La piramide del ghiaccio
Nei secoli passati sulle montagne toscane si viveva anche di ghiaccio. Ebbene si, cari amici, avete capito bene: in un’economia di sussistenza, la produzione del ghiaccio, durante la stagione invernale, era un’attività lavorativa redditizia che impegnava molti paesi della nostra regione. Ovviamente, per la produzione del ghiaccio naturale, i presupposti essenziali erano il fattore climatico, (ovvero luoghi dal clima rigido in inverno e fresco d’estate), l’abbondanza di acqua ma soprattutto la possibilità di avere degli ambienti adatti a custodire i blocchi già tagliati. Questi ambienti erano appunto le cosiddette ghiacciaie o come si usa ancora dire dalle nostre parti, le «diacciaie».
Più precisamente, con questo termine su usava definire quelle curiose e massicce costruzioni che ancora oggi si ergono, nelle città come nelle campagne, manufatti assai originali che conservano in se’ tanta storia da raccontare.
Noi però, nella nostra curiosità di oggi, ci limiteremo a ricordare soltanto quelle che, lontane dalle fresche montagne, avevano lo scopo di mantenere il ghiaccio solido dopo averlo acquisito e trasportato in città.
Praticamente ogni villa di signori era dotata di una propria ghiacciaia scavata nel terreno, più o meno spaziosa ma comunque atta a stoccare i blocchi destinati alla conservazione dei cibi freschi nei mesi più caldi.
Ovviamente, anche i Granduchi di Toscana ne avevano bisogno e una delle più conosciute ghiacciaie granducali dalla forma assai curiosa, si trova proprio al Parco delle Cascine di Firenze, lungo il Viale degli Olmi.
Inizialmente, le Cascine identificavano una zona assai più ampia di quella attuale che comprendeva insieme le Cascine di Petriolo, di Brozzi e di San Donnino. Acquistata nel 1531 come un’area riservata alla caccia da parte della famiglia dei Medici, divenne presto una bandita medicea, preclusa al pubblico godimento, dove era proibito cacciare, raccogliere legna e pescare nei corsi d’acqua che delimitavano la tenuta. Solo con il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, le Cascine diventarono parte di un progetto volto alla valorizzazione delle caratteristiche dell’azienda agricola e alla bonifica del degrado ambientale che era stato raggiunto.
Il progetto di realizzare una tenuta agricola funzionale, che allo stesso tempo risaltasse vari criteri di magnificenza architettonica, fu affidato a Giuseppe Manetti, architetto formato a spese dello stesso granduca tramite un’alta formazione a Roma. Nonostante le divergenze tra i due sul registro che le opere architettoniche avrebbero dovuto mantenere, si giunse finalmente all’inaugurazione nel luglio del 1791: con tre giorni di festività il parco venne aperto definitivamente al pubblico.
Il parco fu arricchito alla maniera in voga nei parchi reali di tutto Europa, con edicole, templi, fabbricati destinati a diversi utilizzi, fontane, vasche, anfiteatri e abbeveratoi. Cosi, nel 1765 il Manetti progettò secondo i canoni dell’architettura neoclassica l’edificio principale, ovvero la Palazzina Reale anche chiamata Villa Granducale; costruita nel cuore del parco, era anche l’edificio centrale della fattoria delle Cascine (oggi ospita la sede della Facoltà di Agraria).
Spostandosi verso il centro realizzò poi dei graziosi tempietti usati come uccelliere chiamati le Pavoniere, (trasformati in una piscina comunale negli anni Sessanta). A lato di questi ultimi realizzò la Piramide: pietre spesse, nessuna fonte di luce, una posizione ombreggiata nel fitto del parco per la costruzione di questo fabbricato progettato nel 1796, a cinque anni dalla solenne apertura alla cittadinanza del Parco delle Cascine all’Isola.
Un edificio particolarmente bizzarro in questo contesto che fa il paio, quanto ad inconsuetudine, con il Monumento all’Indiano, quello che, come tutti ricorderanno, si trova alla confluenza del Mugnone con l’Arno e che venne costruito nel 1870 dallo scultore inglese Carlo Francesco Fuller in stile moresco con la forma di un baldacchino sorretto da quattro colonnine, sotto il quale trova posto il busto scolpito del defunto principe indiano Rajaram Chuttraputti di Kolhapur, morto a Firenze nel 1870, forse per una infezione polmonare.
Tornando alla nostra piramide, occorre dunque precisare che questo piccolo edificio non ebbe invece niente a che fare né con l’ Egitto, né con sepolture di alcun tipo: il rimando formale alle architetture dell’antico Egitto faceva parte solamente di un gusto orientaleggiante proprio dell’epoca.
Esso altro non era che una ghiacciaia, esattamente come dicevamo prima: durante l’inverno nel locale sottostante veniva raccolta una grande quantità di neve, che si conservava fino all’estate per farne sorbetti e gelati, di cui sembra che a corte fossero particolarmente golosi (vi ho già raccontato al proposito come il gelato sia stato introdotto in Francia proprio da una fiorentina, ovvero quella Caterina dei Medici, che sarebbe divenuta Regina e Reggente del regno). In inverno, invece, vi venivano conservati i formaggi prodotti nella Fattoria Granducale.
La Piramide delle Cascine non era naturalmente l’unico impianto che serviva allo scopo: sin dall’ epoca rinascimentale esistevano infatti numerose diacciaie di forma solitamente conica, che venivano collocate nei fossati lungo le mura di cinta della città, in quei tratti che erano esposti ai venti freddi di nord-est. Ecco perché si trovavano nei pressi di Porta al Prato, lungo la cinta che si dirigeva verso Porta San Gallo, quindi nel tratto tra questa e Porta a Pinti, e poi ancora nel tratto verso Porta alla Croce.
Particolarmente interessanti al proposito risultano anche le ghiacciaie del Giardino di Boboli, che però vennero realizzate con una calotta di forma emisferica e poi volutamente dissimulate alla vista dall’ombra di una fitta vegetazione di alberi di alto fusto.
Più generalmente, si trattava di contenitori in muratura a forma di doppio cono, che venivano interrati nei fossati cittadini: potete dunque immaginarvi un cono rovesciato posto nella parte interrata, sovrastato da un ulteriore cono di copertura con il vertice in alto: il tetto conico era fatto di paglia e legna, probabilmente per favorire l’ aerazione del contenitore.
Il motivo per cui mantenevano il freddo, oltre all’esposizione ai venti di nord-est ed alla frescura procurata dalle cortine delle mura circostanti, stava quindi anche nella loro peculiare struttura: prima della Legge Leopoldina del 1776 la quale abolì gli appalti delle ghiacciaie ai privati, ogni appaltatore aveva l’onere, durante gli inverni poco freddi, di riempire le diacciaie, facendo venire a proprie spese neve e ghiaccio dall’ Appennino, con degli appositi barrocci.
Le ghiacciaie sono state praticamente i precursori dei nostri moderni frigoriferi: infatti, sotto il contenitore del ghiaccio o lateralmente, si praticavano dei fori a mo’ di gallerie i quali avevano la funzione di consentire il refrigeramento di beni commestibili, quali carni, vini, frutta e così via.
Ormai la ghiacciaia delle Cascine, come tutte le altre superstiti, Non è più in uso: anzi, al giorno di oggi potremmo affermare che ha decisamente mutato la sua funzione, declassandosi a mero deposito per i giardinieri del parco.
Fortunatamente, però, la povera piramide caduta in disgrazia, non è sola : le fa da vicina un’altra piccola struttura, anch’essa di forma piramidale ed anch’essa realizzata dall’architetto di Ferdinando II: stiamo parlando della Fonte di Narciso, una fontana in pietra sulla quale è riportata un’iscrizione in onore di Percy Bysshe Shelley. Sembra infatti che il famoso poeta inglese trasse ispirazione proprio da questo luogo ombroso per scrivere la più bella tra le sue opere, Ode al vento dell’Ovest.
«Oh tu selvaggio vento dell’Ovest, respiro dell’essenza dell’autunno,
tu, dalla cui invisibile presenza le foglie morte
sono trascinate, come spettri in fuga da un incantatore»
Adesso che avete letto questi pochi versi, sono certa che anche voi, quando andrete a passeggiare per il parco nella stagione autunnale, farete diversamente caso a quel vento dell’Ovest, percependo la sua invisibile presenza muovere le foglie morte, in sfrenati vortici . E voltandovi un poco, forse per ripararvi il volto, troverete ancora lei, la più fredda delle piramidi e … ripenserete a questa storia !