La gioia più grande
Mi sono sposata a ventisei anni, pochi mesi dopo il mio ingresso nel mondo del lavoro. Non ero più giovanissima, ma neanche troppo “grande” per pensare subito di allargare la famiglia. Paolo, mio marito, ha tre anni più di me: per i figli c’era ancora tempo. Abbiamo deciso di vivere per qualche anno la nostra relazione di coppia e, nel frattempo, dedicarci a consolidare e migliorare le nostre posizioni lavorative. Abbiamo viaggiato, fatto sport, frequentato gli amici; siamo cresciuti professionalmente, abbiamo cambiato casa.
Alcuni anni più tardi avevamo realizzato quasi tutti i nostri progetti. Ne mancava soltanto uno, il più importante: un figlio. Era giunta l’ora di pensarci. Ma la vita corre su migliaia di strade e i bivi sono tanti. A volte si arriva tardi al traguardo, ma non perché si cambia obiettivo; semplicemente, perché si sbaglia direzione.
I mesi passavano, uno in fila all’altro, ma il nostro bambino non arrivava. All’inizio eravamo sereni; un figlio, in fondo, non nasce a comando. Ma, dopo un po’, abbiamo iniziato a preoccuparci.
Abbiamo trascorso un periodo pesante, tra visite mediche ed esami di approfondimento. Grazie al cielo siamo riusciti a vivere questo percorso con un briciolo di autoironia, ma certi momenti erano difficili, il tempo passava e ci sembrava di correre su un tapis roulant.
I medici ci dicevano che andava tutto bene, non c’era alcun motivo che potesse ostacolare una gravidanza.
Un giorno, l’ennesimo specialista ci ha proposto un programma di fecondazione assistita e ci ha dato appuntamento la settimana successiva per una serie di esami preparatori. Ma è successo qualcosa che ci ha fatto cambiare strada. Il medico che ci doveva assistere ha avuto un contrattempo e ha posticipato il nostro appuntamento. L’idea dell’adozione era sempre stata lì, in fondo ai miei pensieri. Ho sempre sognato di essere madre, ma non sono mai stata interessata a quei nove mesi di attesa. Ho sempre immaginato mio figlio come un esserino già nato, bisognoso di coccole e attenzioni. Perché avrei dovuto cercare a tutti i costi di far nascere un bambino, quando nel mondo c’erano tanti bambini che avevano bisogno di una famiglia?
Quella sera ne ho parlato con mio marito. Come sempre, la pensavamo nello stesso modo.
La mattina seguente abbiamo disdetto l’appuntamento con il medico, ci siamo recati al Tribunale dei Minori e abbiamo presentato domanda di adozione.
Tre anni più tardi, siamo partiti per il Vietnam e siamo diventati i genitori di Giulia. Quando l’abbiamo abbracciata per la prima volta, aveva un mese di vita. Era la bambina più bella del mondo! Due anni più tardi abbiamo adottato Luca, in Cambogia. Aveva otto mesi ed era un amore!
E così, quello che pensavo essere stato il mio più grande insuccesso, si è rivelato il fallimento migliore della mia vita, quello che mi ha portato la gioia più grande: ho trovato i miei figli!
L’adozione è un incontro: quello di un bambino che ha bisogno di una famiglia e quello dei suoi genitori, che l’hanno visto nascere nel proprio cuore. La strada per arrivare al nostro incontro è stata lunga e tortuosa, ma l’ho percorsa con determinazione ed energia. Al traguardo c’erano i miei figli ad attendermi. Loro e solo loro.
Sono certa che eravamo già una famiglia, ancora prima di riuscire a trovarci. E che la mia famiglia non poteva essere più bella di così.