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L’ospite di Ferragosto (Parte Prima)

Non tirava una bava di aria neanche a spalancare tutte le finestre rischiando che la caligine dell’alba si riversasse dentro impregnando d’umidità lenzuola e pelle. La signorina Ghitta Gnoccarini scacciò con le gambe il lenzuolo ed aprì gli occhi che non era riuscita a chiudere durante la notte. Bisognava accontentarsi delle poche ore rubate al sonno. L’ultimo ricordo era quello del bollettino di guerra delle 23, alla radio: – Caldo subtropicale in tutta la penisola, 38° nella sua città, milioni di vacanzieri all’assalto di spiagge e montagne, incidenti lungo le strade nella giornata che precedeva il Ferragosto.

Erano dieci giorni che i meteorologi ripetevano il ritornello, non s’intravedevano nubi all’orizzonte, il cielo era spietatamente azzurro salvo le spire di caligine bianca di prima mattina pronte a dissolversi come d’incanto, mentre la signorina Ghitta bolliva l’acqua con il miele. Una sorta di rito propiziatorio per chi soffre da anni di stipsi cronica. Poi, distesa sul tappetino, eseguiva la serie di esercizi ginnici che favorivano il transito dell’acqua e miele e quelli che la sbloccavano dall’intorpidimento della notte. L’energia riprese a scorrerle nei muscoli, sotto alla pelle, nelle vene: aveva mantenuto una figuretta asciutta, capace di resistere alle insolenze del tempo che avanzava inesorabile al traguardo di settantadue candeline.

“Grazie alla dieta e ai consigli della mia dottoressa!”  Era molto orgogliosa delle proprie scelte: raggiunta la pensione, dodici anni prima, si era imposta di seguire un regime alimentare che escludeva la carne ed esaltava le verdure ed il pesce. Aveva cambiato medico. Al posto di quel barbogio del dottor Vicenzetti che risolveva tutto, inchiodato alla poltrona dello studio, con una buona dose di vitamine e valium, s’era affidata, su consiglio di una ex collega, alle cure di una giovane dottoressa patita di fitness e medicina alternativa. Sempre sorridente e premurosa, non lesinava le visite a domicilio, la contagiò con dinamismo ed entusiasmo visto che, nel lasciare il lavoro dopo quarant’anni di onorato servizio, temeva la nuova vita da pensionata. Sola, pochissime amicizie, selezionate da un carattere decisamente oltranzista, che non ammetteva passi indietro e ripensamenti; l’unico fratello viveva lontano e dopo le questioni d’eredità, sollevate alla morte dei genitori, si faceva vivo giusto a Natale, con una cartolina d’auguri, la stessa immagine di angioletti e pastori, tutti gli anni, spruzzata di brillantini che s’accumulavano nella busta.

“Ne deve aver acquistato una fabbrica “pensava la signorina Ghitta arricciando il naso “Carlo non è mai stato un originale!”

Dopo la ginnastica fu la volta dell’ascolto della trasmissione radiofonica tenuta da padre Ravetto teologo. Era impensabile perdere le preziose perle di saggezza che il prelato dispensava con voce flautata, mentre la signorina Ghitta, quadernetto alla mano, prendeva nota delle massime sulle quali avviare meditazioni serali. Dalla finestra della cucina cominciarono a giungere i miagolii dei gatti.

“Accidenti! – esclamò toccando la manopola del volume; s’affacciò e nel terrazzino sottostante li vide. Erano tre: due a macchie bianche e grigie, uno color miele. S’aggrovigliavano ruzzolando, rincorrendosi per la lunghezza del balcone, ma soprattutto la fissavano.

– Sì sì, miagolate più forte . . . accidenti a voi, bestiacce e a quella che non la sveglia manco una cannonata! – sibilò con irritazione. Si ritrasse perché il sole scottava e le corde delle tapparelle dell’inquilina del primo piano cigolarono. Segno che le sue maledizioni erano state esaudite. Guardò l’orologio, le otto e trenta.

“Ma come fa a dormire fino a quest’ora? – brontolò mentre s’accingeva a preparare la colazione. Sentì la voce della signora Bardone che chiamava i gatti. Un miagolio umano carico di sorpresa e gioia. Non le poteva soffrire quelle bestiacce! “Ma dico io con tutte quelle che pullulano in giro, – le statistiche dicono che il rapporto tra vedove e vedovi sta 3 a 1 – non mi va a capitare proprio lei che, amante degli animali, ne svezza addirittura tre e proprio sotto al mio naso!”

Il naso della signorina Gnoccarini era proverbiale. Captava gli odori anche nei recessi più reconditi e segreti. Dal balcone della signora Bardone sentiva salire gli effluvi delle lettiere che, sistemate in un angolino, erano sistematicamente ripulite. Non solo. Le narici le prudevano perfino all’odore del pelo che notoriamente non ha odore nei gatti castrati. Aveva denunciato la cosa alle autorità competenti del caseggiato nelle persone del portinaio e dell’amministratore, ragionier Gabettoni, non trovando soddisfazione alle sue richieste di bandire gli animali.

-Esiste il regolamento – asserì il ragionier Gabettoni – che non vieta la possibilità di alloggiare animali nelle abitazioni. . . ci vorrebbe una decisione unanime dei condomini, ma presumo che sia difficile ottenerla da chi comunque possiede già un animale …

E si riferiva al portinaio che teneva una vecchia gatta persiana, alla coppia del terzo piano che allevava canarini e ai bambini della famiglia africana che conservavano una tartaruga. Alle reiterate proteste della signorina Ghitta sul fatto che si sorvolasse su tutto, ma non sulla quantità di bestie, l’amministratore troncò corto: – Il regolamento non lo prevede, cara signorina e d’altronde è stato stilato ben prima che lei venisse ad abitare qui. . .

La signora Bardone ed il marito erano la coppia più longeva del caseggiato, quasi a contendersi il titolo con i coniugi Muttone ed il signor Giacomo. A proposito dei Muttone, inquilini dello stesso pianerottolo, Ghitta andò a socchiudere l’uscio e rizzò il naso. Nell’aria s’era affievolito il sentore di aglio e cipolla del giorno prima. La signora Muttone aveva cucinato per tutta la vigilia, segno che avrebbero avuto ospiti. Invece si sbagliava perché di lì a poco sentì uno scalpiccio sul pianerottolo. Dallo spioncino della porta scorse la sagoma corpulenta del maresciallo e la crocchia della signora Rosa che uscivano dall’appartamento gravati da pacchi e sporte. Il vocione del maresciallo: – Ma quanto pesa ‘sta lasagna, Rosa! In fin dei conti andiamo da Caterina e in tutto facciamo quattro!

-Lascia perdere – rispose la signora Rosa – tuo genero mangia per tre e tua figlia ha da recuperare le forze dopo il parto!

“Ma non sanno parlare sottovoce questi meridionali!” Ghitta tirò un sospiro di sollievo. Anche i Muttone avrebbero trascorso il ferragosto fuori; il portinaio aveva previsto che il caseggiato non si sarebbe svuotato. – Quest’anno c’è la crisi! Resteranno tutti a casa! Tranne gli africani . . . quelli tornano al loro paese per il ramadan. . .

Il portinaio era sempre informato di tutto. Mai sentenza più draconiana fu più smentita di così: Il signor Giacomo era partito per la montagna su invito del figlio che faceva lo scalatore. Gli sposini dell’ultimo piano s’erano eclissati con sacchi a pelo e tenda, lei portava il piccolo in una gerla sulle spalle come una squaw indiana. La famiglia del terzo piano affittava un bilocale al mare; i Cosumanno erano partiti per la Sicilia, come ogni agosto per raggiungere i parenti. Contò le dita della mano: restavano la signora Elia dell’ultimo piano, il portinaio con la moglie, la signora Bardone con i gatti e lei. Che pace! Non che negli altri giorni si sentisse tanta confusione per carità! Erano finiti i tempi in cui i figli dei Muttone facevano comunella con quelli del signor Giacomo, del portinaio, dei Landini, dei Bardone ed altri mocciosi del quartiere riempivano il cortile; i Muttone erano sempre talmente numerosi che formavano una tribù. Negli anni le famiglie del caseggiato non erano cambiate, se si escludevano gli extracomunitari al posto delle sorelle Sbrilli, gli sposini dell’ultimo piano e la famiglia dirimpettaia della signora Bardone che aveva lasciato libero l’appartamento di recente, tutti erano invecchiati assieme al palazzo di cinque piani circondato da un cortile alberato. Il caseggiato aveva subito varie dipinture nel corso degli anni; ora il verde salvia s’intonava con il crema delle tapparelle, delle ringhiere e della cancellata che lo delimitava. Il cancello d’ingresso, irto di lunghe lance appuntite, era imponente e a destra e sinistra sorvegliato da due olmi possenti. Il portinaio aveva fatto piantare una siepe di gelsomino lungo il perimetro della cancellata, talmente fitta e rigogliosa da essere impenetrabile. Per fortuna s’intendeva di giardinaggio.

-Lo paghiamo anche per quello! – soleva ricordare la signorina Gnoccarini durante le riunioni condominiali. Dato che il palazzo era costruito in modo tale che le due ali laterali formassero un rettangolo incompiuto, nella parte retrostante, dove s’affacciavano i box delle rimesse, era stata realizzata una vasta aiuola con aceri e acacie. Crescendo i rami degli alberi s’erano intrecciati come una cupola a protezione delle piante di ortensie, che come i giardinieri sanno, amano la penombra e l’umidità. Erano state piantate dal vecchio portinaio Pasquali su scelta della signorina Sbrilli che le amava tanto da voler incastonarci una panchina con fontanella – è così romantico sedere ed ascoltare il chioccolio dell’acqua! – esclamava la zitella che però protestò per la tariffa salata di consumo, per cui il rubinetto fu avvitato e riaperto solamente in caso di annaffiature necessarie. Le ortensie erano esplose in una portentosa fioritura irrobustendo i gambi e moltiplicando foglie e fiori che in estate sembravano mongolfiere rosa ed azzurre pronte al volo. Non ricordava chi abitasse al posto della giovane coppia dell’ultimo piano. Forse l’appartamento era sfitto quando lei era arrivata.

Stava congetturando sulle date quando sentì un leggero battito di nocche alla porta. Nello spioncino s’inquadrò la cresta bianca della signora Bardone come al solito spettinata.

-E ora cosa vuole?

Socchiuse l’uscio giusto per far capire che non era in grado di ricevere ospiti.

-Scusi se la disturbo – esordì la signora Bardone – anzitutto buon Ferragosto! Non ce l’avrebbe due batterie da telecomando?

-Mi spiace, io non possiedo il televisore, ma potrei vedere … ho quelle per il transistor … La faccia della Bardone s’allargò in un’espressione incredula: – Non possiede il televisore! E come fa?

Ghitta s’infastidì e stringendo i lembi della vestaglia aprì la porta.

-Entri pure … vado a cercarle … io ascolto la radio!

La signora Bardone entrò in punta di piedi sbirciandosi intorno. Indossava una vecchia palandrana di seta e babbucce con la punta ricurva.

-Che bella la sua casa! Che ordine! Non è certo come la mia!

Ghitta non aveva l’udito fine quanto l’olfatto e se la ritrovò alle spalle mentre frugava nel cassetto della scrivania.

-Quanti libri! Ah, lei ha fatto uno studio della cameretta …

-Ero un’insegnante di scuola superiore, non ricorda?

-Ah! Sì forse.

-Sono stata professoressa di sua figlia!

Il sorriso della Bardone era ineffabile: – Mia figlia? Ah sì … -e continuò ad accarezzare con lo sguardo le pareti ricoperte di libri, la scrivania in ordine, il tappeto a vivaci colori ed il lampadario a gocce di vetro iridescente.

-Anch’io ne ho uno appeso in salotto … è difficile contare le gocce … perdo sempre il conto!

-Perché dovrebbe contare le gocce?

-E’ così rilassante che dopo poco m’addormento … ha trovato le batterie? C’è un bel film a quest’ora su Telenove, non me lo voglio perdere!

-Eccole, è fortunata …  L’accompagnò alla porta. La signora Bardone si volse all’improvviso e a bruciapelo chiese:

-Con chi lo passa il Ferragosto?

-Mah … da sola – balbettò Ghitta incerta.

-Perché non lo passiamo assieme allora? Io e lei. Non c’è ragione di stare da sole, ci faremo compagnia! Che ne dice?

A malapena riacquistò la saliva per rispondere. Non era preparata alla richiesta. Le vennero in mente i tre gatti e tentò di ammettere che era allergica al pelo dei felini.

-Oh mi dispiace – disse la signora Bardone – non posso abbandonare i miei tesori il giorno di Ferragosto! Sente, come stanno miagolando? Mi chiamano … – e la palandrana sparì in uno svolazzo giù per le scale. Ghitta ritornò a fare toletta ripensando alle gocce del lampadario e ai gatti. Si ravviò i capelli corti e ricci, naturali s’intende, perché lei della parrucchiera non aveva bisogno. Se li tagliava da sola e solamente da alcuni mesi li trattava con un intruglio pescato in erboristeria, che li sfumava leggermente in cenere. Finora nessun capello bianco: un miracolo della natura! La signora Bardone invece aveva una chioma completamente candida.

-Forse siamo coetanee – mormorò – ma mio Dio è così trasandata e grassa … quella palandrana scucita e sgualcita! Fa poco movimento, non esce mai di casa.

Si faceva fare le spese dalla moglie del portinaio, – la notizia era di dominio pubblico – e la figlia si faceva vedere almeno due o tre volte alla settimana per scarrozzarla con la sua vettura a destra e a manca.

-La porta dal medico, all’ufficio postale per ritirare la pensione, per le bollette – era la portinaia a raccontare – nei negozi … la figlia è una santa! Tanto premurosa …

-Era una delle alunne più promettenti – asserì Ghitta – ed infatti è diventata quello che è.

La figlia della signora Bardone era un architetto rinomato in città, con tanto di studio in centro. Il suo nome campeggiava nei cartelloni di imprese di costruzioni pubbliche e private assieme a quello del marito, ingegnere edile.

-Eppure con tutti gli impegni che ha – sospirò la portinaia – corre qui ogni volta che può.

-D’altronde essendo figlia unica – rispose Ghitta – deve prendersi cura della madre. Mi pare che la signora non sia più la stessa da qualche tempo!

-Eccentrica lo è sempre stata! Da quando è morto il marito però … e poi con quei gatti … ma è tanto buona e generosa, sa! Guardi, questo golfino me l’ha regalato la settimana scorsa … è di cace!

Ghitta lo palpeggiò con aria d’intenditrice: era un modello di cachemire color pervinca, con i bottoncini di madreperla e ricami sullo scollo. L’aveva adocchiato in una boutique del corso, ma era troppo caro.

“Non per le tasche della figlia – pensò – Avete la stessa taglia? Che fortuna!    E aveva lanciato un’occhiata alle forme generose della portinaia. Si stava spalmando la crema sul viso quando sentì il campanello. Stavolta la signora Bardone indossava un caftano di cotone, ma non si era pettinata.

-Non c’è problema! Sistemo i miei tesoretti e vengo io da lei!

Nuovamente saliva azzerata e balbettio indecoroso.

-Ma veramente … il frigo è vuoto, non ho che un cocomero e una pasta fredda …

-Nessun problema! Porto una teglia di lasagne, formaggio, salumi … mia figlia mi ha rifornito di tanta di quella roba da sfamare un esercito!

-Per carità- obiettò Ghitta – io mi accontento di poco …

– E allora che aspettiamo? Passeremo un bel Ferragosto, diverso dal solito …

La proposta cominciava ad essere allettante. Ma sì, che male può fare trascorrere una giornata con una persona che ti abita sotto ai piedi da dodici anni, anche se non la conosci come buona amica e non ti è simpatica per via delle bestiacce che tiene in casa?

“Sono i gatti che mi disturbano – rifletté dopo aver accettato la proposta, mentre la signora Bardone si era nuovamente eclissata giù per le scale e lei, davanti allo specchio, sistemando la collana di perle, amiche inseparabili, si chiedeva se avesse fatto la cosa giusta. Non era allergica ai felini, l’inquietavano gli occhi enigmatici e fissi, la sinuosità dei movimenti e della coda, l’impalpabilità dei passi. Da ragazzina aveva convissuto con un micio, veramente era il gatto dell’Odiata, soffiava ogni volta che la vedeva e tentava di morderle i polpacci. Una volta ci era riuscito lasciandole l’impronta dei denti sulla pelle. Se la sognava ancora quella grossa bestiaccia nera e bianca, dal muso schiacciato, capricciosa e viziata, incubo delle sue giornate finché non l’avevano rinchiusa in collegio, prima della morte del padre. La signora Bardone a parte il vestito che mascherava l’abbondanza di carne ed il ciuffo esasperato dei capelli, non era così male come l’immaginava. Aveva occhi ammiccanti, voce gradevole e modi un po’ fané che le ricordavano la zia Carlotta con la quale aveva vissuto un’estate indimenticabile, ma non era il caso di ricordarla ora! Si diedero appuntamento per mezzogiorno. Rassettò l’appartamento sebbene non ce ne fosse bisogno: non un granello di polvere neanche a cercarlo col lumicino e tutto impeccabile, ordinato, ragionevolmente disposto alla bisogna. Le suore del collegio avevano svolto un eccellente lavoro con lei; la professione scelta per quarant’anni aveva accentuato le caratteristiche di metodicità e perfezionismo. Sbirciò l’orologio, c’era il tempo di uscire ed assistere alla funzione delle undici. Ora il caldo era prepotente, perciò provvide ad abbassare le tapparelle per non far entrare la luce violenta de sole e sistemò in tinello i due ventilatori.

“Preparerò la tavola al ritorno. Aveva già tirato fuori una tovaglia a scacchi bianchi e rossi, un souvenir della vacanza tirolese di alcuni anni prima.

“Fa tanto ferragosto, da pic- nic in un prato … Indossò un abito leggero, i sandali ortopedici che la facevano camminare bene e l’immancabile stola di chiffon al braccio: “Non si sa mai, ci sono tanti spifferi in quella vecchia chiesa.

Bussò alla porta della signora Bardone per avvisarla che andava a messa. Dall’uscio si sporse la donna con un paio di cuffie in testa.

-Quelle del televisore … per non disturbare, sa! Quel maledetto regolamento condominiale! Ghitta sentì che la coda color miele le si attorcigliava alle caviglie. Gli altri due musetti spuntarono dal corridoio fissandola. S’irrigidì immediatamente.

-Non badi a Giacinto, è un coccolone! Dentro, dentro, tesoretti!

Socchiuse la porta dietro di sé spingendo lo zerbino.

-Esco per la funzione delle undici – annunciò Ghitta – che faccio? Prendo delle pastarelle?

-Oh sì! Vada alla pasticceria Menconi, le fanno ottime. E le prenda con tanta crema e zabaione, io le adoro!

 

                                             FINE PRIMA PARTE 

 

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Loredana Facchinelli

Loredana Facchinelli, 1955, classe di ferro e nuvole, felice nonna di Niccolò, è una maestra in pensione che ama scrivere fin da quando era bambina. Si definisce così: “Mi sento come una coppa spumeggiante di bollicine …a volte è champagne, altre volte solo bicarbonato di sodio”!

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