I racconti di MileniK,Le vostre storie

Classe 1924

«Senti Luigi, non ho più bisogno di tre braccianti per il lavoro nei campi: da lunedì potrà venire uno solo di voi, il lavoro è calato.» Disse l’uomo porgendo all’operaio una busta chiusa.

«No, aspettate, non potete: ho una bambina piccola da crescere e questo lavoro mi serve.» Replicò il bracciante.

«Te l’ho detto: mi dispiace!». L’uomo fu categorico e, all’operaio, non restò che chinar la testa.

«Comandate signor padrone!». Rispose.

Luigi tornò a casa triste, avrebbe dovuto trovare un altro lavoro come bracciante per Giorgio e Iole i due figli che lavoravano nei campi con lui. A casa c’era la piccola Flora da crescere e i soldi erano sempre pochi.

«Non ti preoccupare babbo! Una soluzione la troviamo; posso andare presso una famiglia come domestica, sto crescendo è ora che mi trovi un posto mio.» Gli rispose la figlia maggiore. Anche Giorgio aveva in mente un lavoro nuovo; il vento di guerra soffiava da un po’ e presto sarebbe arrivata anche la sua cartolina precetto: lui voleva fare il vigile urbano! Nei momenti di riposo si divertiva a correre dietro alle ragazze in bicicletta e, fingendosi una guardia, impostava la voce cupa e gridava: «Alt! Le bici devono girare in fila indiana! In fila per uno!» Diceva loro. Non disse nulla in casa, ma il giorno dopo si recò alla caserma dei Vigili che, per prestigio e posizione, era sopra alla caserma dei carabinieri.

Quando si sentì dire che non c’era posto come guardia comunale, Giorgio sconsolato, si avviò all’uscita e fu lì che vide un poster che riportava la scritta: Arruolati! Il tuo Paese ha bisogno di te!

Beh, se non poteva fare il vigile, sarebbe potuto andare nel Regio Esercito e servire il Paese in maniera seria. Allora entrò nella caserma dei carabinieri e chiese al piantone come potesse fare per arruolarsi;«Ah, bravo giovanotto, dovrete dare un esame, scrivere in italiano, tornate domani con un documento d’identità, ce l’avete? Basterebbe anche il certificato di nascita. Perché non vi arruolate nell’Arma? Non avrete bisogno di nessun compito!» Gli disse il maresciallo che lo accolse.

«Mah io veramente non saprei…» Rispose indeciso Giorgio.

«Ah avete paura eh? L’Arma è famosa per le sue azioni eroiche, per i suoi martiri!»

«Non ho paura! Mi arruolo volontario è che…»

«Ho capito! C’è un posto giusto per voi: una volta erano chiamate asole gialle! Un posto più tranquillo, non vanno in guerra, controllano le dogane e le frontiere, pericoli non ce ne sono nella Regia Guardia di Finanza, che ne dite: vi piacerebbe? C’è da fare l’esame!» Il militare rise di Giorgio che, irritato dal fatto che il maresciallo deridesse il suo coraggio, era diventato rosso e si mordeva la lingua per non rispondere. Giorgio aveva visto spesso quei militari passare in moto per il suo paese, per lui sarebbe stato un onore far parte della Regia Guardia di Finanza, avrebbe dimostrato al maresciallo che si sbagliava sul loro valore. Il giorno successivo sostenne l’esame con altri cinque ragazzi presso la caserma dei carabinieri delegata all’arruolamento.

Alla consegna dell’elaborato il maresciallo gli spiegò che poteva scegliere dove arruolarsi. Giorgio tornò a casa felice dove, a pranzo, svelò la sua scelta. Due giorni dopo arrivò la cartolina con le indicazioni necessarie a raggiungere la scuola alpina di Predazzo, per iniziare l’addestramento. Le lacrime della mamma e la nostalgia di casa si dissolsero appena vide davanti a sé le Alpi piene di neve che lo sovrastavano e che lo facevano sentire piccolo.

Scese alla stazione, sacca a tracolla, passo veloce, occhi a quelle montagne così alte da lasciarlo senza fiato, affascinato dal paesaggio; non aveva mai visto niente di simile: l’impetuosità dell’acqua nel torrente che scorreva a fianco dell’immobile, il verde dei pascoli intorno, tutto era meraviglia per lui. Superato l’ingresso della scuola capì di aver fatto la scelta giusta. Si impegnò nello studio per diventare un finanziere. Il suo obiettivo era tornare in licenza e rivedere quel maresciallo e dirgli che si sbagliava, che doveva rispetto alle fiamme gialle, non alle asole gialle, come le aveva appellate lui con un vezzo dispregiativo, nome, ormai superato, dovuto alle prime divise che avevano le asole contornate da panno giallo paglierino. Imparò a sciare, a distinguere tra contrabbando e ricettazione, studiò il codice di comportamento, l’utilità delle dogane e come controllare le frontiere. Concluso l’addestramento, dopo il giuramento, si dimostrò un bravo finanziere; quel fermento che sentiva dentro, quella voglia di essere parte di qualcosa di importante,

tipico dei giovani, fu spezzato dagli eventi.

Il suo diretto superiore un giorno adunò tutti i giovani allievi nel grande salone e comunicò loro che il generale Badoglio aveva firmato l’armistizio con gli americani. Da quel momento non erano più alleati con i tedeschi e, presto, sarebbero stati circondati e catturati dalle truppe di Hitler in rastrellamenti che erano già in atto in tutta la penisola. I giovani allievi si guardarono stupiti e proposero di difendere la scuola: le armi c’erano, la passione pure, si sarebbero difesi con onore, ma gli ordini erano di non mettere a repentaglio le seicento giovani vite in una difesa che sarebbe

risultata impossibile.

Nell’arco di pochi giorni i tedeschi catturarono tutti gli occupanti della scuola. Smistato, sballato, pressato in vagoni già strapieni di giovani militari smarriti, presto Giorgio perse il contatto con i suoi amici con i quali aveva organizzato una piccola offensiva per vendere cara la pelle: per combattere, sentendo bruciare l’onta della resa. Ormai senza speranze, chiusi nei vagoni, i giovani militari risposero mesti agli ordini del nemico, cercando di resistere e mantenere, comunque, quel senso di dignità che li sosteneva. Ripresero coscienza di sé quando vennero radunati nel campo di

concentramento, assegnati alle baracche e spinti dentro con il calcio del fucile, considerando quanto nelle loro fattorie, venendo quasi tutti dalla campagna, trattassero meglio gli animali di quanto i tedeschi facessero con loro. Caso volle che nella stessa baracca di Giorgio ci fosse il maresciallo dei carabinieri che lo aveva schernito. La diffidenza iniziale si trasformò presto in amicizia nella ricerca di superare le difficoltà di quella prigionia. Giorgio fu mandato a lavorare nei grandi forni di un’acciaieria, mentre il maresciallo si ritrovò a scavare la terra dura e gelata per la costruzione di strade e trincee. Il rientro in baracca era sempre più drammatico, il freddo, i patimenti erano troppi per lui che aveva superato i quarant’anni. Spesso Giorgio lo sentiva piangere nel sonno sussurrando il nome dei figli. Il giovane finanziere capiva il suo tormento era il solito che provava ogni volta che pensava alla mamma, lui che di anni ne aveva appena venti. Lavorare in fabbrica gli dava un vantaggio: stava al caldo. Un giorno, prendendo una pinza con i guanti isolanti, pensò a come aiutare l’amico carabiniere costretto a lavorare al freddo con un cappotto ormai liso. Chiese all’operaio civile se poteva avere un po’ del panno caldo di cui era fatto il manicotto per coprirsi la notte e questi, comprensivo, gli indicò dove trovarne un buon pezzo. Quella notte stessa Giorgio avvicinò il maresciallo e gli mostrò come poteva avvolgersi la stoffa sotto la maglia e proteggersi dal gelo della giornata.

«Grazie, fratello! Mi chiamo Sergio! Sono di Bologna e se riusciremo a tornare a casa ti presenterò la mia famiglia. Se tutti i finanzieri sono come te, quando ne incontrerò uno, in futuro, scatterò sull’attenti, te lo giuro.» Gli disse commosso.

Una notte i tedeschi radunarono i prigionieri e li portarono in campi più lontani; marciarono col buio, sotto la pioggia, per chilometri e per molti giorni fermandosi in altri campi più distanti dalla frontiera. Sergio e Giorgio si aiutarono a vicenda, entrambi non fumavano e usavano le sigarette che trovavano come merce di scambio per il pane, ma nonostante tutto si persero di vista. Molti dei prigionieri morivano dal freddo, dalla fatica, dalla dissenteria; poi, un giorno, i tedeschi abbandonarono gli internati in mezzo al nulla. La mattina successiva i prigionieri si trovarono circondati dagli americani.

Erano passati tre anni! A guerra finita la vita nelle campagne riprese. Giorgio ritrovò alcuni allievi della scuola alpina e con loro fece la strada di ritorno verso l’Italia a piedi o a bordo di camion fatiscenti, irriconoscibili, sporchi e magri, ma con la voglia di tornare a indossare quella divisa dai fregi gialli che somigliavano a lingue di fuoco.

La vita militare di Giorgio iniziò dopo il giuramento alla nuova Repubblica: controllò i confini, segnalò movimenti sospetti, eseguì controlli doganali; ovunque lo mandarono fece il suo dovere rimanendo fedele a quello strano color gialloverde che ormai aveva tinto il suo sangue.

Un giorno, mentre leggeva la targa intitolata al finanziere Lido Gori, all’ingresso della caserma di destinazione, sentì alle sue spalle battere i tacchi in un saluto militare di rispetto. Sorpreso si girò, guardò incredulo l’anziano signore che gli stava di fronte impettito sugli attenti.

«Sei qui?» Mormorò riconoscendolo appena.

«Mio figlio minore è un finanziere!» Rispose con orgoglio l’anziano trattenendo a stento le lacrime.

Poi si abbracciarono contenti di essersi ritrovati.

 

Author Image
Milena Beltrandi

Emiliana a Firenze dal 1970, fa parte del Gruppo Scrittori Firenze. Scrive dal 2017. Alcuni suoi romanzi hanno ottenuto menzioni e premi come: il Nabokov, l’internazionale Pegasus Montefiore Conca, La Ginestra monologo teatrale e III° x racconto La Città sul Ponte. Ha partecipato a 5 antologie a tema e pubblicato una propria raccolta di racconti e ricette Attualmente fa parte della giuria per La città sul ponte.

Previous Post

Next Post

1 1 vote
Voto all'articolo
Subscribe
Notificami
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments
Wordpress Social Share Plugin powered by Ultimatelysocial
WhatsApp