La mia vita in una compilation musicale (Sotto il Ponte come sabbia bagnata)
“È difficile credere che io sia tutto solo”: una goccia perpendicolare si getta su di me, mi colpisce o mi accarezza? Il suo intento è freddo, il suo corpo piccolo ma il mio lo è di più.
Tumultuosi i moti delle macchine sopra di me. Come se le vite degli altri si strizzassero attraverso il cemento e si facessero goccia sudicia d’acqua senza colore, per poi cadere sulla mia testa nera. Una dopo l’altra le gocce ritmano una squillante melodia. Liquide corde pizzicate da immaginazioni interrotte da discorsi solo supposti. Perché sono sola. Completamente sola.
L’unica costante nella mia ricerca senza riposo è questo odore di umidità. Non mi disturba, scioglie le mie crepe di secca sabbia che mai ha visto il mare. “Non puoi formarti nella sabbia bagnata” …
Non ho un posto; eppure, una nazione ce l’ho: un tetto grigio, nessuna parete; una seduta di sabbia e polvere. Sopra i ponti gli altri attraversano, sotto un ponte io invece resto; è l’unico modo.
La necessità di un ponte nasce perché vi è una divisione. Unire terra a terra, sfidare l’aria sospesa e camminare sulle acque. Lì sotto si ferma solo chi si vuole nascondere, o sopravvivere. E se fosse che una cosa ne permette l’altra? Armonizzo il loop di questa canzone che però non ho scritto io con qualcosa che solo io ho però composto: la storia mia, non epica, sconosciuta, reietta. Nessuno canterà in coro parole che parlano di me. Non ho un’auto per passare sul ponte, e non ho neanche un posto da raggiungere. Canto per voi, che qui sopra andate o fuggite.
Ondeggio la testa: a destra sento il vento dell’Est e a sinistra avverto il piccolo cuore che trema. Alzo la tonalità del suono che mi passa dalla gola attraverso i denti. Dicono che ho delle belle labbra, che però non pronunciano “sì”. Dalla mia bocca escono canti che non posso udire perché le cuffie occupano ogni spazio di percezione delle mie orecchie: però il freddo lo ascolto. Fantasmagoriche le vibrazioni da sotta a sopra e da sopra a sotto, in esse vedo da miriadi d’occhi aperti sulla mia pelle chiara.
Mi sento come se mai avessi avuto un amore, o un amico. Poi un’altra goccia cade veloce sul mio pugno sinistro. La macchia che c’era sopra si scioglie e il mio dolore perde una parte di volto. “Non puoi formarti nella sabbia bagnata”. Vi perdono, a voi che qui sopra pretendete di unire ciò che nella testa di Dio fu sempre separato. I topi stanno sotto ai ponti, dove l’acqua è più sporca. Chi ha inventato i ponti ha insozzato ciò che prima non era buono né cattivo.
Abbattere muri non basta. Un passaggio più facile fa confluire veloci giudizi, governo, controllo. Ogni confine è una linea che disegna la foto del mondo dall’alto. Tante facce sono meglio di un unico globalizzato nulla.
La nota che cerco di donare alla canzone che ricomincia mi si strozza in bocca. Torna la sensazione in cui ogni volta quasi muoio. Panico e dipendenza: chi ho concepito prima spremendomi l’anima?
Quasi piango. E voi quando avete pianto l’ultima volta? Scendete sotto a un ponte uno per uno. Abbracciate i topi e le blatte, benedite le spine e i sassi spigolosi.
Sono diversa dagli altri: perdono e ora vivrò. Da sotto al ponte piango anche per voi, che non conoscete la bellezza delle cose ultime che hanno l’amore del Creatore come ce l’ha una rosa.
Solo due brani dei Red Hot Chili Peppers che si stancano nel sistema del mio cellulare d’un modello troppo vecchio. Siamo qui, tutti i topi tossici e soli pieni d’amore per voi che di noi vi siete dimenticati.