Il pittore che aveva il mare dentro
Era nato in una città di mare, e il mare infatti ce lo aveva dentro.
Eppure dalla sua amata citta, Livorno, era venuto via presto pur di inseguire il suo sogno, la pittura.
E da allora, Firenze, Parigi, e poi Roma … lontano da quelle onde, lontano da quelle spiagge. Ma tanto, il mare lui ce lo aveva dentro. E soltanto in quei luoghi egli trovava -e sempre ritrovò- la pace.
E i colori … anche quelli li aveva tutti dentro, agitati e mossi dal vento proprio come quello che ti scuote e respiri ad ampie boccate fino a gonfiarti forte i polmoni, sul lungo mare dell’Ardenza. Il vento, il suo principale complice, nell’avere trasformato quei colori in “macchia”.
Giovanni Fattori fu pittore del Risorgimento, ritrattista, cantore del popolo, dei soldati morti per la patria, della Maremma, dei contadini che faticavano nei campi con i loro buoi.
Giovanni Fattori fu pittore di tanti soggetti. Ma nei suoi ottantatré anni di vita e di caposcuola dei “Macchiaioli“, l’elemento di unione di tutta la sua arte fu l’odore del salmastro.
Era nato il 6 settembre 1825; la sua capacità di disegnare si palesò che era poco più che un bambino. Invece la scuola, quella non era certo una sua passione. Così la famiglia, anche se non molto agiata, aveva deciso di assecondare le sue inclinazioni artistiche e di mandarlo a lezione di pittura, prima in città poi a Firenze, dove si iscrisse all’Accademia delle Belle Arti sotto la guida di Giuseppe Bezzuoli.
Non era un allievo modello e non si interessò mai molto alla storia dell’arte. Sarà il suo compagno Telemaco Signorini a raccontare i tanti scherzi che faceva in classe, dallo spegnere i lumi a buttare l’acqua sulla stufa, a scompigliare le lezioni di nudo.
Del resto, neppure l’ accademia faceva per Fattori.
Ciò che invece accese in lui un potente interesse furono i moti risorgimentali del 1848. Senza titubanza alcuna, il giovane Giovanni sposò subito la causa dell’Unità d’Italia e diventò anche fattorino di stampa clandestina per il Partito d’Azione.
Ma a segnarlo fu all’assedio di Livorno, tanto che il tema dei soldati e delle battaglie diventerà una parte importante delle sue opere. Un sentimento di profonda adesione alla causa che tornerà in quadri celebri come la Battaglia di Magenta del 1856, considerato il primo quadro italiano di storia contemporanea, dove a Fattori non interessa dipingere l’aspetto epico dello scontro, quanto invece i morti e feriti che sacrificarono la loro vita per l’ideale nazionalista. Per questo fu definito il pittore soldato.
Ma prima di tutto questo, ci furono gli anni del Caffè Michelangelo a Firenze, quel luogo di ritrovo per tutti gli artisti anti-accademici i quali passavano insieme ore ed ore a discutere a proposito delle nuove e diverse strade artistiche percorribili.
Questi furono gli anni in cui, insieme al suo caro amico Signorini, egli sperimentò i nuovi e molteplici orizzonti della pittura, per arrivare «a rendere le impressioni che ricevevano dal vero col mezzo di macchie di colori di chiari e di scuri».
Di lì a poco, arrivarono anche gli anni felici di Castiglioncello a casa di Diego Martelli, dove dal 1861 l’intellettuale fiorentino radunava gli artisti alla ricerca di una nuova luce da fermare sulla tela, studiando gli effetti della diverse intensità sul paesaggio nell’arco della giornata. Ma non certo come facevano gli impressionisti, che oltretutto cominciarono una quindicina di anni più tardi.
Lui era andato a Parigi per un breve soggiorno nel 1875 e aveva conosciuto gli artisti più in voga di quella rivoluzione “en plein air”. Però, non ne era rimasto per niente colpito. Anche loro dipingevano all’aria aperta: con Silvestro Lega, Giuseppe Abbati, Telemaco Signorini, Odoardo Borrani, Vincenzo Cabianca, prendevano tele, tavolozze e pennelli e trascorrevano ore in riva al mare, col cavalletto sugli scogli o sulla spiaggia, di fronte a quel mare, quel cielo e a quella luce sempre diversi a seconda del sole, delle nuvole, del vento.
Ma quel che era diverso tra gli impressionisti francesi e i nostri macchiaioli, oltre allo stile, era lo spirito che li animava!
Molti sono stati i critici che si sono accorti della grandezza di quel poeta artigiano, rivoluzionario in tutto, nella vita come e forse ancor più sulla tela. Un capolavoro tutto italiano. Per questo non dovette aspettare molto per essere considerato il più europeo dei pittori italiani dell’Ottocento.
Nel 1869 fu nominato professore all’Accademia di Belle Arti di Firenze, diventando poi docente onorario. Dal 1895 espose alla Biennale di Venezia, senza essere mai sedotto dalla gloria e dal successo. Scontroso e riservato, solo in mezzo alla natura ammorbidiva la tristezza e il dolore per i suoi lutti: tre volte sposato, tre volte rimasto vedovo.
Non è certo un caso se nell’ultima tela rimasta incompiuta, a cui lavorava pochi mesi prima della sua morte a Firenze nel 1908, Fattori era ancora intento a dipingere una spiaggia, con un cavallo pacato, un capanno bruciato dal sole, l’arida vegetazione della costa labronica.
Il dipinto si intitola Ultime pennellate…
Bellissimo grazie !
Bellissimo racconto di uno dei pittori che amo maggiormente. Brava Barbara