre.
Non esistono poesie, libri o film che possano raccontare e racchiudere interamente questa storia terribile che, come tutte le grandi storie, possiede e conserva tante pagine di eroismo quanto altrettante di pura follia, impossibile da comprendere.
Una sola speranza nel cuore: ritenere che, dopo ciò che è accaduto, chiunque avesse il potere di tornare indietro nel tempo, arresterebbe quel circolo folle di violenza che devastò buona parte del globo, lasciando all’alba del 2 settembre 1945 un gigantesco cumulo di macerie e di morti.