Le vostre storie,Racconti

Geometria

Passo ogni giorno, tranne la domenica, davanti ad una casetta.

Dal finestrino dell’autobus la vedo e non posso fare a meno di osservarla, anche di sfuggita, mi è diventata familiare come ogni casa, albero, pietra, ogni metro di asfalto della strada che mi porta al lavoro di tutti i giorni.

E’ una casetta uguale alle altre, un cubo di cemento armato bianco, con imposte scure e coppi rossi, al centro di un giardino. Lungo la recinzione metallica corre una fitta siepe di bosso. Non presenta elementi originali rispetto alle altre che la precedono e la seguono, se non per il fatto che sorge su un leggero sobbalzo del terreno, una sorta di collinetta sulla quale è posata come una coroncina sulla testa di una bambola.

Mi sembra una casa di bambola.

Tutto è minuto, dal camino sui coppi rossi, alle imposte, al vialetto che scende leggermente impervio verso il cancello. Un altro aspetto che sorprende è la cura meticolosa del giardino dove arbusti ed alberi sembrano messi a dimora con senso geometrico, non a caso, nell’intento di dare all’insieme un significato di armonia, equilibrio, bellezza. Non sono arbusti che debordano o invadono disordinati il prato, la siepe è rigorosamente potata, gli alberi non sporgono troppo, i colori non mancano di giusta intonazione.

Mi sembra un giardino musicale dove ogni nota sta al posto suo e suona una sinfonia di colori e forme.

Il rosso dell’acero, lo scuro di una magnolia, l’esplosione bianca e rosa delle azalee, il verde brillante dell’erba che sembra un tappeto di velluto si armonizzano con il colore dei muri, dei coppi, delle imposte.

Ho l’impressione che non ci abiti nessuno. Non ho mai visto qualcuno uscire, affacciarsi alle finestre, sostare nel giardino, potare gli arbusti, annaffiare azalee e tappeto inglese. Eppure sembra che le mani di un giardiniere esperto ed appassionato lavorino incessantemente per mantenere ordine ed equilibrio, bellezza ed armonia.

La curiosità mi ha spinto a passarci davanti di domenica, quando invece potrei starmene tranquillamente a poltrire a casa mia.

Niente e nessuno.

Le imposte non sono chiuse, le finestre tuttavia hanno le tende tirate.

Nessun rumore, nessun movimento: sembra davvero una casa vuota, disabitata, una casa for sale.

-Guardate come sono bella, compratemi, non ve ne pentirete.

Allora la mia fantasia, senza la quale non potrei vivere, si è messa in moto. Ho iniziato a giocare con il se, con tutti i condizionali d’obbligo. Se in quella casa ci abitasse qualcuno, come l’immaginerei?

E’ una casa che si adatterebbe ad una coppia di coniugi o ad una persona sola?

Scelgo una coppia di appassionati di giardinaggio: lui in tenuta sportiva, con il decespugliatore ronzante e stivali di gomma, lei con un cappellone di paglia in testa e le cesoie in mano. Insieme al lavoro in giardino, lei ama le azalee bianche, poi, come ogni coppia che si rispetti, ognuno al proprio posto.

Avete presente le casette di legno dipinto che segnano il cambiamento del tempo e i due sposini, in costumi tirolesi, escono a turno dalle finestrelle. Lui è un uomo tranquillo, di poche parole e molti pensieri. In pensione da anni si gode il meritato riposo: legge – gli piacciono i polizieschi -, guarda alla televisione le trasmissioni sportive – in gioventù è stato un calciatore dilettante – e i documentari scientifici sugli animali che non avrà mai modo di conoscere – non ama viaggiare -. Gli piace stare in casa, se la sente cucita addosso come le pareti del guscio della chiocciola, del riccio di castagna, delle valve della conchiglia. Gli piacerebbe avere un cane o un gatto gironzolare per casa. Forse di più un gatto perché i cani sono troppo rumorosi e scavano buche.

E’ un sogno impossibile: la moglie non acconsentirebbe mai ad avere tra i piedi una palla di pelo che dissemina lanugine dappertutto, lettiera da accudire quotidianamente, un attentatore delle sue poltrone e delle tende perfettamente inamidate.

Non hanno avuto figli. Mai un pianto, un frigno, risate e lacrime. Solamente le loro voci che col passare del tempo non si sono più armonizzate: quella di lui è diventata cupa, bassa, discordante; quella di lei alta, sottile, penetrante. L’uomo scivola su ciabatte di feltro. I piedi lo ringraziano per il fatto che non sono costretti ad indossare scarpe dalla mattina alla sera, se non quando lo portano ad uscire per le commissioni e le passeggiate.

Da solo.

La moglie non lo accompagna. E’ tutta presa dai fornelli, dalle pulizie di fondo di stanze immacolate ed ordinate che hanno bisogno quotidiano di essere riassettate, spolverate, lucidate dagli elettrodomestici di ultima generazione, spremiagrumi, trita formaggio, impastatrice di pane, sorbettiera elettrica, infine sua maestà la lavatrice che ronza di continuo perché c’è sempre qualcosa da lavare.

Non trova il tempo di leggere – è troppo stanca la sera e s’addormenta come un sasso sul cuscino; non le piace la televisione se non per guardare le telenovelas brasiliane, dall’una alle due del pomeriggio, ora in cui, cascasse il mondo, non si sposta di un centimetro dalla poltrona.

Scivola anche lei su pianelle di panno che non fanno rumore e senza rendersene conto procura al marito veri e propri scossoni di spavento quando gli appare di fianco e gli parla. Veramente lui non dovrebbe scuotersi e spaventarsi più di tanto perché ci è abituato. I discorsi della moglie, sarebbe meglio chiamarli monologhi, riempiono l’aria, la saturano da sempre.

Non sta zitta un momento, nemmeno di notte perché i sogni la fanno farfugliare e sbavare sul cuscino. Gli parla di tanto, di tutto, di troppo. Lui si chiede spesso da dove arrivi la valanga di parole che lo travolge. La donna conosce i segreti della strada, le storie che si annidano dietro tranquille facciate del vicinato, e quando è a corto di novità, se le inventa o si attacca al telefono e dalle amiche ne viene a sapere tante altre da snocciolare poi, a tavola, mentre lui gusta il brodo, o quando tenta di concentrarsi sull’ultimo romanzo, a letto, o in salotto durante la partita di rugby.

A questo punto mi sono chiesta:

-Se uno si stancasse, cosa accadrebbe?

Sono ferma davanti alla casa. Ho voluto venire a piedi per osservarla attentamente, senza il diaframma di vetro del finestrino dell’autobus, rischiando di sembrare una specie di voyeur.

E’ domenica mattina, poche auto per la strada, i marciapiedi deserti. Scorgo un barlume d’azzurro trapelare dietro una tenda: sarà il televisore acceso sull’incontro di tennis o su una corsa ciclistica? Avverto un ronzio di aspirapolvere: sarà lei che snida dai tappeti gli acari di giornata?

No, è solo la mia immaginazione che mi gioca scherzi di buon’ora, quando dovrei essere a casa a poltrire in santa pace.

Ad un tratto qualcosa mi suggerisce che la geometria del prato, laggiù dove la collinetta pende verso la magnolia, è turbata da una forma insolita.

E’ come se un triangolo equilatero fosse viziato da una linea storta, come se a chi l’avesse disegnato, il righello fosse scivolato di mano provocando una gobba sul foglio. Dal finestrino dell’autobus non l’avrei mai notato: il vetro è sporco, opaco, deforma la vista, il tempo è breve e non concede che un’occhiata di rapina. Se non fossi giunta oggi e l’avessi visto con i miei occhi non avrei scorto, ai piedi della magnolia, uno scherzo sul pentagramma musicale, un giocattolo rotto.

Aguzzo la vista; la magnolia è un po’ lontana e la siepe di bosso molto fitta. L’aria è immobile, silenziosa, nemmeno un volo radente di passeri e merli. Sento – e questa volta è reale – un cigolio.

La porta d’ingresso si è socchiusa. Un gattino di pelo bianco – sembra una spumiglia – esce con incedere sinuoso e la coda all’insù. Si ferma sulla soglia per leccarsi la zampina, poi di scatto si muove scendendo il vialetto, salta nell’erba e si dirige verso la magnolia.

Allungo il collo al di sopra della siepe: là dove la collinetta digrada dolcemente, sotto l’albero dalle foglie lucide e dai fiori che sembrano colombe in procinto di spiccare il volo, vedo un tumulo di terra, leggermente rialzata.Un metro e qualcosa per un metro.

Il gatto ci si distende sopra e gioca con le foglie di un’azalea bianca.

                                                                                 

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Loredana Facchinelli

Loredana Facchinelli, 1955, classe di ferro e nuvole, felice nonna di Niccolò, è una maestra in pensione che ama scrivere fin da quando era bambina. Si definisce così: “Mi sento come una coppa spumeggiante di bollicine …a volte è champagne, altre volte solo bicarbonato di sodio”!

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