La burla del XX secolo
Le opere di Amedeo Modigliani sono sempre state tra le più falsificate al mondo a causa di quell’apparente semplicità di esecuzione che è propria solo dei grandi artisti, che vede la linea al centro dell’opera quale principale elemento compositivo di forme purissime ed essenziali.
A questo possiamo anche aggiungere che di Modigliani si è sempre saputo piuttosto poco; la documentazione relativa alla sua vita ed ai suoi capolavori è scarna e di difficile reperimento. Ne sa qualcosa l’unica figlia, Jeanne Modigliani, a sua volta storica dell’arte, che ha dedicato la sua vita a ricostruire il più fedelmente possibile tutte le tappe della tormentata esistenza del pittore e scultore toscano.
E proprio alcune sculture, impropriamente attribuite a Modigliani, sono state al centro di un clamoroso caso di falsificazione che è passato alla storia: sono certa che molti di voi ricorderanno.
Per il mondo dell’arte italiana e’ stata La Burla del XX secolo: un fatto di cronaca indimenticabile, una leggenda nella leggenda, vuoi per la maniera in cui fu confezionata (tanto bonaria quanto impeccabile), vuoi per le incredibili reazioni che scatenò.
Perché, credetemi, trent’anni anni fa tutta L’ Italia ne parlò, eccome se ne parlò!
Ma andiamo per ordine: il 24 gennaio del 1920 moriva all’Hopital de la Charité di Parigi, Amedeo Clemente Modigliani.
Pittore, scultore, artista “maudit” (maledetto), era partito alla volta di Parigi quattordici anni prima lasciandosi alle spalle la sua città natale, Livorno, deriso dagli artisti suoi concittadini.
Il rapporto tra Modigliani e la sua città è stato burrascoso per diverso tempo: l’artista oggi quotato e apprezzato in tutto il mondo, in vita non fu mai veramente compreso dai livornesi e spesso fu preso in giro per i lunghi colli femminili dei dipinti e per lo stile delle sue sculture.
E proprio le sculture di Modì nel 1984, a cento anni dalla morte dell’artista, diedero alla sua amata – odiata Livorno enorme notorietà con una notizia che fece il giro del mondo: uno scherzo, una presa in giro, proprio come quelle riservate a Modigliani quando era in vita.
Per raccontare la storia di una delle più grandi beffe di sempre bisogna infatti tornare al luglio del 1984.
Livorno festeggia il centenario della nascita di Amedeo Modigliani con una mostra a lui dedicata: curatori dell’esposizione sono i fratelli Dario e Vera Durbè.
Dario è direttore della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma mentre Vera è direttrice del Museo Progressivo d’Arte Contemporanea di Villa Maria, a Livorno. Ed è proprio Villa Maria il luogo scelto per allestire la mostra che però rischia di essere un fallimento: poche le opere esposte (a Livorno arrivano solo quattro delle 26 sculture riconosciute all’artista) e poco pubblico.
Forse anche per questo Vera Durbè si gioca il tutto per tutto: dare credito a una leggenda secondo la quale nel 1909, Modigliani incompreso e deriso dalla città e dagli amici artisti, decise di gettare nel Fosso Reale alcune sue sculture prima di tornare a Parigi, città dove passò il resto dei suoi giorni e dove oggi è sepolto al cimitero Père-Lachaise. La Durbè, infatti, afferma di sentire la presenza delle opere dell’artista nel Fosso e ottiene le autorizzazioni dal Comune per iniziare la ricerca.
Nel giro di poco iniziano le operazioni di dragaggio. I livornesi si accalcano lungo la spalletta del fosso per seguire le ricerche, la curiosità è alle stelle.
Dopo alcuni giorni di ricerche infruttuose i livornesi (com’ è nella loro indole) cominciano a farsi gioco dell’operazione voluta dai fratelli Durbè: diciamo che il pensiero comune è che qualunque cosa venga recuperata, anche la più improbabile, possa divenire vox populi di Modigliani.
Anche un giovane, tale Pietro Luridiana, la pensa a questo modo: passeggia quasi quotidianamente nei luoghi dove la ricerca ferve nel fossato, osserva i cucchiai delle ruspe pescare melma e detriti e segue con attenzione come i fatti si stanno evolvendo, dall’attesa speranzosa allo sberleffo pieno.
A Livorno fa caldo, è luglio inoltrato, ma tante persone stanno lì, costrette a lavorare duramente.
Ed è qui che il giovane si domanda :« …Ma se adesso saltasse fuori una scultura di Modigliani ?»
Detto, fatto. Pietro chiama gli amici d’infanzia Michele Ghelarducci e Pierfrancesco Ferrucci e spiega ai due lo scherzo che ha in mente. Nel giro di un paio di giorni i ragazzi si procurano alcuni attrezzi (nemmeno quelli specifici da scultore), un grosso pezzo di pietra e si mettono all’opera. Così, a colpi di martello, cacciavite e trapano elettrico i tre mattacchioni realizzano una bella testa di donna.
Infatti, quando, i giovani saranno interpellati in seguito ai fatti accaduti, con scanzonato humour toscano e senza titubanze, risponderanno all’unisono:« (…) Visto che non trovavano niente, abbiamo deciso noi di fargli trovare qualcosa!».
Ma torniamo alla nostra storia: approfittando del caldo estivo che ha spinto gran parte dei livornesi a prendere il fresco sul lungomare, i tre studenti gettano la loro finta Testa di Modì proprio davanti alla draga. Sperano che venga ritrovata, in modo da creare un bello scompiglio per qualche ora o poco più, certi che poi un qualunque critico d’arte si accorgerà immediatamente dello scherzo.
Su questo però Luridiana e i suoi amici si sbagliano e di molto!
La mattina del 24 luglio il fondale fangoso del Fosso Reale restituisce una testa scolpita ma, incredibile ma vero, non è quella realizzata dallo studente e dai suoi amici.
La domanda nasce spontanea: che sia stata veramente ritrovata una scultura del Modigliani?
Il rimorso nei giovani si fa pesante pensando al fatto che, gettando la loro pietra nel fossato, avrebbero potuto danneggiare seriamente la vera opera d’arte depositata sul fondale.
In realtà, si appurerà in seguito che neppure quella testa è opera di Amedeo Modigliani.
Come nelle più spettacolari pièces teatrali, in questa vicenda si sono susseguiti parecchi colpi di scena. Si scoprirà infatti che la scultura è opera di un altro giovane artista livornese, tale Angelo Froglia, al tempo dei fatti soltanto ventinovenne. Sconosciuto ai più, il Froglia (scomparso prematuramente nel 1997), è un lavoratore portuale, un artista, nonché un ex attivista dell’organizzazione armata di estrema sinistra Azione Rivoluzionaria.
Anche Angelo, tempo prima ha gettato nel Fosso Reale delle false teste ma a spingerlo sarebbe stata una motivazione diversa da quella dei tre studenti: quella di Angelo è un’operazione estetico-artistica, un atto di rivalsa nei confronti dei critici d’arte, un gesto politico e artistico, volto a mettere in evidenza la fragilità su cui, a suo vedere, è costituito sia il sistema culturale che quello dell’informazione.
Il pomeriggio del 24 luglio, poche ore dopo il ritrovamento della scultura di Angelo (che tutti hanno scambiato per autentica), Pietro Luridiana decide di passare nuovamente nei pressi del Fosso Reale per vedere che aria tira da quelle parti. L’eccitazione della gente sulla spalletta e sulla chiatta del dragaggio è massima: non una, ma ben due sculture di Modigliani sono state ripescate lo stesso giorno dal fossato!
Sconvolto per la notizia, il giovane torna verso casa e si piazza con i tre amici davanti alla tv per seguire il telegiornale della sera.
E’ a questo punto della storia che i ragazzi apprendono con certezza che nessuno parla di burla; esperti e giornalisti annunciano invece con convinzione che una seconda, autentica, scultura di Modigliani è stata ritrovata nella città di Livorno. Eppure, è la loro!
«Pensavamo fossero le prime impressioni, non ci sembrava possibile che non si fossero accorti che era uno scherzo. Immaginavamo che poi, guardandola con calma, se ne sarebbero resi conto».
Nessuno invece si rende conto che si tratta non solo di un falso ma, ancor peggio, di due; addirittura, la notizia del ritrovamento attira anche la stampa internazionale.
La curatrice Vera Durbè è in estasi: rilascia ai media dichiarazioni in cui sostiene che la prima scultura è senz’altro la più bella, per via del naso che è nobilissimo e che la seconda pare un dipinto.
La seguono a ruota anche vari esponenti del mondo dell’arte come Giulio Carlo Argan, il quale affermerà senza ombra di dubbio che entrambe le teste sono assolutamente autentiche.
Qualche dubbio sulla paternità delle opere viene sollevato soltanto da alcuni scultori di fama minore: secondo loro la mano che ha scolpito quelle teste sarebbe troppo inesperta, troppo scarsa la padronanza degli strumenti per essere di Modigliani.
Ma Dario Durbè non si lascia scoraggiare e scambia la burla di tre giovani muniti di trapano elettrico per un’opera «di commovente e indagante incertezza».
Quando poi, il 10 agosto, la draga recupera una terza testa (anche questa opera di Froglia) la leggenda pare essere diventata realtà e in un clima di trionfo le tre sculture, tutte rigorosamente false, vengono esposte alla mostra in corso a Villa Maria. I fratelli Durbè annunciano una conferenza stampa per presentare le opere al mondo e stampano in fretta e furia un nuovo catalogo.
A questo punto, siamo arrivati quasi alla fine della nostra storia: i tre ragazzi (che in cuor loro avevano avuto intenzione di fare uno scherzo ma certamente non di ingannare tanti esperti del mondo dell’arte), decidono di uscire allo scoperto e dato che il direttore di un’ importante rivista dell’epoca è parente di uno dei tre, scelgono di raccontare la loro storia in un’intervista da rilasciare al settimanale.
Quando esce la notizia, per buona parte della gente, i ragazzi diventano degli idoli, geniali nell’invenzione del loro bellissimo scherzo; altri invece si sentono offesi e colpiti. Qualcuno li taccia anche di millantatori che si sono inventati proprio tutto.
Per queste accuse i ragazzi decidono di mostrare le foto che si erano scattati prima di gettare la testa nel Fosso e che li ritraggono con la scultura appena creata. Fanno anche di più: per dimostrare agli esperti ed ai critici d’arte di essere i veri autori della testa, ne scolpiscono un’altra in diretta tv negli studi di Speciale TG1.
E quando il 13 settembre Angelo Froglia ammette di essere l’autore delle altre due teste ritrovate, l’estate della pesca miracolosa livornese si conclude bruscamente!
Con lei finisce anche la mostra su Modigliani che chiude i battenti, completamente oscurata dalla burla e dalla brutta figura dei curatori e di buona parte del mondo dell’arte.
Dario Durbè grida al complotto, la sorella Vera si sente male e viene ricoverata in ospedale.
Gli autori della burla, invece, entrano nell’ombra: tutti e tre proseguiranno gli studi universitari e poi si avvieranno verso le rispettive professioni: per la cronaca, nessuno di loro tenterà la strada della carriera artistica!
E le false teste che fine hanno fatto? Loro sono rimaste famose, spesso addirittura esposte a giro per il mondo in rassegne dedicate ad Amedeo Modigliani.
«La vita può negarti tutto, ma non ti rifiuta mai un’opportunità: quella di burlarti disperatamente e a ragione del tuo prossimo» , cosi sosteneva Joan Fuster nei suoi Giudizi Finali.
Parole sagge su cui non vi è nulla da obiettare: forse però, al fine di evitare altre beffe di siffatta portata, sarà meglio non riferirle mai ad un livornese!
P.S. : Spero che per avere raccontato questa storia i miei tanti e cari amici livornesi, non me ne vogliano! Amo profondamente Livorno ed il suo goliardico modo di vivere!