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La santa bambina

Più di cinquant’anni fa era una baracchetta. Sperduta fra i campi del Fornasoto e via S. Donà, dove sferragliavano di crema le corriere con le bretelle, costruita con assi di legno, affacciata sulla mota d’inverno, di strade riarse in estate, accoglieva la piccola comunità della Frescada.

Era nata da una costola della parrocchia di Gervasio e Protasio, santi aulici perfino nel nome. Par di rivederla appena indistintamente confusa fra preghiere recitate in latino, veli che coprivano le teste delle donne, rosari intrecciati alle dita, candele accese sotto al ritratto di una ragazzina in piedi, con gli occhi rivolti al cielo. Non si sapeva che la palma, fosse un simbolo di martirio, non si conosceva nulla di lei se non il nome ed una luce di tristezza negli occhi cerulei.

Allora non ce lo insegnavano chi fosse Maria Goretti. Non la reputavo una santa austera ed importante, al pari delle altre che popolavano il libro del catechismo o le chiese della vicina ed inesplorata Venezia. Una povera contadina sembrava, col fazzoletto in testa. Un’immagine di bambina solamente più malinconica e vestita male.

Chi fosse lo seppi guardando un film che davano regolarmente durante la Quaresima.

“Il cielo sulla palude” era il titolo e raccontava la storia di una ragazzina, poco più di una bambina, uccisa dal fidanzato. Le scene in bianco e nero trasudavano dolore e palude. Erano le campagne dell’agro pontino, bonificate all’inizio del Novecento, dove far lavorare i poveri braccianti venuti da fuori. La famiglia dei Goretti, di origine marchigiana, visse in quelle terre fosche e melmose, dove si consumò il martirio della piccola Maria.

Intuii vagamente che non si trattava di un omicidio qualsiasi, ma che la vicenda rivestiva un alone di terribile ed inespresso. Allora nessuno ti spiegava come stavano veramente le cose, che l’assassino non era altri che un giovanotto reo di tentato stupro e che la povera Maria si era difesa fino alla morte. Lo dovevi scoprire da sola, con l’aiuto di amiche smaliziate, affidandoti a qualche immagine sfuggita alla censura domestica, a frasi smozzicate o ascoltate per caso.

Parlare di sessualità, verginità e purezza violate era un tabù. Almeno nella mia famiglia. Se la cosa si riferiva ad una santa bambina, la faccenda diventava delicata ed imbarazzante.

Più avanti negli anni sarebbero arrivate le minigonne, le canzoni dei Beatles, le proteste studentesche e le liberazioni sociali e culturali.

Trascorsi l’infanzia e gli albori dell’adolescenza come parrocchiana di Santa Maria Goretti, vincendo la mia brava medaglia di bronzo al corso di catechismo, accendendo i lumini di carta colorata durante la processione del Venerdì Santo, avvertendo le incertezze e i turbamenti di un’età che mi stava trasformando.

Da grande pensai che la Frescada fosse stato il mio piccolo Eden, dal quale fui cacciata per colpa dei grandi. Poi altre scelte, altre mete, altri incontri. Fino al giorno in cui non mi capitò di visitareil paesino di Corinaldo.

Scarne le mie informazioni su Maria Goretti, distratte, azzoppate come il ritratto che, per motivi di spazio nella nuova chiesa, fu rimpicciolito. Di lei, che prima svettava a figura intera, restavano gli occhi rivolti al cielo e la palma in mano.

Passeggiando nell’antico borgo marchigiano mi chiesi cosa avevapensato la bambina quando, strappata ai dolci profili delle colline, alle pietre secolari del castello medievale attorno al quale si aggrappola il paesetto, fu catapultata nella piatta distesa dell’agro pontino, dove terra e cielo si confondevano nel plumbeo, e costretta a morire per non subire oltraggio e violenza. Per difendere la propria dignità, la propria femminilità: preferisco chiamarle così.

Corinaldo è un luogo dove sembra che gli orologi abbiano smesso di correre e molto parla della piccola santa bambina.

Oggi, a distanza di più di cinquant’anni, la baracchetta e il Fornasoto non esistono più.

La Frescada è irriconoscibile (sfiderei chiunque a ricordare che si chiama così), si è trasformata in un quartiere periferico, ronzante come un alveare, anonimo ed uguale a tanti altri rioni suburbani.

Via S. Donà, dopo alterne vicende, tornerà a sentire lo sferragliare del tram, stavolta d’un rosso lucido acceso e meno rumoroso. La chiesa di vicolo della Pineta, costruita sul finir degli anni sessanta, ospiterà il corpo di Maria, giunto per l’occasione dell’anniversario della fondazione della parrocchia.

Mi sono chiesta se altri come me ricorderanno, si domanderanno se è ancora legittimo oggi pensare di morire per difendere la propria verginità, il proprio onore davanti agli occhi degli uominie del Dio che Maria amava incondizionatamente. Non ci sono altre morti, lontane da noi nello spazio, o vicine, nella mente e nella coscienza di ciascuno di noi, per cui sia giusto chiedersi se sono legittime oppure no?

Morti per salvare il lavoro, la pace, morti per difendere la giustizia ed il diritto, la libertà e l’uguaglianza, morti per preservare l’integrità di un ideale o semplicemente per difendere un indifeso, un amico, un animale, il nostro pianeta che rischia di morire, morti per difendere il concetto di un dio, anche se non è sempre quello dalla parte giusta?

Non so da quale luogo provenga, ma credo che l’arrivo di Maria sia un’occasione per fermarsi  e riflettere sui molteplici temi attuali, scottanti, scomodi, in definitiva unici ed assoluti come la vita e la morte, sia per le centinaia di persone cristiane praticanti che la scorteranno con devozione fino alla chiesa , sia per chi non praticante, o cristiana per battesimo e cresima e non per scelta, alla continua ricerca di risposte, che forse non arriveranno mai, in gara con il tempo che non lascia scampo o che si dissolve, come sabbia nella clessidra, nel momento in cui ti illudi di averlo fermato, fissato, in un gioco di specchi che ti rimandano la tua stessa immagine deformata dagli anni, dalle disillusioni, dagli inganni.

C’è tanto bisogno di fermare il tempo e riflettere sull’ignavia, l’indifferenza che ci circondano e che sono annidate spesso in molti di noi. Malgrado la fatica di oggi e l’incertezza del domani, mi piace il mio presente; nonostante non mi abbandoni la sensazione che il mio tempo stia per scadere senza aver capito, con tante cose ancora da comunicare, esprimere, realizzare.

Nutro l’idea che la speranza sia sempre l’ultima cosa a morire, come dicevano i nostri vecchi. Tuttavia non riesco a non pensare a come mi piacerebbe ritornare bambina e confondermi ancora fra preghiere recitate in latino e veli e candele accese e rosari intrecciati. Come mi sentivo sicura e protetta e mi incantavo nel guardare la contadinella con la palma e lo sguardo al cielo!

E’ solo un momento. Il tempo non si è fermato, qui come a Corinaldo gli orologi corrono in fretta, Maria non ha potuto sottrarsi al suo destino, altre verginità verranno violate e non è detto che riguarderanno solamente le povere bambine indifese.                                                                                                    

3/3/2010

Santa Maria Goretti
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Loredana Facchinelli

Loredana Facchinelli, 1955, classe di ferro e nuvole, felice nonna di Niccolò, è una maestra in pensione che ama scrivere fin da quando era bambina. Si definisce così: “Mi sento come una coppa spumeggiante di bollicine …a volte è champagne, altre volte solo bicarbonato di sodio”!

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