Norimberga, ultimo atto
Il 2 settembre 1945 si chiudeva il sipario sull’ ultimo atto: la resa del Giappone.
In realtà, il fatto che aveva posto fine alla Seconda Guerra Mindiale era stato scritto due mesi e mezzo prima ma il mondo intero chiedeva ancora giustizia per tutti gli orrori commessi nei confronti del popolo ebraico come anche di altre etnie.
La ferocia del Nazismo non poteva essere lasciata impunita.
Al contempo, occorreva segnare una linea di demarcazione nella politica internazionale tra il recente passato e quelli che sarebbero divenuti gli scenari futuri: occorreva che venissero creati degli efficaci strumenti di prevenzione e di contrasto di fronte a qualsiasi altro e eventuale tentativo di sterminio e pulizia etnica.
Questa vergognosa pagina di storia, purtroppo c’ era stata ma non si sarebbe mai più dovuto ripetere.
Una serie di premesse ideologiche più che sufficienti per far emergere forte e chiara l’esigenza di istituire un tribunale internazionale: il suo atto di nascita era stato sancito tra Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica nell’incontro di Londra dell’8 agosto 1945. I Tre grandi avevano sottoscritto uno statuto cui successivamente avrebbero aderito ben 19 paesi facenti parte di tutti i continenti.
Come sede fu scelta la città di Norimberga, soprattutto perché era l’unico centro abitato della Germania risparmiato in parte dai bombardamenti, pertanto poteva offrire strutture agibili e adatte ad ospitare quel tipo di evento.
Ma vi furono anche delle forti motivazioni simboliche, dato che nella seconda città della Baviera si erano tenuti i riti ufficiali del regime hitleriano e sempre qui erano state emanate le leggi discriminatorie verso gli ebrei e le razze “inferiori”.
Si arrivò così al 20 novembre 1945, giorno di apertura del Processo di Norimberga il quale mise alla sbarra ventidue tra i più alti gerarchi nazisti, come Hermann Göring, il numero due della Germania nazista e ideatore della Gestapo (la potente polizia segreta del regime); Joachim von Ribbentrop, ministro degli esteri e ideatore dell’omonimo patto con l’URSS per spartirsi l’Europa centro-orientale; Julius Streicher, l’ insegnante elementare, autore della spietata propaganda antiebraica.
Ma all’appello non tutti furono presenti: mancarono figure di rilievo come Goebbels ed Himmler, i quali avevano preferito suicidarsi, emulando il Führer, come mancarono tutti quelli che fuggirono in Argentina, accolti dal regime peronista.
Quattro i capi d’accusa contestati agli imputati: «complotto», «crimini contro la pace», «crimini di guerra» e, per la prima volta nella storia, si parlò anche di «crimini contro l’umanità».
Dichiaratisi «non colpevoli», disconoscendo l’autorità del tribunale, gli imputati vennero sottoposti, nel corso del processo, a esami psichiatrici e psicologici (i risultati sono tutti stati resi noti negli ultimi anni), atti a indagarne la personalità e rispondere all’unanime quesito sull’incompatibilità tra il loro essere individui “sani di mente” e l’efferatezza dei crimini commessi.
Meno di un anno dopo, il 1° ottobre 1946, si arrivò al verdetto: 12 condanne a morte, tre ergastoli, due pene a 20 anni di carcere, una pena a 15 anni, una a 10 e 2 assoluzioni.
Nonostante sia stato criticato da numerosi giuristi e osservatori che ne hanno contestato il fatto che fosse stato organizzato dai vincitori del conflitto, il Processo di Norimberga ha segnato una svolta politica e culturale, introducendo nel lessico comune, oltre che giuridico, termini come “crimini di guerra“, “diritti umani” e “genocidio“ (neologismo che unisce il greco genos, razza o etnia, con il latino cidium, uccidere).
Si delineò in questo modo il Diritto Internazionale moderno, ciò che è attualmente alla base di importantissime istituzioni quali l’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Tribunale Internazionale che si trova all’Aia.