Un paio di calzini di lana
Ricordo ancora quando Tonina, la vecchia mondina, mi regalò la sua bicicletta. Ormai non le serviva più, era vecchia, la bicicletta,lei non avrebbe più avuto bisogno di andare alla risaia, il dolore alle gambe la tormentava da qualche anno e il dottore l’aveva messa a riposo. Comunque era davvero messa male, la bicicletta intendo, ma io sono sempre stato bravo ad accomodare le cose rotte. Ricordo che la sistemai per bene e la domenica successiva feci un giro al mercato, aspettai che le ragazze uscissero dalla chiesa e attraversai la piazza scampanellando! Mi guardaronotutti.
Da quella volta andai tutti i giorni in risaia con il babbo e mia sorella su una bicicletta tutta mia. Mi divertivo a dar fastidio alle ragazze che pedalavano in gruppo ci passavo nel mezzo urlando:
«Polizia: le bici devono girare in fila indiana, mettersi per uno! In fila per uno!» quante parolacce mi dicevano ma io mi divertivo e fuggivo. Sognavo di avere una moto come quella dei vigili e dei carabinieri; avevo messo un paio di strisce di cartone tenute insieme dalle mollette sui raggi della ruota davanti così che,andando veloce, faceva un rumore simile al motore. Avevo già le idee chiare, volevo fare il vigile urbano da grande. Ma allora ero un ragazzetto, passavo il tempo libero a girare in bici per il paese, guardando le gambe nude delle mondine nei campi. Fischiavo per la bella veduta e pedalavo fortissimo per togliermi dal raggio del loro tiro di zolle e sassi. Una volta mi son trovato fuori dal paese, oltre al cimitero e ho visto una contadina piegata sulle piantine di cipolla appena spuntate; anche noi lo facevamo, conoscevo bene come si sfoltivano i germogli. Beh quella ragazza mi piacque subito, erano in tanti ragazzetti a lavorare sul campo, ma lei era più svelta, più avanti di tutti. Quando mi sono fermato, lei, si è alzata, mi ha guardato come se avesse avvertito la mia presenza e ha sorriso: era bellissima!
È stato lì che ho deciso che quella ragazza sarebbe diventata mia moglie.
Per questo ora sono emozionato! Sono davanti alla sua porta, ho attraversato la grande aia deserta, devono essere tutti in casa. Ho la gola secca, devo trovare il coraggio di bussare. Sono diventato grande, ho quasi ventiquattro anni, sento che è il momento di fare conoscenza con la bella contadinella della cipolla. Mi hanno detto che fa la magliaia e io ho proprio bisogno di una bella sciarpa e un paio di calzini nuovi, spero che questa matassa di lana blu, che ho pizzicato a mia sorella, sia sufficiente.
Coraggio, che sarà mai? Alla domanda “chi è?” chiedo della magliaia. Non è stato poi così difficile, il padre mi ha fatto entraree l’ha chiamata. Ha un nome bellissimo: Edda! Mentre aspetto che arrivi saluto, uno alla volta, i tre fratelli che appaiono chissà da dove e mi squadrano da testa ai piedi, io sorrido, non mi fanno paura. Mi sono arruolato volontario a diciotto anni, so il fatto mio! È vero che volevo fare il vigile ma non c’era posto e, pur di seguire il mio sogno, sono diventato un finanziere, ho fatto la scuola su in montagna, se vogliamo proprio dire, sono un buon partito se è questo che cercano. Ah ecco che scende le scale di corsa, mi metto sull’attenti d’istinto, lei sorride! Dio quanto è bella! È cresciuta bene, mentre le allungo la matassa spero che non sia fidanzata, farfuglio che mi ha indirizzato lì una conoscente. Lei mi fa sedere alla grande tavola, mi chiede che numero di scarpe porto e segna tutto su un quaderno dalla copertina rossa. Non riesco a staccare gli occhi da lei, è piacevole guardarla sorridere, ha i denti bianchissimi e gli occhi verdi. La ragazza mi accompagna alla porta e mi dice che li farà per venerdì prossimo. Bene è un appuntamento a cui non mancherò, la rivedrò. La saluto, saluto tutti. Devo averlo fatto in modo stranoperché vedo due fratelli che parlottano tra loro, mi guardano ementre esco li sento ridere.
Torno a casa dalle mie sorelle tutto agitato, sudo, chiedo loro se la conoscono, se la vedono in chiesa, vorrei sapere tutto di lei, ma la cosa che mi preme maggiormente è se ama qualcuno. Se fosse impegnata mi ingegnerò per conquistarla, non mollerò. Chiunque sia l’altro non vale niente, sono io il suo principe azzurro, deve sposare me, sogno quel momento da quando avevo quindici anni. Ho pensato tante volte al nostro amore, ho fatto sogni e castelli in aria mentre ero prigioniero; spesso il pensiero di tornare per lei mi ha dato una mano a superare la fame, la fatica, le brutture della guerra.
Finalmente il venerdì è arrivato e, inforcata la bicicletta della Tonina, sono tornato a prendere il paio di calzini blu. Busso ed è lei che viene ad aprire, mi invita al tavolo, saluto la madre e il padre che sale dalla cantina con una bottiglia di vino di quello buono in mano. Lei prende qualche bicchiere che appoggia sul tavolo, il padre li riempie e ci mettiamo a parlare. In men che non si dica sanno più cose loro di me che io di lei e dire che son venuto con l’idea di indagare.
Mi chiedono della guerra perché un paio dei loro figli sono finiti in campo di concentramento lontano e sono tornati a piedi, uno dalla Russia l’altro dalla Polonia. Anche io sono stato lontano, in Germania, ero un IMI un internato militare italiano che, per i tedeschi, equivaleva a delinquente comune e non venivano rispettati i diritti della Convenzione di Ginevra. Sorvolo sull’argomento, non mi piace parlare di quel periodo, dobbiamo andare avanti non leccarci le ferite, fa ancora troppo male.
Ma quello che importa adesso è che aveva un fidanzato, ma l’ha lasciato qualche mese fa! È mia! Ci sposeremo appena avrò il nulla-osta dal Comando, ci vorranno quattro anni è vero, ma nel frattempo sarà piacevole saperla a casa che mi aspetta. Metteremo su famiglia e sarà una gran bella famiglia! Mi piacerebbe sposarlain luglio, il 13 che è il giorno in cui l’ho vista per la prima volta.