Felice, come un’ Italia che fu
È banale, lo so. Eppure, è vero. Con Felice Gimondi se ne va un altro pezzo dell’Italia migliore.
Ah, Felice! Per noi bambini negli anni Sessanta lui era una biglia da spiaggia: lui dominava il Tour e noi sulla sabbia, idealmente, lo mandavamo avanti con le nostre dita: anche io che ero una femminuccia! Perché a biglie ci giocavamo proprio tutti!
Quella di ieri è stata la sua ultima fuga, la fuga senza ritorno di un campione che seppe farsi icona, simbolo di resilienza e di resistenza al cospetto dell’ invincibile Eddy Merckx. Non per niente, a lui sono state dedicate canzoni e opere letterarie: perché in fondo nella sua ostinata lotta per la sopravvivenza agonistica, ci siamo riconosciuti tutti.
Gimondi poteva essere sconfitto, ma non si è certo mai comportato come un perdente: una differenza sottile? Assolutamente no, poiché questo dovrebbe essere il senso autentico del nostro vivere.
Se anche lo si vedeva dai televisori filmato in bianco e nero, per tutti gli italiani, Gimondi era come se fosse proiettato a a colori: in rosa oppure in giallo, come i colori delle sue maglie vittoriose!
Quando diventò campione del mondo, una domenica di settembre di un ormai lontano 1973, ricordo che ero in casa con mio nonno. Il nonno era cresciuto nel mito di Coppi e di Bartali e stravedeva per la vittima di Merckx. E anche questa volta, Felice sembrava non avere molte speranze : invece, come se fosse stato spinto da milioni di dita, forse anche da quelle piccole dita di noi bambini in spiaggia, Felice si aggiudicò quello sprint incredibile e fu un’ emozione per tutti , grandi e piccini!
Perché Gimondi era un eroe che sapeva non soltanto vincere, ma anche commuovere : per questo, in molti gli hanno voluto bene.
E allora Felice: da noi tutti un ultimo grazie … e scusaci se ieri non eravamo là, sull’ultimo tuo traguardo, a spingerla ancora avanti, quella biglia che è la vita!