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Vittoria Colonna, la musa michelangiolesca

“Scrivo sol per sfogar l’interna doglia,  Ch’al cor mandar le luci al mondo sole;
E non per giunger luce al mio bel Sole, Al chiaro spirto, all’onorata spoglia.”

 

Quella di Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, è una storia di amore, di poesia, di morte, di sofferenza e di arte. Questi suoi versi ne sono la prova: ella scrisse per sfogare il dolore perché il suo amato era morto e non le rimaneva che l’arte della poesia per poter trascendere dalla morte e dalla voglia di raggiungerlo.

Fare un ritratto di questa nobile donna romana è cosa semplice. Nata a Marino, nel Lazio, attorno al 1490 – il dibattito su questa data è ancora aperto – figlia di una delle più importanti famiglie nobiliari romane, i Colonna, venne promessa in sposa a Ferdinando D’Avalos quando i due erano ancora bambini per sancire un’alleanza strategica. Si sposò nel 1509 a Ischia per poi condurre fin dopo la morte del marito, una vita artistica e di clausura, essendo peraltro molto credente.

Vittoria Colonna (Marino, aprile 1490 o 1492 – Roma, 25 febbraio 1547), nobile e poetessa italiana

Approfondire la figura di Vittoria Colonna risulta invece essere un’impresa complessa, per non dire ardua, perché la marchesa di Pescara è stata una delle donne più affascinanti e importanti del Rinascimento italiano. Attorno a lei e grazie a lei si creò infatti un vero e proprio circolo culturale e artistico che vantava alcuni dei più grandi nomi del periodo come Michelangelo Buonarroti,  Ludovico Ariosto, Jacopo Sannazzaro, Bernardo Tasso e tanti altri.

La data che cambiò per sempre la vita di Vittoria fu quel 1509, anno del suo matrimonio. Un matrimonio di convenienza, ma fortunato dal punto di vista sentimentale in quanto i due si amarono veramente. 

Poi però, nel 1525, Ferdinando D’Avalos rimase ferito durante la battaglia di Pavia e Vittoria Colonna non fece in tempo a raggiungerlo per un ultimo saluto. Da quel momento, per la seconda volta, la vita della giovane cambiò. Depressione e tristezza caratterizzarono gli anni successivi al lutto che culminarono persino con un tentato suicidio. 

Grazie però al circolo artistico-culturale in cui si era inserita durante gli anni del soggiorno ischitano, la nobildonna trovò presto la forza di trasformare quel dolore in arte, scrivendo poesie “per sfogar l’interna doglia“. Fu così che, da tanto dolore, nacque una delle più raffinate poetesse rinascimentali italiane.

I suoi versi furono pubblicati quattro volte nel corso del sedicesimo secolo, un fatto eccezionale per l’epoca. Questa è la prova del clamore e del successo dei suoi scritti, probabilmente dovuto all’universalità della sua cultura, al potere dei sentimenti che espresse e al fatto, constatato mille volte, che la pienezza del successo di certi creatori si spiega dall’accordo predestinato della loro propria natura con la fase di civilizzazione alla quale appartengono.

La sua opera poetica può essere divisa in due parti: le rime amorose e le rime spirituali. Scrisse tantissimo negli anni che seguirono il lutto, ma non si dedicò mai alla pubblicazione. Erano poesie evocatrici ed esorcizzanti e la circolazione avvenne soltanto grazie ad alcune raccolte manoscritte che lei stessa donava ad amici come quelle regalate a Margherita di Navarra nel 1540 o quelle regalate a Michelangelo Buonarroti. 

E proprio il rapporto di amicizia con l’artista toscano fu uno dei più sinceri e più significativi di tutto il Rinascimento, simbolo di quello che la Colonna riuscì a fare grazie alla sua intelligenza e al suo fascino.

I due si conobbero tra il 1536 e il 1538. Fu un amore a prima vista: vissero una passione intellettuale, raddoppiata da una ricerca della natura e del senso della vita.

Si scambiarono innumerevoli lettere. Al momento del decesso di Vittoria, Michelangelo era al suo capezzale. Lui scrisse: “alla sua morte la natura, che non ha mai avuto un viso così bello, si è vergognata e aveva gli occhi pieni di lacrime.”

Michelangelo non si riprese mai dalla scomparsa di Vittoria. Lei restò per lui un modello di paragone di tutte le virtù.

Diversi ma complementari, si riconoscevano l’un l’altro come artisti. La loro insoddisfazione li avvicinò. Come anche i loro centri di interesse. Riconobbero di appartenere alla stessa specie: alla ricerca di un equilibrio psicologico che mancava loro, all’inseguimento di un sogno irrealizzabile, della perfezione totale, di una spiegazione al binomio bene-male e della salute eterna.

Entrambi avevano la fede che un’infanzia armoniosa permette di avere. Tuttavia la loro mancanza di certezze non gli permetteva di fare chiarezza sulla loro riflessione intima.

Nei giardini del Palazzo Colonna, dove amavano incontrarsi, passavano ore a discutere, a cambiare il mondo.Non disturbavano nessuno, soltanto le malelingue ebbero da congetturare in merito a quale genere di rapporto potesse mai essere quello loro.

Ma essi erano oltre, oltre l’ovvio. I loro principali soggetti di discussione furono sempre gli stessi: poesia, pittura, scultura e religione. Michelangelo fu affascinato da questa donna di una così elevata cultura, nella quale ritrovava la sua guida spirituale. Di contro, Vittoria ammirava quell’uomo e le creazioni dell’artista, nel quale vedeva il genio allo stato puro.

Divennero una sorta di coppia filosofica molto legata.

Lei comprese che poteva aiutarlo a farlo uscire da quel vicolo cieco spirituale nel quale lui era finito, in quanto si metteva spesso in discussione. Divenne l’amica e la musa di Michelangelo, pittore, scultore, architetto e poeta: la loro corrispondenza, in parte conservata alla Casa Buonarroti a Firenze, è semplice: filosofia e amore si esaltano e coabitano tranquillamente.

La marchesa fu per Michelangelo una figura importantissima, capace di ispirarlo per la realizzazione di diverse opere, ahinoi, per lo più andate perdute, a parte un paio di abbozzi conosciuti come Pietà e Crocefissione.

Questa fu Vittoria Colonna per Michelangelo come per l’arte e la cultura del tempo in generale, ma la marchesa ricoprì anche un ruolo politico importante, tessendo contatti con il papa e rilevanti personaggi politici del Cinquecento.

Morì nel 1547, lasciando alla storia le sue raffinate poesie e il ricordo di uno dei circoli culturali più affascinanti del Rinascimento.

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Barbara Chiarini

Barbara Chiarini nasce a Firenze nel 1967. Laureata in Architettura con indirizzo storico-restauro e conservazione dei Beni Architettonici, si ritiene un architetto per professione, una scrittrice per passione, ed una fiorentina D.O.C. Autrice del libro “Per le Antiche Strade di Firenze”, “Una finestra affacciata dull’Arno” e “Su e Giù per le strade di Firenze”, ella è anche la fondatrice nonche’ uno degli Amministratori di questo Blog.

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