#gliesercizidi Raccontami una Storia_movimento

Non me la scorderò mia quella sera

Delle elementari ho molti ricordi.

Alcuni ben ordinati, altri invece un po’ spiegazzati nel tempo. Sono però tutti i protetti da un velo che li rende languidi come gli occhi di Narciso nello stagno dei desideri.

Le vocali e le consonanti appese alle pareti, il piano verde di formica dei banchi, l’odore del refettorio, i mandarini nella cartella. La ricreazione i giochi in giardino. Ricordo la Tina, la nostra bidella; più che la bidella poi, lei era la nonna di tutti, con quei suoi capelli bianchi candidi come la neve e il viso rugoso, cicciottella e accogliente nei suoi abbracci.

Ricordo anche gli schizzi di saliva che a velocità supersonica partivano dalla bocca di Sister Mary Marta la quale masticava sempre una caramella mentre ci faceva dire le preghiere. Ricordo di alcuni compagni che ho invidiato moltissimo come, ad esempio, la Betta  perché portava l’apparecchio, e io invece no.

Tutto sommato, ricordo un bel vivere nel quale io sguazzava felice. 

Alle volte mi sentivo così tanto felice che mi sentivo inebriata fin dentro alle viscere dello stomaco. E allora correvo dalla mia nonna e le dicevo: “Nonna,  sono felice, come quando una principessa si sposa con il suo principe!”.

A proposito, a quel tempo avrei sposato Fabrizio.

Otto anni, alto e robusto, fisico da sportivo, sguardo accattivante, occhi scuri e  due fossette sulle guance che mi facevano impazzire.

Lo avevo conosciuto un pomeriggio ad una festa di carnevale, vestita da giapponesina con tanto di kimono, parrucca nera e zoccoli di legno.

Era il piu figo di tutti i maschi; rideva, correva, era così bello, rosso in viso come lo è ogni bambino quando ride, corre e si diverte.

Lui era vestito da indiano Apache, con una casacca di camoscio con le frange  e  una fascia con la penna in testa. 

Si  vede che la buona sorte mi era vicina quel giorno, perché io fui accoppiata esattamente a lui, l’Indianino più bello del mondo, per giocare a nascondino.

Si avvicinò per primo e guardandomi negli occhi mi chiese come mi chiamassi.

“Barbara” risposi io tutta paonazza. 

Lui mi prese per mano e mi disse: “Dai, andiamo a nasconderci  nel ripostiglio, dietro quella porta, e mi raccomando stai zitta, non parlare!”

Parlare?  E chi ce la faceva a parlare! Dietro ad una porta, quasi completamente al buio, con il bambino della mia vita che mi teneva per mano.

E di che cosa avremmo potuto parlare poi?

Sperai che il tempo si fermasse. A me bastava  sentire il suo respiro accanto a me, stare stretti in quello spazio angusto, vicini vicini.

Sentii la sua mano che stringeva la mia, rinnovando la stretta e mi voltai per guardarlo; il suo volto si stava abbassando verso di me per dirmi qualcosa … O forse era per baciarmi, proprio come accadeva nelle favole delle principesse, quando i principi giurano amore eterno e tutti i sogni si fanno realtà….

Tutto ad un tratto, la porta del ripostiglio si spalancò sbattendoci addosso e mia cugina gridò: “SCOPERTI!”

Fabrizio mi lasciò la mano e corse a raggiungere i suoi amici. 

Un po’ frastornata,  anche io abbandonai il nostro nascondiglio e mi avvicinai al tavolo delle bevande per rinfrancarmi prendermi un aranciata.  La zia l’aveva servita in tavola dentro ad un grande thermos. 

Io non sapevo bene come fare a versarmela ma ecco che lui si avvicina ancora e mi dice: “Lascia, ci penso io!” . Prende un bicchiere, tira su il thermos sfoderando una forza degna di Superman, e mi versa da bere. Poi se ne va.

Incoraggiata da questo gesto per me dolcissimo e quanto mai galante, continuai ad adorarlo per il resto del pomeriggio pensando che ormai ero inesorabilmente persa di lui.

Da quel giorno, Fabrizio mi rimase nel cuore e anche se lo scorgevo appena all’uscita di scuola, anche se non sempre mi salutava, era per me la cosa più preziosa della mia vita, più preziosa dell’ultima Barbie da collezione, meglio ancora del Dolce Forno!

Ogni volta che vedo un thermos ripenso a quella festa in maschera, indimenticabile.

E ancora oggi, se dovessi rivedere quelle fossette, diventerei paonazza, lo prenderei per mano e zitta zitta, lo porterei dietro ad una porta qualsiasi sperando di non essere scoperta.

Alla faccia di mia cugina! 

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Barbara Chiarini

Barbara Chiarini nasce a Firenze nel 1967. Laureata in Architettura con indirizzo storico-restauro e conservazione dei Beni Architettonici, si ritiene un architetto per professione, una scrittrice per passione, ed una fiorentina D.O.C. Autrice del libro “Per le Antiche Strade di Firenze”, “Una finestra affacciata dull’Arno” e “Su e Giù per le strade di Firenze”, ella è anche la fondatrice nonche’ uno degli Amministratori di questo Blog.

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