Cronaca nera
Un trafiletto, non più di un centinaio di parole, fra titoli roboanti di recessione economica, pettegolezzi mondani, virtuosismi politici. Poche scarne righe di come un’anziana insegnante sia stata ammazzata a suon di sprangate, la sera scorsa.
Delitto orrendo, assurdo se, come l’articolo recitava, la protagonista del fatto era un’irreprensibile vecchietta che viveva da sola. A detta dei vicini, un’innocua signoracurva sotto il peso degli anni e di cappotti larghi che cedevano sulle spalle.
-Era sempre sorridente con tutti, una parola buona anche nelle giornate più nere – è il commento di una vicina di casa.
-Dignitosa, silenziosa tanto da non accorgersi che rincasava, dopo la messa, infilando la chiave nella toppa con fare furtivo, per non disturbare – altra testimonianza.
-Viveva sola con filo di telefono in mano – è la deposizione della collaboratrice domestica – voleva sentire figlio, nipoti, poche amiche …
Una delle tante anziane sole che popolano la città, insomma.
-Non avrebbe mai fatto male ad una mosca – è stato il commento del parroco della chiesa da lei frequentata.
-Ottima cristiana, donna caritatevole, entusiasta della vita!
Eppure è stata uccisa a suon di sprangate violente, colpi alla cieca che l’hanno ridotta in poltiglia sanguinolenta sul lucido pavimento dell’atrio del palazzo in cui abitava.
“Si cerca l’autore dell’efferato delitto. Non si esclude che possa essere qualcuno da lei conosciuto.”
La sera, a detta della domestica, era uscita con gli ex alunni di una classe per festeggiare la rimpatriata dopo tanti anni.
“Si stanno interrogando i sospetti.” Così terminava il trafiletto. Dell’anziana uccisa solo le iniziali.
Come presa inquietudine Adriana chiama subito sua suocera al telefono.
La signora Lucia è un’insegnante di scuola elementare, ormai in pensione da ben trent’anni. Vive da sola, in un appartamento grande come un fazzoletto, ben organizzato, lindo e preciso come lei. Una mente di ottanta anni fresca e lucida che le consente di insegnare ancora frazioni ed analisi grammaticale a qualche ragazzino riottoso ed insofferente. Li sa prendere con l’ineffabilità del sorriso, la pazienza dell’eloquio, la fermezza dello sguardo.
Ama ascoltare musica classica ed operistica; non ha rinunciato al vecchio giradischi in favore di tecnologie moderne. Accarezza la raccolta di dischi in vinile, la collezione di spartiti musicali, i tasti del pianoforte verticale che troneggia in salotto.
Lucido, accordato, carico di foto ed oggetti cari, in eterna attesa che qualcuno lo sfiori e lo faccia rivivere. Quelle dita non ci sono più da venticinque anni. Se ne sono andate nel giro di pochi mesi.
Dita nervose, non stavano mai ferme, tamburellanti, svolazzanti, agitate, frementi si placavano solo sulla tastiera.
Il pianoforte è muto, ora.
La signora Lucia è stata una donna coraggiosa, di altri tempi. Una maestra unica nel senso non solo letterale del termine, in quanto regina di classi e pluriclassi affollate, ma originale perché, in tempi non ancora forieri di novità pedagogiche e di slanci innovativi, non risparmiava tempo né denaro per aggiornarsi ed imparare. Donna ammirevole per dignità e forza d’animo nell’affrontare la vita con le sue gioie e le sue afflizioni fino alla fatica degli ultimi anni di scuola, impegnata con classi di alunni demotivati, sciatti, turbolenti.
Uno in particolare. Un tristo ragazzo che ne aveva combinate di tutti i colori, violento con i deboli, vigliacco con i più forti, svogliato perdigiorno. Un Franti insomma, da libro Cuore, che non era riuscita a correggere, togliendogli il viziaccio di deridere, aggredire, bighellonare per le strade del paese.
-E’ uno che non ci mette tanto a romperti la testa per una sciocchezza – dicevano di lui. Era stata costretta a bocciarlo contravvenendo, per la prima volta, al motto “non uno di meno”.
E se ne doleva perché era l’ultimo anno di onorato servizio durato ben quarant’anni.
Negli ultimi tempi Adriana la vede provata da acciacchi e dolori, fragile nelle espressioni che riverberano un’anima ancora bambina, vulnerabile sotto il peso di una solitudine covata da venticinque anni, orgogliosa tuttavia di essere, agli occhi degli altri, la stessa donna di un tempo.
Adriana sbircia l’orologio: è quasi mezzanotte.
E’ la voce della collaboratrice domestica, una signora rumena che parla un italiano approssimativo e che da alcuni mesi ha preso fissa dimora, dormendo nella cameretta. Le sta dicendo che la signora non c’è, è uscita con i suoi ex alunni, tutti quarantenni, quelli dell’ultima classe, prima della pensione. L’hanno portata in pizzeria a festeggiare la rimpatriata.
Qualcuno è arrivato sotto casa con l’automobile, la vecchia maestra è malferma di gambe.
-Non sa dirmi a che ora rincaserà? – chiede Adriana inquieta.
-No, non ha detto. Credo torna tardi … speriamo che qualcuno la porta indietro … sto aspettando … sento qualcuno sale in ascensore … bussano … aspetta!
La donna s’allontana, silenzio nella cornetta con qualche sfrigolio di interferenza nella linea.
–Oh Diooooo …
2008