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Quel giorno la mia vita avrebbe potuto cambiare davvero

Era il 1985, io avevo ancora da compiere diciott’anni, ma avendo fatto la “primina” (terminogia  usata al tempo per indicare tutti quei bambini che cominciavano la prima elementare con qualche mese di anticipo rispetto all’età stabilita dal regolamento scolastico vigente italiano), quello sarebbe stato pure il mio ultimo anno di liceo. 

A giugno avrei conseguito la maturità linguistica. Poi si sarebbero aperte le porte dell’Università. 

Ero sempre stata brava a scuola, e anche quell’anno non faceva differenza. Studiavo con buoni risultati e di questo ero ovviamente soddisfatta. Ma l’atmosfera in classe negli ultimi due anni si era fatta pessima. La qualcosa aveva privato me e buona parte delle mie compagne della piacevolezza di frequentare l’ambiente scolastico. 

Il fatto era che, una volta finito il biennio, parecchi dei miei compagni erano stati bocciati, soprattutto i maschi. Di fatto, la nostra quinta liceo Linguistico era attualmente costituita da 25 femmine e da un solo maschio. Il sopravvissuto si chiamava David, ma tutte noi lo avevamo ribattezzato “il santo”, perché in effetti, per poter sopravvivere in quella sorta di ospedale psichiatrico femminile, un poveraccio o ci usciva pazzo o diventava un santo! 

L’equilibrio era davvero precario. Invidia e gelosie dilagavano, i dispetti, le maldicenze e le malignità erano all’ordine del giorno.

Io andavo d’accordo con poche compagne.  

A parte il gruppetto delle habituées, ovvero quelle con cui avevo già fatto asilo, elementari e medie, mi piaceva stare con la Maria Francesca, infatti all’inizio di quell’anno avevamo deciso di metterci di banco insieme. 

Ci accomunavano parecchie passioni, tra cui … il calcio! Intendetemi, non proprio tutto tutto il calcio. Soltanto la nostra squadra del cuore, la Fiorentina, tanto che alcune volte andavamo insieme a vederla anche allo stadio. 

Da questo fatto era nata una piccola routine. Ogni sabato mattina, prima di arrivare davanti a scuola, la “Mary” (questo era il nomignolo che io le avevo affibbiato) si fermava in un tabaccheria che trovava lungo la strada e prendeva una schedina del totocalcio da compilare. 

Per i giovani d’oggi parrà strano, ma ai miei tempi quel foglietto era capace di far sognare milioni di italiani; tutti la giocavano, grandi e piccini, maschi e femmine, e tutti avevano lo stesso sogno, quello di fare il famoso 13!

Ci davamo appuntamento al barretto d’angolo, davanti alla scuola, e mentre il barista ci preparava la schiacciata ripiena che sarebbe stata la nostra merenda, noi ci sedevamo al tavolino vicino ai flipper, e in dieci minuti o anche meno, compilavamo la nostra schedina. Niente schemi, niente sistemi, niente pronostici in base alla classifica o ai capocannonieri. 

Il nostro criterio era “casuale”. Nel senso che io leggevo le partite ad alta voce e a turno, ciascuna di noi dichiarava un segno. Quello veniva scritto .

Alle volte tiravamo addirittura a  sorte i risultati. Insomma, come si dice a Firenze, compilavamo la schedina “ a Casaccio”! 

Del resto, nessuna nessuna di noi due era un’esperta e poco c’importava esserlo! Tentavamo soltanto la sorte!

Il risultato era una colonna secca fatta di 1 X o 2. Nessuna doppia, nessuna tripla. Il nostro investimento ammontava a 800 lire, ci potevamo stare.  

Anche i nostri obiettivi erano chiari e condivisi: qualora avessimo fatto 13 avremmo usato quei soldi per andare all’estero e proseguire i nostri studi universitari. 

A quel tempo Io sognavo di diventare un’interprete parlamentare. 

Da quando il nonno aveva avuto l’ictus, in casa si doveva fare parecchia attenzione alle spese, anche perché l’assistenza, la fisioterapia, le cure di cui abbisognava costavano parecchio. E quando qualche mese prima, avevo accennato alle mie intenzioni future, in famiglia erano stati perentori: avrei potuto continuare i miei studi, sì ma scegliendo una facoltà che fosse a Firenze. Niente soggiorni all’estero, troppo costosi.

Fu così che, anche quel sabato mattina di un freddo e piovoso mese di gennaio, con la speranza di  esaudire un sogno, investimmo le nostre solite 400 lire a testa e giocammo la schedina. 

Trascorsi quell’intero fine settimana a studiare, pure la domenica pomeriggio. All’indomani avrei avuto due interrogazioni e il compito di tedesco, la materia che più detestavo!

In tarda serata, stanca e demotivata, raggiunsi il nonno nel soggiorno e mi imbambolai a guardare gli aggiornamenti che scorrevano in TV sopra un Corrado sempre impeccabile in giacca e cravatta. Dopo qualche minuto ecco che compare anche il solito giornalista della Rai a scandire lentamente i risultati, in modo da consentire agli ascoltatori di riportare i relativi segni sulla schedina. 

Il nonno confrontava la sua e scuoteva la testa. Sistemista di vecchia generazione,  aveva ormai alle spalle circa 40 stagioni di schedine accartocciate e buttate nella pattumiera. E pure questa volta non sarebbe andata diversamente. 

Mentre me ne stavo lì impoltrita, cercando di trovare la forza mentale per alzarmi dal divano e confrontare i risultati anche con la mia schedina, ecco che squilla il telefono di casa.

La nonna risponde da un’altra stanza: “Pronto? Sì Maria Francesca, la Barbara è in casa, aspetta che te la passo. …..Barbara!!!!  E’ la Maria Francesca! Vieni al telefono! 

Faticando al alzarmi in piedi, mi trascino sulle gambe fino al telefono in corridoio. Afferro la cornetta mentre l’urlo vittorioso della mia amica dall’altra parte del filo quasi mi perfora il timpano. 

“Ci sei? Hai visto i risultati? Abbiamo vinto …. abbiamo fatto 13! Mi senti, ho detto che  abbiamo vinto!”

Rimango lì in piedi di fronte al mobiletto del telefono e davvero non so come fare a restare lì in piedi, perché adesso le gambe mi fanno “Diego-Diego” … e rischio di cadere per terra. 

Nella mia testa vorticano pensieri alterni: “Abbiamo fatto 13 …. siamo diventate milionarie! O magari no…. Tutti hanno fatto 13 e la vincita sarà una somma irrisoria!” 

La mezz’ora successiva fu interminabile. Ma come per rivedere le azioni firmate, anche per le quote delle vincite si doveva aspettare “90º Minuto”. 

Poi la notizia: Paola Valenti annuncia che i fortunati di questa domenica calcistica hanno vinto 15 milioni!! 

Incredibile! Quel foglietto di carta avrebbe cambiato il mio futuro. Sarei potuta andare a studiare all’estero… Avrei potuto fare questo, avrei potuto fare quello…  avrei… avrei…! 

Ma ci pensi, Giusto una schedina…una giocata da 800 lire…  e la tua vita cambia per sempre…. 

Giusto,  LA SCHEDINA!!!

Ma chi l’aveva giocata LA SCHEDINA? Io o la Maria Francesca?

Con un morso improvviso che mi attanaglia la bocca dello stomaco riprendo il telefono, alzo la cornetta e  compongo il numero di casa della mia amica. 

“Pronto Francesca, ma la schedina l’hai giocata tu, vero?” Silenzio. 

Sto per riagganciare credendo che sia caduta la linea quando finalmente lei mi risponde. “Non ricordi che questa volta toccava a te?” 

Ca@@o ! Questa volta “Toccava a me” ! E io, me ne ero dimenticata!

Un secco Click mi fece capire che la conversazione si era conclusa. 

Probabilmente anche la nostra amicizia.

La Maria Francesca mi aveva riagganciato il telefono in faccia.

 

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Barbara Chiarini

Barbara Chiarini nasce a Firenze nel 1967. Laureata in Architettura con indirizzo storico-restauro e conservazione dei Beni Architettonici, si ritiene un architetto per professione, una scrittrice per passione, ed una fiorentina D.O.C. Autrice del libro “Per le Antiche Strade di Firenze”, “Una finestra affacciata dull’Arno” e “Su e Giù per le strade di Firenze”, ella è anche la fondatrice nonche’ uno degli Amministratori di questo Blog.

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