Assedio di Firenze? … Maramao!
Poca gente si sofferma a riflettere su quanta storia possa spesso ritrovarsi in una canzone. E certamente, pochissimi ancor meno immaginano quanta ne racchiuda una canzone apparentemente tanto frivola come Maramao, perché sei morto. Tuttavia, questo allegro motivetto compare nella storia d’Italia in almeno tre secoli differenti.
Soprattutto, in uno di questi frangenti, toccò la nostra città parecchio da vicino….ma andiamo per ordine.
Partendo dal 1939, anno della morte di Costanzo Ciano, livornese, presidente della Camera dei Fasci e padre di Gian Galeazzo, ministro degli esteri e genero di Benito Mussolini. Poche settimane dopo la sua dipartita, venne pubblicata la canzone dal titolo Maramao perché sei morto, firmata dai musicisti Mario Panzeri e Mario Consiglio: si trattava di un brillante foxtrot cantato tutto al femminile, dalla voce di Maria Jottini e dallo swingante quanto mai olandese Trio Lescano.
Il caso scoppiò quando a Livorno iniziarono i lavori per edificare un monumento a Ciano: nottetempo, alcuni studenti scrissero sul basamento alcuno versi tratti dal brano. Il capo della censura, sospettando che si trattasse di una canzone di fronda, convocò subito entrambi i compositori i quali, per loro fortuna, riuscirono a dimostrare che il brano era stato scritto molto prima della morte di Ciano e non certo da loro che si erano presi soltanto il merito di riportarlo alla luce in una versione più attuale e orecchiabile.
Purtroppo il fatto era che Panzeri non aveva ripescato dal passato una canzonetta del tutto innocua. La triste vicenda del gatto Maramao era stata narrata in precedenza secoli addietro, causando già a quel tempo qualche problema.
E adesso che abbiamo capito come le origini di questa tiritera siano da ricercarsi nella tradizione, passiamo ad elencare alcuni ipotesi per risalire a quella più autentica: la prima è che Maramao derivasse da Mara maje ovvero Amara me, e che dunque provenisse da un antichissimo canto popolare abruzzese.
Un altra sostiene in base ai trascorsi storici che il protagonista non fosse mai stato un gatto morto bensì lo spirito del Carnevale al quale, in passato, in alcune località d’Italia veniva riservato un ricco funerale con tanto di bara e corteo durante il periodo di Quaresima.
Ma l’ipotesi più suggestiva è quella che sovrappone la frase «Maramao perché sei morto» all’ancor più celebre «Maramaldo, tu uccidi un uomo morto!».
E per avvalorare quest’ultima versione, dobbiamo tornare indietro di parecchio, ovvero al XVI secolo; più precisamente al tempo in cui la nostra nostra città, Firenze, fu presa d’ assedio quale atto finale della imposizione del predominio Imperiale in Italia per opera di Carlo V d’Asburgo.
Esso ebbe inizio il 14 ottobre 1529 e si concluse soltanto l’anno seguente, il 12 agosto 1530.
Avendo piegato le ultime resistenze alla sua politica egemonica col sacco di Roma, e la resa di papa Clemente VII alla cui signoria Firenze si era ribellata, allo scopo di contentare il nuovo alleato e farsi perdonare l’inaudito attacco al papato, Carlo V aveva dovuto promettere, pur con scarso entusiasmo, di impegnarsi a ristabilire la famiglia Medici sul trono ducale.
Della difesa della città era stato incaricato in qualità di capitano il generale Malatesta IV Baglioni il quale però, nella realtà dei fatti, mirava assai più ad ingraziarsi il papa per tornare in possesso della città di Perugia.
Probabilmente, per raggiungere il suo scopo, egli arrivò addirittura a tradire il prode capitano Francesco Ferrucci nella Battaglia di Gavinana (avvenuta nel 1530), mediante la spada di tale Fabrizio Maramaldo.
Infatti, mentre la guerriglia incombeva, il condottiero napoletano trafisse a morte il suo prigioniero, sebbene non ce ne fosse alcuna necessità in quanto il capitano era già stato gravemente ferito e risultava ormai inerme.
Motivo di tanta ferocia (e causa del sinonimo di vigliaccheria che accompagna ancor oggi il termine maramaldo) pare fosse dovuto ad un precedente scontro intercorso tra i due a Volterra: nel corso di quella battaglia, oltre a uccidergli un araldo, Ferrucci aveva preso a irridere il rivale dall’alto delle mura della città, storpiando il suo nome in Maramao e facendo penzolare dei gatti dalle finestre, in modo che le povere creature sofferenti miagolassero disperatamente.
A proposito di quest’ultima storia c’ è chi vuole che una volta liberatosi del nemico, Maramaldo fosse tornato a Napoli a gozzovigliare e che solo allora venisse colto da morte improvvisa, suscitando di conseguenza il commento: «Avevi tutto, donne, cibo…Maramaldo, perché sei morto?»
Concludendo, miei cari amici, allora altro che 1939, fascismo, Panzeri e Ciano! Quel che è certo (nell’incerto) è che la filastrocca di Maramao sia antichissima e si perda nei secoli della tradizione popolare italiana. Una tradizione popolare dove il gatto è molto più diffuso e radicato di un Maramaldo.
Tanto più che il gatto è altamente simbolico, e dopo essere stato considerato addirittura un Dio dagli Egizi, è stato creduto dal popolino e dai preti che lo aizzavano, il protagonista dei sabba delle streghe, o meglio, l’immagine stessa della strega, rappresentandone secondo i pregiudizi popolari l’indole maligna e la falsità per eccellenza. Anche per i popolani romani, il gatto è sempre stato visto come l’animale più ladro e inaffidabile che ci sia, dopo la gazza, ovviamente. Il gatto è stato anche utilizzato per secoli dalla satira contro il Potere.
Ma allora, se tutto il quadro semantico-psicologico combacia nel fornirci un’immagine simbolica del gatto irriguardosa pure del potere (sempre ammesso che secondo fonti attendibili Maramao sia un gatto), Signori di questa Corte, le conseguenze sono drammatiche e aberranti: «Maramao perché sei morto?»
Scherzi da prete? No, scherzi da gatti. Sempre colpa loro!