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Il fantasma del Barone di Ferro

La Toscana ed in particolare il Chianti, quasi come la Scozia, pullula di fantasmi che si aggirano più o meno allegramente tra borghi e castelli. Gaiole in Chianti, la deliziosa località in provincia di Siena, non fa eccezione e custodisce tra le mura del Castello di Brolio (e non solo), il fantasma di un personaggio davvero illustre.

Ricordate l’inventore della formula del vino Chianti Classico, il fondatore del quotidiano La Nazione, nonché il presidente del Consiglio nel 1861 del neonato Regno d’Italia? 

Ebbene, la storia di oggi racconta proprio di lui, di un personaggio controverso e vivace, una figura attorno alla quale ruota da secoli una inquietante leggenda; Bettino Ricasoli, barone di Brolio, è lui infatti il fantasma più famoso di tutta la Toscana. A Firenze, il barone viveva nel palazzo di famiglia in via Ricasoli (ma quando ci abitava lui, quella strada si chiamava via del Cocomero!).

Conosciuto anche con il soprannome di “Barone di Ferro” per il suo carattere duro e intransigente, si narra che il suo spirito abiti ancora oggi a Gaiole in Chianti in quella che fu la sua ultima residenza, il Castello di Brolio, proprietà della famiglia.

Barone Bettino Ricasoli, Firenze, 9 marzo 1809 – San Regolo, 23 ottobre 1880

L’appellativo con cui è ricordato deriva come dicevamo poc’anzi, direttamente dal suo modo di essere: duro, intransigente, aspro e severo. Tanto per darvi l’idea del personaggio, vi basti sapere che ai suoi mezzadri aveva proibito il culto della Madonna sostituendolo con quello di Sant’Isidro, il santo dei contadini che predicava l’obbedienza al padrone! E guai a trovare nelle case un’effige della Madonna! Sembra anche che contasse le pesche attaccate agli alberi ed i grappoli d’uva delle viti per essere sicuro che i contadini non sottraessero niente al suo guadagno. 

Una volta ritiratosi dalla vita politica Bettino si era trasferito nel castello di Brolio, l’antica dimora dei Ricasoli arroccata sulla collina che domina il Chianti.Qui aveva potuto dedicarsi alla sua grande passione: l’arte di produrre il vino. 

Il nostro nobiluomo era un agricoltore esperto ed era membro dell’Accademia dei Georgofili. Tra i tanti obiettivi che si era prefisso, si era dato anche una missione assai particolare: realizzare il vino sublime. Ci lavorò per anni, caparbiamente e tenacemente, avvalendosi dei chimici più esperti, recandosi spesso in Francia per imparare le tecniche di vinificazione più all’avanguardia. 

Per il barone, il vino sublime doveva poter essere esportato e bevuto in tutto il mondo, perciò era di fondamentale importanza che l’elisir di Bacco conservasse inalterate le sue proprietà organolettiche, indipendentemente dai lunghi periodi di viaggio che avrebbe dovuto affrontare. Così, per sondare la tenuta dei suoi vini durante il trasporto, il barone aveva escogitato delle apposite “prove di navigazione”, imbarcando per anni le botti sulle navi dirette verso ogni angolo del pianeta.

Preciso e meticoloso, Ricasoli alla fine arrivò a emettere la formula perfetta: aveva capito che i risultati migliori si potevano ottenere proprio dal vino comune di Brolio, composto alla base solo di uva sangiovese. Si trattava quindi di comporre, in quella magica alchimia che è la vinificazione, i giusti dosaggi di diversi altri vitigni e, provando e riprovando, la combinazione giusta l’avevo azzeccata: sette decimi di uva Sangiovese, due decimi di Canaiolo, e un decimo di Trebbiano e Malvasia. Aveva cioè azzeccato la formula che avrebbe fatto del Chianti uno dei vini più conosciuti del mondo. Tale formula è rimasta pressoché invariata nel corso degli anni e vige tuttora nel disciplinare del Consorzio, con l’unica variante che è stata eliminata la Malvasia.

Il suo desiderio di controllo in tutto quel che faceva fu però anche causa della sua morte. Fu cosi che un giorno d’autunno, cercando di domare una cavalla che rifiutava di essere sellata, il suo cuore già malato da tempo, cominciò a cedere. 

Quel 23 ottobre dell’anno 1880, il barone tutto d’un pezzo, pur sentendo venirgli meno le forze vitali, ce la fece anche a ritirarsi nelle sue stanze senza l’aiuto di alcuno. Una volta chiusosi la porta alle spalle, non volle vedere nessuno. Fu così che morì, da solo e senza fiatare. 

Alla sera, un domestico di casa Ricasoli scoprì il corpo senza vita del barone. La sua salma non venne subito inumata; prima della sepoltura si doveva attendere l’arrivo del Prefetto e c’erano da sbrigare parecchie pratiche burocratiche.

Da quel momento, iniziarono a circolare alcune dicerie. Il marchese era trapassato da pochissimo tempo e già la servitù del castello aveva cominciato a sentire strani rumori, a vedere porta aprirsi da sole, spostamenti di oggetti e cose di questo genere.

Altri avvenimenti inquietanti si registrarono il giorno del suo funerale, quando strane raffiche di vento fecero aprire e chiudere le finestre violentemente e in modo improvviso.

Anche il momento del trasporto la bara fu strano: il feretro era talmente pesante da sembrare pieno di pietre. I racconti popolari vogliono però che dopo che il prete ebbe pronunciato delle frasi in latino praticando un esorcismo, la bara divenne di colpo di nuovo leggera. 

Fu in seguito a questo singolare episodio che tutti iniziarono a credere che l’anima del barone fosse dannata. Interrata più volte durante il giorno, la bara veniva sempre trovata riemersa il giorno successivo. All’epoca vi era la convinzione che le anime dannate andassero confinate in un luogo sicuro; la salma del Barone Ricasoli fu quindi seppellita in un dirupo chiamato Borro dell’Ancherona. Da quel momento iniziarono una serie infinita di avvistamenti del fantasma di Ricasoli, da parte dei contadini che venivano svegliati la notte dal ghigno di Bettino intento a fissarli o dai domestici della dimora Ricasoli che trovavano ogni mattina le lenzuola della stanza del barone sempre fuori posto.

 

Nel 1965, il giornalista del Corriere della Sera Renato Polese passò una notte al castello per scrivere sul fantasma di Bettino Ricasoli che, secondo i racconti dell’inviato del quotidiano, riuscì ad incontrare prima dello scoccare della mezzanotte. L’articolo di Polese sul suo incontro con il Barone consacrò le leggende che già da tempo circolavano sull’inventore del vino Chianti facendolo diventare così anche lo spettro più famoso d’Italia.

Tutt’oggi pare che il fantasma del Barone di Ferro sia spesso avvistato nel Chianti: nella sua camera del castello di Brolio dove si diverte a scompigliare le coperte o, nelle notti di luna piena, in giro per la campagna avvolto in un mantello nero ed inseguito da una muta di cani.

Storia interessante, no? Se anche voi siete amanti del mistero e vi intriga la caccia ai fantasmi, organizzate una gita al Castello di Brolio, proprio come ho fatto io lo scorso anno, e tenete bene gli occhi aperti: chissà che non vi capiti di incontrare lo spirito inquieto del barone.  Io però, non sono stata così… sfortunata!

 

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Barbara Chiarini

Barbara Chiarini nasce a Firenze nel 1967. Laureata in Architettura con indirizzo storico-restauro e conservazione dei Beni Architettonici, si ritiene un architetto per professione, una scrittrice per passione, ed una fiorentina D.O.C. Autrice del libro “Per le Antiche Strade di Firenze”, “Una finestra affacciata dull’Arno” e “Su e Giù per le strade di Firenze”, ella è anche la fondatrice nonche’ uno degli Amministratori di questo Blog.

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Daniele Gregori

Mia zia, fattoressa a Brolio fino alla fine della guerra, mi raccontava la storia di Bettino e delle sue strane visite notturne. Giurava che le lenzuola del letto di morte fossero spesso trovate scomposte al mattino…

Ciro Notaro

Racconto interessante letto d’un fiato. Raccontato bene dall’autore. Queste storie fantastiche, che si intrecciano con la realtà rapiscono il lettore e creano l’attesa per la storia successiva. COMPLIMENTI🌹

Ciro Notaro

Ben raccontata, molto intetessante

Luigina filipetto

Con grande piacere mi sono imbattuta nei suoi racconti

Leonardo Frascaria

Chi ha scritto questa stupenda diceria, l’ha fatto come chi conosce bene la nostra lingua. La si legge come se si scivolasse su una strada unta di olio, in batter d’occhio.

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