Le vostre storie,Racconti

Africa

L’uomo solo ed allampanato camminò lungo il viale screziato dall’ombra dei pioppi.

Trascinava un carrello della spesa senza rumori di ruote e un fagotto di plastica azzurra, tra le dita della mano destra un mozzicone di sigaretta accesa.

All’improvviso si fermò e, Dio solo sa come facesse, raccattò qualcosa frugando tra le foglie rinsecchite.

Sembrava una delle tante anime stanche che girano in città, nei pressi della stazione, sotto ai cavalcavia; lungo le strade si trascinano sempre più numerose di una volta.

Mica come quel “mato de guera” che batteva campi e fossi alla ricerca di qualcosa di insolito da ficcare nelle tasche sformate dei calzoni.

Ed erano cicche, foglie, stecchetti, luccicanti sassolini, scartocci appallottolati, grinze di stagnola.

Come un gazza si riempiva le tasche che la sera gli infermieri regolarmente svuotavano.

Era ingordo di dolci, glieli portava la sorella alla domenica. Fumava la sigaretta finoa che non gli si spegneva tra le dita. Come non sentisse dolore rimase un mistero per tutti.

Magro ed allampanato, perso nel pigiama, con la barba mal rasata e lo sguardo sfuggente d’anguilla si alzava di scatto, tra una fumata e l’altra e gironzolava senza meta, il naso pendulo sulla bocca.

“Bepi, come gera e femene in Africa?

“Rosse, zale, blu…

Una volta i suoi occhi si strinsero sulla borsetta che una donna portava a tracolla.

Gliela strappò e la donna urlò di spavento.

“Bepi, fermate! Cossa te fa sempre da manescon!

“Mi so Bepi Formiga…mi so Bepi Formiga…

Era stato trovato febbricitante ed ammutolito nell’impero di sabbia del deserto.

Dalla guerra era ritornato, la sua mente no.

E chissà dove sarebbe vagata dopo le iniezioni, il letto di contenzione, le scariche elettriche, i farmaci, fuori dalle camerate grigie e squallide intrise degli odori della malattia e dei suoni della follia.

Sarebbe volata all’indietro, alle case, alle strade, alle corse nei campi a sgraffignare mele ai contadini, ai baci rubati alle belle tose come l’Olimpia, ai traffici con i soliti monelli di strada, oppure sarebbe rimasta ancorata al fragore dei cannoni, al bagliore del fuoco, ai raggi cocenti di un’estate infinita?

O l’irrequietezza di tornare ai campi e ai fossi non era altro che la voglia di raccattare piccoli brandelli di presente, di vita.

Una vita non vissuta, regalata alla Patria, o meglio vissuta come un attore condannato a recitare suo malgrado una parte eterna.

Qualcosa nel passo dell’uomo solo ed allampanato suggerì che la meta fosse vicina, sicura.

Entrò nel cortile di un caseggiato e scomparve nell’androne.

novembre 2024

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Loredana Facchinelli

Loredana Facchinelli, 1955, classe di ferro e nuvole, felice nonna di Niccolò, è una maestra in pensione che ama scrivere fin da quando era bambina. Si definisce così: “Mi sento come una coppa spumeggiante di bollicine …a volte è champagne, altre volte solo bicarbonato di sodio”!

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Fiorella

Questo è dedicato allo zio brava sorella

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