La mia vita in una compilation musicale
– Bugiardo! Ladro! Servo imbroglione!- gridava Eugenio inseguendo Davide fino nel corridoio della zona notte in casa di Rita, la coordinatrice di noi catechisti della parrocchia di San Bartolo. A quelle urla il fratello di Rita, Raffaele, aprì la porta della sua camera e chiese divertito: – Cosa succede? Perché un cacciatore insegue un cuoco?- Raffaele frequentava il penultimo anno del mio stesso liceo; lo conoscevo per fama perché era l’animatore di tutte le manifestazioni studentesche cittadine.
Con la sua aria di intellettuale tormentato e ribelle era l’idolo delle liceali e l’incubo del preside. Piaceva anche a me, ma quel pomeriggio non fu lui a catturare la mia attenzione, ma la voce profonda, dolce e suadente che giungeva dalla sua stanza. Mentre Rita spiegava che stavamo provando le scene della commedia Il cuoco burlone, uno spassoso adattamento della novella di Boccaccio Chichibio cuoco e la gru che avremmo rappresentato nel teatro parrocchiale, in occasione del prossimo carnevale, io cercavo di controllare l’emozione che la voce magica che proveniva dal giradischi mi comunicava.
-Cosa stai ascoltando, Raffaele? – chiese Eugenio. – É Il pescatore di De Andrè, un cantautore della scuola genovese. Tratta temi di carattere sociale, per questo lo adoro. Ve la faccio sentire dall’inizio. – Sembrava che mi avesse letto nel pensiero; era proprio quello che stavo desiderando. Ci trasferimmo tutti nella stanza di Raffaele e ascoltammo e riascoltammo Il pescatore più volte. Era una canzone così diversa dalle solite canzonette che sorprese e conquistò tutti. Cominciammo a scambiarci le nostre emozioni e a interrogarci sul significato di quella dolcissima canzone che sembrava una parabola. Riconoscemmo tutti che le parole, semplici e splendide, esprimevano una profonda spiritualità attraverso riferimenti a simboli e valori della religione cristiana.
Ci chiedevamo chi fosse e chi rappresentasse il vecchio pescatore. – Sarà forse Cristo che incarna i valori del perdono e della carità – sostenne Eugenio. – O meglio un sacerdote che spezza il pane e versa il vino – obiettò Davide. – Magari è la trasfigurazione poetica di un fatto vero che De Andrè può aver sentito raccontare da qualche vecchio pescatore nei carruggi di Genova – ipotizzò Raffaele. Dopo aver riflettuto, intervenne Rita: – Ma no, è un personaggio allegorico come il vecchio pastore del Canto notturno di Leopardi: una figura esemplare che rappresenta l’ uomo mite e buono che esercita i valori cristiani della carità e della solidarietà.
Io però ero convinta che ad attrarmi non fossero solo le parole, per quanto significative, ma quella voce, una voce dolce come una carezza, definitiva come una sentenza. Dopo quel pomeriggio Raffaele, che fino ad allora non mi aveva proprio mai visto nonostante frequentassimo lo stesso liceo e la stessa parrocchia, si mostrò attratto dalla mia reazione entusiasta a una canzone del suo cantautore preferito. Passammo molti pomeriggi a condividere la grande musica di De Andrè, in particolare quei capolavori assoluti che sono La buona novella e Non al denaro non all’amore né al cielo.
Si può davvero dire con Dante che De Andrè per noi fu “Galeotto”. Sempre insieme assistemmo, qualche anno dopo, alla prima serata del live di De Andrè con la PFM. In quell’occasione, pur tra tanta gente entusiasta e a tratti partecipe rumorosa, provai la strana sensazione che quella voce dolcissima cantasse per me sola.
Bel racconto e ben scritto
Racconto molto interessante; mi è piaciuto molto do cinque stelle!