Le domeniche di Giacomo (Parte Seconda)
Giacomo decise di rivolgersi al medico che gli prescrisse ogni sorta di analisi ed indagini, i quali non riscontrarono nulla se non una perfetta condizione di salute.
-Allora, cosa c’è che non va?
-E’ l’ansia – disse il medico – l’età, sa! Le consiglio una vacanza. Stacchi la spina, si allontani dai problemi …
“Ma di quali problemi va parlando quell’idiota – pensò – sto benissimo, mi sento un giovane di trent’anni. Credo che potrei innamorarmi ancora … – e ripensò allo straccetto di foto nel portafoglio. Poi guardò gli occhi di Larissa, due laghetti limpidi che scaldavano il cuore. Era proprio il fatto di ricominciare ad innamorarsi, dopo tanti anni, a scatenare i problemi e l’ansia di cui blaterava il dottore? Il formicolio al petto non era l’impazienza che si prova, da adolescenti, ai primi incontri? Il vuoto di respiro, la bolla che galleggiava nella trachea e scendeva fino allo stomaco non erano i palpiti e i brividi che vengono dopo il primo bacio? Ed infine il pizzicore al basso ventre non era forse il preludio dell’orgasmo dell’amplesso? Domande che Giacomo si poneva guardandosi allo specchio dove si scopriva attraente e ringiovanito. I chicchi di miglio erano germogliati in capelli scuri, le occhiaie e le borse, sgonfiandosi, restituivano allo sguardo un’immediatezza e una nitidezza di proporzioni e di profondità. Giacomo non si era mai considerato quel che si dice un bell’uomo: aveva il collo tozzo, incassato tra le spalle, il naso troppo lungo, la statura non importante, la taglia non snella ed elegante. Malgrado ciò aveva avuto un discreto successo con le donne, lasciandosi persuadere dalla bontà del detto secondo il quale “ogni lasciata è persa”.
-Che ne diresti di un paio di giorni, da soli, io e te … – propose una domenica pomeriggio. Erano seduti davanti alle tazze di caffè e ai resti di un dolce di cui la signora Muttone gli aveva fatto dono.
-Impossibile – fu la risposta di Larissa – le signorine non lasciano me libera tanti giorni.
-Ma fra quindici giorni è Natale! Domenica e lunedì Santo Stefano …
Giacomo sorrise al pensiero della cosuccia comprata per lei: un foulard di seta azzurra intonato agli occhi. Da quando Giuliano se n’era andato a vivere altrove e più lontano possibile, il Natale era un giorno come gli altri. Bastava il rametto di vischio, comprato alla bancarella dei cingalesi all’angolo della via, a ricordarglielo. A festeggiarlo c’era la telefonata di auguri di Giuliano. Sotto al rametto di vischio diede il primo bacio a Larissa che aveva le labbra di latte e miele. Qualche giorno dopo Larissa gli bussò alla porta. Accaldata sotto al peso di sporte traboccanti di panettoni, mostarda e torroni, felice come una bambina, sussurrò:
-Ho sentito che viene una nipote per Natale … le signorine lasciano libera me fino a Santo Stefano!
Giacomo si mise subito alla ricerca di meta, mezzo di trasporto, albergo. Si trattava di un modo per non pensare al qualcosa che gli stava per traverso, ai formicolii e pizzicorini, all’immagine riflessa nello specchio, di cui non sapeva se rallegrarsi o preoccuparsi. Optò per una località sulle montagne, non alla moda s’intende, non troppo lontana, da raggiungere con un pullman di linea e pensioncina a due stelle. Non osò prenotare una camera matrimoniale. Fu fortunato che la pensione non disponesse di camere singole.
-Lei capisce, fra una settimana è Natale. E’ l’ultima stanza a due letti libera …
Larissa non fece una piega. La vigilia di Natale, quando entrò nella modesta camera e vide i due letti gemelli, sorrise ineffabile e gli prese la mano guidandolo verso quello col copriletto a fiori bianchi e rossi, a destra. Giacomo si svegliò all’alba, di soprassalto, come gli capitava da aprile. Per prima cosa gli balenò in testa il pensiero della telefonata di Giuliano cui, questa volta, non avrebbe risposto.
“Lo chiamerò io, appena torno in città.”
S’accostò alla finestra e il silenzio che udì gli fece presagire che nevicasse. Non avrebbe dimenticato quella notte di vigilia. Improvvisamente il respiro si fece vuoto, soffocò un conato di tosse e si precipitò in bagno per non disturbare il sonno della dolce compagna. La bolla d’aria, il formicolio, il pizzicore l’attanagliarono, divennero impellenti. Avrebbe voluto avere un indice smisurato da ficcarsi in corpo e grattarsi lungo la trachea, l’esofago, lo stomaco, fino giù, in fondo. Per fortuna a pochi chilometri sorgeva l’ospedale. Al Pronto Soccorso gli consigliarono il ricovero per motivi di cautela. In fin dei conti era un settantenne che manifestava sintomi che avrebbero potuto avere a che fare col cuore. Giacomo avvilito guardò Larissa con sguardo da can bastonato.
-Porca miseria! Un Natale come questo non lo passavo da anni!
Larissa lo lasciò che era quasi sera. Se la immaginò rientrare nella pensioncina, coricarsi nel letto a destra col copriletto a fiori bianchi e rossi, partire l’indomani mattina, nella luce cruda della neve che aveva imbiancato il paesaggio, tornare verso la città e le Sbrilli. Senza di lui. Giacomo rimase in ospedale, in balia di medici, infermieri, radiologi, analisti che lo setacciarono da capo a piedi per tre giorni. Al termine dei quali un’equipe di camici bianchi lo circondò scrutandolo in modo strano.
-Lei, la conosce la favola di Giacomino e il fagiolo magico? – esordì colui che doveva essere il più importante.
Incredulo Giacomo ripose che si trattava di una favola da bambini, ma che non capiva come potesse interessare il caso suo. Il medico aveva un’aria vagamente divertita.
-Non ci crederà, ma le radiografie palesano che dentro di lei sta crescendo qualcosa …
-Oddio, non sarà mica qualcosa di brutto!
Tra il divertito e l’imbarazzato il medico proseguì:
-Qualcosa che ci fa supporre si tratti di un germoglio …
-I piselli della signora Muttone! – gridò Giacomo e gli fu chiaro che un pisello aveva preso la strada sbagliata, era sceso nella trachea e là stava mettendo radici.
-Ora si tratta di decidere l’intervento – continuò il medico – non si può consentire al legume di crescere, diventare una pianta! E’ sconveniente e pericoloso, insomma!
Giacomo si sentì d’accordo con la scienza medica. Era chiaro e lampante: come cresceva il pisello, così lui ringiovaniva. Miracolo di vita, prodigio di natura, scherzo del destino. Avrebbe preferito ringiovanire ancora un po’ e pensò agli occhi di Larissa, al copriletto a fiori bianchi e rossi, al rametto di vischio. D’altronde, ora che sapeva quale fosse la causa del formicolio in gola, del pizzicorino al basso ventre, non poteva non pensare quanto fossero fastidiosi e sconcertanti perché gli impedivano di riposare bene, di apprezzare il silenzio e la quiete dopo una vita fatta di rumori, corse, affanni, frastuoni. Aveva varcato la soglia dei settanta e nessuna forza naturale o magica poteva riportarlo indietro, neanche il miracolo di un pisello sfuggito alle leggi della deglutizione. Non era neppure convinto che Larissa corrispondesse ai suoi sentimenti. Si nascondeva in lei qualcosa di lontano ed irrisolto che le chiacchierate domenicali, davanti alle tazze di caffè, non aveva fatto in tempo a trapelare. Figurarsi poi se il bacio sotto al vischio e l’assalto di una notte bastavano a svelarne il mistero! Troppo fragile il germoglio della loro intesa. Era stata un’illusione chiamarlo amore. Innamorarsi in effetti era un’altra cosa. Giacomo l’aveva provato solo una volta, solamente con lei, la donna della foto. Meglio estirpare quel maledetto pisello dalla sua vita, non soffrire, rassegnarsi ed invecchiare. Accettò che l’intervento fosse fissato da lì a qualche giorno, persuaso che si sarebbe trattato di cosa semplice e rapida. All’infermiere che gli chiese se preferiva avvisare qualcuno, rispose che non c’era nessuno da avvertire. Non servì aspettare la data stabilita, perché la mattina di Capodanno, durante lo scambio di auguri con gli altri degenti, Giacomo ebbe un sussulto e sputò sul lenzuolo il pisello. A lungo lo guardò prima di chiamare l’infermiere: un bottoncino tutto grinze, di color bruno scuro, con tanto di radichetta ed un accenno di fogliolina. Fu dimesso due giorni dopo. Stava benissimo, a parte la fiacca da vecchio nelle gambe che gli fece rimpiangere la cara impronta della poltrona. Una benefica sonnolenza lo invase nel pullman fino a casa, senza risvegli bruschi, salti e soprassalti. Nelle prossime settimane avrebbe dovuto rassegnarsi a perdere i peli e rinunciare ai ciuffetti di capelli cresciuti come chicchi di miglio. Gli amici non gli avrebbero fatto i complimenti perché ringiovaniva a vista d’occhio. Le scaramucce e le rappresaglie coi giovani del caseggiato sarebbero riprese benché non fosse così convinto di vincere la guerra del silenzio. Tutto nella norma, ogni cosa al proprio posto nel corso naturale della vita, riprendeva il ritmo delle stagioni e del tempo. Ritrovò il silenzio e la pace dei sensi. Fu contento di rivederla ma non si chiesero nulla. La invitò per l’ultimo caffè della domenica. Larissa gli disse che sarebbe ritornata dal marito che non vedeva da cinque anni; si trattava di una decisione sofferta, difficile, irrevocabile, da pochi giorni comunicata alle signorine Sbrilli che l’avevano presa male. Non volevano perdere un’accudiente efficiente come lei. Giacomo non fu sorpreso. In fondo la mossa non lo coglieva impreparato, come se avesse saputo che Larissa aveva una seconda vita ad aspettarla. La sentì come una figlia da consolare per le pene d’amore. Strano che non ci avesse pensato prima, ma Larissa e Giuliano avevano la stessa età. Rimase ad ascoltarla con la pazienza che non era riuscito ad avere in tanti anni con Giuliano. La consolò con parole incoraggianti e sguardi di tenerezza che non aveva mai rivolto al figlio. Nel momento in cui la salutò con un bacio sulla guancia, proprio come si baciano i figli, gli apparve come una sconosciuta contadina della steppa russa, dalla faccia schiacciata color patata lessa. Allora sentì che avrebbe preferito stringere Giuliano tra le braccia, baciarlo sulle guance scarlatte di quando era piccino, dirgli che lo aveva perdonato di avergli portato via sua madre e sentirsi rispondere di essere stato perdonato perché lui, come padre, se n’era andato quasi subito. Giacomo gettò via il rametto di vischio rinsecchito, si riappropriò dell’impronta nella poltrona, accarezzò la foto sbiadita e telefonò a Giuliano. Alla signora Muttone che si offrì di cucinare un piatto di pasta coi piselli, rispose gentile e laconico:
-Grazie, no! L’ultima volta mi sono andati per traverso.
Fine