La mia vita, una foto sfuocata
1972.
“Sicuro che non vieni?”
“Non ce la faccio; se non studio, la prof domani mi fa il culo in greco.”
“Peccato: il film è bello, un documentario su un concerto rock. E Mariella mi ha chiesto se puoi passare a prenderla …”
Per chi frequenta il liceo classico Tito Livio di Padova è quasi obbligatorio avere in tasca la tessera del cineforum Antonianum, organizzato e curato dai gesuiti.
“Il film … mi dici il titolo?”
“Woodstock – Tre giorni di pace, amore e musica … ha vinto l’Oscar lo scorso anno, e c’è anche Scorsese alla regia ..”
“Ah, bello …
In realtà non me ne frega un granchè, sto già pensando che sfreccerò a prendere Mariella, la farò salire sul mio motorino ed eseguirò tutto il tragitto da casa sua a Prato della Valle con un susseguirsi di frenate improvvise, così da sentirla appoggiare lo splendido seno sulla mia schiena.
Si, sono un anarchico, e la mia anarchia è sembrare quello che non sono, appassionato, curioso, partecipe ecc.
Infatti arrivo tardi e la proiezione è già iniziata.
Sono in piedi che cerco posto e mi becco le maledizioni della sala, ed ecco Joe Cocker: scatenato, è madido di sudore, i gomiti sui fianchi, si agita, il mento è in avanti e implora al microfono With a little help from my friends, una cover dei Beatles.
Sono in piedi nella corsia centrale, immobile, estasiato, sento le gocce del sudore di Cocker che mi colpiscono dallo schermo.
L’esecuzione del brano corrisponde a una progressiva, viscerale esplosione di emotività da parte di Cocker, che risponde affermativamente con sempre maggior trasporto alle reiterate domande delle voci di accompagnamento: “Credi davvero nell’amore a prima vista?”.
Secondo la leggenda anche il cielo si è commosso per l’esibizione di Cocker: alla fine di With A Little Help From My Friends, prima dell’arrivo dei Country Joe & The Fish, un furioso temporale con tanto di fulmini renderà il palco inagibile fino alle sei e mezzo di sera.
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“Arrivo venerdì, con il treno, sarò in negozio non prima delle 18”
“Non riesci un po’ prima? È quasi un mese che non ti vediamo, siamo pieni questioni in sospeso …”
“Non riesco davvero; facciamo così, fate una lista di tutte le cose di cui è importante parlare, così proviamo a guadagnare un po’ di tempo”.
È il 1980.
C’è una camera d’albergo qualunque, in una città qualunque, in un giorno qualunque. C’è un letto sfatto, asciugamani appallottolati, le tende aperte a mostrare i tetti dei palazzi con le tegole scrostate e un prato di antenne paraboliche. C’è una scrivania, una pila di fogli, le mie mani nervose che scribacchiano.
Finito il liceo mi sono messo a lavorare. Nella moda. Ho anche aperto un negozio a Padova, su tre piani.
Sbuffo. Guardo i tetti fuori dalla finestra, poi controllo l’orologio, scrivo ancora una parola, la sbarro furiosamente, la riscrivo, controllo la pagina precedente, dò un’occhiata alla porta.
Non sono un procrastinatore, è solo che le scadenze mi stanno strette, non ho voglia e tempo di tornare a Padova a fare il commerciante.
Mi riconosco in una delle più belle citazioni di Douglas Adams, quella in cui afferma: Amo le scadenze, amo il rumore che fanno quando mi sfrecciano accanto.
E così alla fine prendo il treno e torno malvolentieri a Padova; cupo e scostante come solo io so essere, arrivo nel mio negozio alle 19.15, orario di chiusura e lo trovo completamente vuoto; è deserto il piano strada, sembra abbandonato.
Mi precipito al piano inferiore, e succede che in una delle poltroncine riservate alla clientela, nelle luci dolciastre che solo i negozi di Fiorucci sapevano avere, è seduto Joe Cocker, circondato dalla sua band, in attesa di acquistare un paio di jeans.
Non è possibile, è uno scherzo, sono precipitato in Ritorno al futuro, cerco con gli occhi Mariella, guardo i miei pantaloni sperando di vederli tornare a zampa di elefante.
È tutto vero, Cocker e la band sono in tournee, suonano a Padova il giorno seguente.
Vinco l’emozione e mi avvicino a Joe Cocker, la voce è profonda, roca ma dolcissima; è il periodo in cui lui è gonfio, alcool, pastiglie, depressione.
Facciamo una foto? Chi ha una macchinetta?
Clic.
Corro a far sviluppare e stampare il rullino, ci vogliono due giorni.
Ritiro e guardo: la foto è fuori fuoco, il viso di Joe Cocker si intravede in mezzo ad un’idea di capelli rossastri, tshirt verde smeraldo, una giacca stazzonata.
Sta ridendo, ha una mano appoggiata sulla mia spalla.
Ricordo che è il momento esatto in cui ho trovato il coraggio di dirgli goffamente
“… With a little help from our friends? …”