Il mio miglior fallimento
Agosto 2004, Roma
Steso su una sdraio in terrazzo mi godo la soddisfazione di aver chiuso il contratto integrativo di Banca Antonveneta, il migliore del settore.
Sono orgoglioso e comincio a provare quella leggera sensazione di vuoto della serie “e mo’ che faccio?”
Squilla il cellulare. Inaspettato e quindi in sintonia con il mio stato d’animo.
“Del Pinto, ciao.” è l’Amministratore Delegato della Banca Antonveneta, Piero Montani, a parlarmi.
“Sì… ciao”
“Senti, Del Pinto, ho pensato una cosa…Vieni a Padova a fare il Capo del Personale. Ho già fatto questa esperienza – di un sindacalista che viene a fare il personale – nella banca dove sono stato prima, ed è andata benissimo. Vieni a Padova e ne parliamo. Ti prometto – e te lo dico subito – che dopo ti riporto a Roma. Tre o quattro anni al massimo”.
Chiudo il cellulare e mi guardo attorno. Non sono capace nemmeno adesso, dopo 20 anni da allora, di descrivere esattamente cosa mi passasse per la testa e nel cuore subito dopo quella telefonata e quanti stati d’animo attraversai nei giorni successivi.
Per onestà devo dire che la decisione l’avevo presa subito. Avrei accettato.
Ero pronto ad accettare tutto quello che avrebbe comportato un cambio di ruolo così radicale.
Le critiche aspre e senza appello da tanti colleghi rivolte ad un sindacalista molto in vista che passa “al padrone”, ma anche le resistenze aperte e dure dall’establishment della banca, in gran parte veneto, che non avrebbe accettato di buon grado di essere diretto da un ex sindacalista e per di più proveniente da Napoli.
Eppure, contro ogni logica e razionalità volevo accettare quella sfida. Curiosità, ambizione, vanità. E soprattutto perché, arrivato a 54 anni, volevo cambiare tutto.
Attraversai quello spazio vuoto, che mi separava dalla nuova vita, incassando le spalle, commuovendomi e piangendo, portandomi appresso i doni dei colleghi di Napoli ed il biglietto che il mio “fratello” di Napoli, Enzo, con il quale avevo fatto il sindacato per vent’anni, mi scrisse su un foglietto: “Ricordati sempre che sei stato un Grande Sindacalista.”
Piansi allora quando me lo mise in tasca e adesso che ci ripenso.
Il 13 dicembre 2004 arrivai a Padova.
La cosa più ostica fu, per i primi tempi, quella di scendere alle 11 di ogni mattina per il rito del caffè collettivo fra i dirigenti e i preposti in Direzione generale. Vestito come un pinguino, scendevo giù con l’aria buia e la camminata rigida, mentre la curiosità dei presenti apriva un corridoio fino al bancone solo per me.
Dissero di me: “sembra una barca nel bosco.” Avevano ragione.
Ma io conoscevo benissimo la banca – ruoli, funzioni, competenze, assetti organizzativi – perché avevo studiato mesi per scrivere il contratto integrativo, avevo competenza di gestione delle persone, avrei avuto dalla mia parte tutti i colleghi della ex Bna e soprattutto ero deciso a vincere la sfida.
In quei giorni mi ripetevo come un mantra la frase cult di Ed Harris nel film Apollo 13: “il fallimento non è contemplato”.
Cominciai con il fare riunioni su riunioni, poi incontri, presentazioni ai Capi Area del Veneto; giorno dopo giorno prendevo fiducia, e l’obiettivo sembrò davvero a portata di mano.
Poi ad un certo punto accadde che… mi innamorai perdutamente.
Quella donna giovanissima e bella come il sole, che mi aveva fatto battere il cuore a settembre quando la conobbi, dalla quale mi ero tenuto a distanza di sicurezza fino ad allora, decise di venirmi a trovare a Padova.
Cominciammo a frequentarci saltuariamente, ma ogni volta che lei era in albergo ad aspettarmi la sedia del mio ufficio cominciava a bruciarmi sotto il sedere e le riunioni mi sembravano interminabili e soprattutto inutili. Ricordo ancora con raccapriccio le riunioni per predisporre il piano di sicurezza, voluto dalla Banca d’Italia, in caso di crash del sistema bancario.
Naturalmente tutto “peggiorò” quando la banca mi assegnò una casa e lei venne a vivere lì con me in Via Marsala, nel ghetto, un luogo progettato e costruito apposta per essere un nido d’amore.
E lo fu.
Passavo le notti e anche una buona parte del giorno fra le sue braccia e il tempo rimanente a pensare a lei: inebetito, stordito, sconvolto, posseduto da un solo pensiero: Lei.
L’obbiettivo difficile e sfidante di diventare capo del personale di una banca di 14 mila dipendenti si scioglieva ogni giorno di più al fuoco rovente della passione.Come sarei riuscito ad uscire da quella situazione che diventava ogni giorno più visibile agli altri e perciò sempre più incresciosa?
Anche questa volta accadde l’imprevedibile.
La Storia – quella con la esse maiuscola – venne a dare una mano alla mia storia d’amore.
Il 14 febbraio 2005 Giampiero Fiorani, AD della Banca Popolare di Lodi, assunse il controllo della Banca Antonveneta.
Era l’inizio di “Bancopoli”, il più grande scandalo bancario del dopoguerra che travolgerà il Governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio e lo stesso Fiorani.
A Padova, un nuovo CdA di fiducia della Lodi e dei 18 imprenditori del Nord Est che avevano siglato il patto che garantì la scalata, esautorò quello precedente: tutti i ruoli aziendali a partire da quello dell’Amministratore Delegato erano in bilico.
Nella confusione di quei giorni e dei mesi successivi, la mia figura di capo del personale in pectore scomparve da ogni radar. Ebbi il tempo di farmi collocare come responsabile della formazione, mi spostai a Via Venezia e così il mio tempo poteva essere dedicato alle passioni della mia vita: la Formazione e Lei, che adesso è mia moglie.
Il progetto di diventare capo del personale fallì…
Ne sono stato sempre felice.