Giza e Biscotto (Parte Prima)
L’incaricato dell’agenzia venne a ritirare il cartello il venerdì pomeriggio e Valerio il portinaio si arrabbiò perché non era stato avvertito.
-Vivo in questo palazzo da vent’anni – si sfogò con la moglie – ho il diritto o no di sapere chi ci viene ad abitare?
Uscito in cortile con Giza per un giretto tra le ortensie, alzando gli occhi verso la facciata non l’aveva più visto. Trenta per trenta, di colore giallo con la stampigliatura VENDESI in grassetto nero. Quando quelli dell’agenzia immobiliare erano venuti la prima volta, avevano avuto la cortesia di bussare: –Agenzia Casanova, mettiamo l’avviso di vendita dell’appartamento al primo piano.
Lui seguendoli con l’aria del padrone di casa aveva sbirciato dentro. Benché l’appartamento fosse sfitto da mesi, sperava di trovare una traccia dei Malvestio, magari un foulard della signora dimenticato all’ultimo momento. Ne sfoggiava uno diverso dall’altro ogni giorno impregnandoli di un profumo dalla scia sottile e pungente.
-Va là che ti sei innamorato della Malvestio! – gli disse un giorno la moglie ridendo. Valerio si schernì, non troppo perché quando la signora Lorella scendeva le scale, il suo passo era inconfondibile e lui escogitava qualsiasi pretesto per farsi trovare in androne, con la scusa di controllare le cassette della posta, annaffiare le clivie, lucidare il vetro del portoncino. Non è che ne fosse innamorato, – troppo anziana – ma gli piacevano l’eleganza e la raffinatezza dei modi.
-Non ti far il sangue cattivo – gli rispose la moglie scodellando la zuppa (odiava minestroni e zuppe) – tanto dove la trovi una famiglia perbene come i Malvestio? Teniamoci pronti a tutto! Guarda che fine ha fatto l’appartamento della Sbrilli, in mano ai neri, dove andremo a finire, dico io!
-Stavolta l’appartamento è stato messo in vendita – replicò Valerio – non credo che i neri abbiano tanti soldi … si vocifera di … mila euro! e con le dita mimò la cifra. La moglie sporse il labbro ed arcuò il sopracciglio: – Caspita! I Malvestio hanno fatto un affare! La casa è tenuta bene, ma è pur vecchio ‘sto palazzo! Quanti anni ha?
Valerio contò: – Una cinquantina quasi, metà anni sessanta, quando si costruivano case buone e noi eravamo creature.
-Parla per te! – ribatté la moglie – io sono giovane! Risero di gusto. Erano coetanei, ma lei era civetta e nascondeva l’età. La guardò di sottecchi: una moretta con occhi scuri, un’incipiente pinguedine, in complesso piacente. La prima volta non ci fu nulla di particolare che l’avesse colpito da innamorarsene; era una ragazza come tante altre che gli passavano vicino in tram o per la strada. Niente a che vedere con Veronica. A dir la verità, era affetta da un leggero prognatismo che Valerio chiamò grugnetto: “Grugnetto mio … grugnetto d’oro … tesoro di grugnetto …” Lia non capì cosa significasse ma l’accettò perché per lei era stato il classico colpo di fulmine. Un’amica li aveva presentati ad un festino. Assomigliava all’attore americano biondo, muscoloso, col grosso ciuffo sulla fronte.
-Quello che muore e poi lei lo vede fantasma che la va a trovare …
-Ma chi? Patrick Swayze? – chiedeva la figlia sedicenne – mamma, è morto l’anno scorso!
-Boh mi dispiace tanto! Tuo padre e lui due gocce d’acqua! Simonetta ed il fratello scambiandosi un’occhiata incerta osservavano papà concordando che la stempiatura alta era ciò che restava del ciuffo grosso e dei muscoli nessuna traccia. Forse gli occhi, leggermente allungati e di azzurro trasparente. – Come i miei – aggiungeva Simonetta.
-A proposito dove stanno? La collera gli aveva annebbiato la vista, non si era accorto dei posti vuoti a tavola.
-Simonetta ha telefonato che si ferma a cena da un’amica e Damiano fa il turno di notte … te lo sei scordato?
-Accidenti! Quest’affare dell’appartamento mi ha rotto le palle, ma domattina mi sentiranno!
A pianoterra si dislocava in una settantina di metri quadrati l’appartamento di portineria con tanto di guardiola a vetrate fumé recentemente ristrutturata.
-Come diavolo hanno fatto ad entrare, senza suonare il campanello!
-Detto in breve, ti sono passati sotto al naso e io so bene perché. La moglie inalberò una delle sue espressioni da signorina Sotutto. – Sarebbe a dire? – Sarebbe a dire che uno degli spostati dell’ultimo piano ha lasciato il cancello aperto, lo fanno spesso … tu avevi finito di passare lo straccio in androne e ti eri allontanato con Giza … ed il gioco è fatto! – E tu? Dove ti eri cacciata? Avresti dovuto sentire dei rumori. – Oggi è venerdì. Viene la Flora a farmi i capelli, il phon era acceso! – e si toccò i riccioli freschi di messa in piega – piuttosto dovresti riprendere i signorini dell’ultimo piano: il cancello va chiuso in ogni caso.
Valerio rimase sovrappensiero mentre la consorte sparecchiava. A volte il cancello d’ingresso era accostato, ma non se la sentiva di affibbiare la colpa ai due giovani dell’ultimo piano.
“Quelli lo lascerebbero spalancato … forse è la signora Bardone che mi pare un po’ rincoglionita o la Muttone o potrebbero essere i bambini dei neri … chissà perché Lia ce l’ha a morte con loro!
Riprese ad osservarla. Di profilo, in piedi davanti all’acquaio il grugnetto era decisamente sgradevole. Sospirò accendendo una sigaretta.
-Sei pregato di uscire … non sai che detesto il fumo! Valerio si alzò e stiracchiandosi uscì dalla porta-finestra che dava nel cortile interno. Giza, la vecchia gatta, lo seguì. Fra qualche settimana le giornate si sarebbero allungate. Se lo sentiva nelle ossa l’arrivo della primavera. Le ortensie, potate a fine inverno, stavano mettendo germogli grossi come nocciole; le chiome degli aceri e delle acacie promettevano bene, come ogni anno e la siepe sulla cancellata era stata una sua idea, premiata da fioriture ricorrenti e profumate. Si guardò attorno con soddisfazione. Si sedette sulla panchina, al centro dell’aiuola, affiancata da un fontanella che non buttava acqua per risparmiare. Abbandonato giaceva il triciclo del piccolo dei neri. “Dovrò ricordare il regolamento – pensò raccogliendolo e gettando un’occhiata alla facciata del palazzo. Nel buio occhieggiavano le finestre illuminate ad ogni paino, solamente quelle del primo A erano chiuse come occhi vuoti. Del palazzo conosceva la carta d’identità: nome palazzo Minerva, anno di costruzione 1966, le famiglie più longeve in ordine di apparizione – i Bardone, i Muttone, i Landini ora Spampignatto, la signorina Sbrilli, i Cusumano e la signora Elia, il signor Giacomo con moglie e figlio, i Malvestio; da quando si era insediato in portineria aveva conosciuto l’altra Sbrilli, la professoressa Gnoccarini e per finire i neri e gli sposini dell’ultimo piano. Se era diventato portinaio dello stabile doveva ringraziare il signor Giacomo, collega di suo padre in fabbrica. Il vecchio Pasquali era morto improvvisamente ed il signor Giacomo, durante una riunione condominiale, aveva promosso la candidatura del giovane Valerio come persona seria, affidabile e discreta: ciò che ci voleva per gestire un condominio di gente rispettabile ed attempata. Valerio, che aveva conseguito il diploma con la scuola per corrispondenza Radio Elettra di Torino, dopo una breve parentesi nella fabbrica dove lavorava il padre, non riusciva a trovare uno straccio di lavoro per mantenere sé e la giovane moglie. Fece ottima impressione il giorno in cui si presentò in portineria, vincendo lo sguardo esaminatore della signorina Sbrilli e del maresciallo Muttone, i quali, essendo coloro che vantavano più anzianità di condominio, lo promossero a pieni voti. “A maggio saranno vent’anni che lavoro qua – pensò mentre Giza gli gironzolava attorno – ed intanto ho messo al mondo due figli e te, Giza sei con noi ormai da dodici anni! Vecchia gattina scorbutica! La gatta non lo degnò di uno sguardo, continuando ad annusare il terreno per scovare odori e presenze dimenticate. Aveva un pelo grigio perla ed occhi brillanti. Che importa se non ce la faceva più a saltare da una poltrona all’altra o ad arrampicarsi sulla corteccia degli alberi per scovare i nidi dei merli. Lenta, leggermente obesa, col pelo opaco, a detta del veterinario, godeva di ottima salute e sarebbe vissuta ancora per molto.
-Sfido io, sei trattata meglio della principessa del Nilo! Ehi Giza? – e cercò di accarezzarla ma lei si ritrasse sdegnosa accucciandosi sotto alla panchina. Il cielo era pieno di stelle, nessun rumore. Le finestre ad una ad una chiusero gli occhi. Dal balcone della signora Velia lampeggiarono sei paia di occhi: i gatti che dormivano in terrazza quando non pioveva stavano fissando Giza.
-Eh beati voi che vedete nell’oscurità! – esclamò Valerio accendendo un’altra sigaretta; pensò che non aveva voglia di rientrare e guardare la televisione. Si stava così bene sebbene tirassero brividi di arietta. Il pensiero dell’impertinenza subita da parte degli impiegati dell’agenzia immobiliare gli tornò nuovamente in testa. Stavolta però non si trattava di rabbia contro la moglie o chi sbadatamente aveva lasciato aperto il cancello. Gli stava succedendo qualcosa che non voleva confessare neanche a se stesso ma che prima o dopo si sarebbe scoperto. Si sentì amareggiato: diventare sordo a cinquant’anni non è giusto né piacevole. Eppure suo malgrado i disturbi si erano fatti sentire in modo subdolo, dapprima preceduti da ronzii e fruscii fastidiosi. Ricorrere a lavaggi con soluzioni farmaceutiche era servito a poco. Da sei mesi non riusciva a distinguere le voci del televisore se non accostandosi con la poltrona; se Lia o i figli gli parlavano alle spalle, avvertiva la loro presenza ma era costretto a girarsi per guardarli in faccia. Poi, una sera, Simonetta nel ripetere la stessa parola esclamò: – Ma sei sordo papà! O fai finta di non capire!
-Su Giza, rientriamo che fa freddo e ti buschi un malanno! Rientrò in casa con due propositi per l’indomani: la visita all’agenzia Casanova e una capatina dal dottor Rossetti. Non ci fu bisogno di recarsi all’agenzia perché, di buona mattina, si presentò al cancello il direttore dell’ufficio in persona e stavolta la scampanellata fu nitida e prepotente.
-Vengo ad annunciarle che l’appartamento dei signori Malvestio, con ogni probabilità, sarà venduto. C’è una coppia che oggi pomeriggio verrà a vederlo.
Valerio avrebbe voluto obiettare che, nel corso dei mesi, svariate coppie erano venute a visitare l’appartamento, accompagnate dai responsabili dell’agenzia che avevano cortesemente scampanellato, ma senza successo. Gli prudette la lingua nel chiedere: – E come mai il cartello è stato tolto prima della vendita? – Ho fondati motivi per sapere che la coppia lo acquisterà – rispose il direttore e non volle aggiungere altro perché il portinaio gli stava sulle palle. Sensazione reciproca in quanto Valerio non poteva soffrire quel pallone gonfiato della Casanova: non era la prima volta che i due si incontravano. Nel pomeriggio il direttore sì affacciò alla portineria, accompagnato da una coppia. Bastò un’occhiata per capire che non erano italiani, ma sicuramente non extracomunitari.
-I signori Wrinkler … – ebbe la cortesia di presentarli. Con le chiavi in mano li precedette lungo le scale, Valerio li seguì con alle calcagna Lia che si consumava di curiosità. Fu compito suo sollevare le tapparelle nelle stanza, aprire le porte dei servizi e del ripostiglio, mentre il direttore della Casanova magnificava ogni angolo. La coppia si divise: l’uomo perlustrò i balconi esaminando il cortile, valutò la grandezza del salotto e della sala da pranzo. La donna misurò a passi la cucina e la stanza da letto, il ripostiglio e i due bagni, tastando le piastrelle, sbirciando i sanitari ed arricciando il naso perché mancava la doccia.
-Sa, sono case di cinquant’anni fa – si scusò Valerio non interpellato – allora erano di moda le vasche da bagno!
-Ma noi preferiamo la doccia – rispose la donna a voce alta, stentorea, calcando sulle erre e sulle ci che divennero chi. Allora gli si accese la lampadina: “Sono tedeschi – pensò – sfido io, dovevo capirlo da come sono conciati!
L’uomo indossava un loden verde, cappello con piumetta e grossi scarponi; la donna portava scarpe e borsetta bianche, impermeabile di nailon verde come non se ne vedevano in giro dai tempi del carosello Rodhiatoce. “E’ proprio vero che questi crucchi non sanno vestire!”
Parlarono in inglese con il direttore dell’agenzia. Valerio non ci capì un’acca, ma dai sorrisi compiaciuti si rese conto che l’affare era stato concluso. Più tardi a Lia che gli chiedeva i particolari dell’incontro, confessò: – Mi sembrano brave persone … certo è che sentiremo un po’ di casino perché ho idea che la signora voglia fare degli ammodernamenti …
Non si sbagliò. Nel corso dei due mesi seguenti piovve un diluvio di rumori assordanti. Un’impresa edile s’impadronì dell’appartamento e per circa un mese ronzarono trapani, batterono martelli, stridettero seghe, il tutto in una nuvola di polvere che aleggiava giorno e notte sulle scale. Alla professoressa Gnoccarini vennero le emicranie, la signora Bardone si lamentò dell’irrequietezza dei gatti, il signor Giacomo rischiò di scivolare lungo i gradini impolverati, il Cusumano ed il Muttoneandarono di persona dal portinaio per sapere quando sarebbe finito lo strazio. Valerio era il più infuriato di tutti perché, dall’inizio dei lavori, Damiano non riusciva a chiudere occhio: -Mio figlio fa i turni in fabbrica. Di giorno dovrebbe dormire ed invece abbiamo l’inferno sopra le nostre teste – spiegò e la signora Lia gli fece eco: – Non se ne può più! E tutto grazie alla signora Vrinvrin, come diavolo si chiama, che ama le docce!
-Ah stranieri sono! – esclamò il signor Cusumano la cui inflessione siciliana non era scomparsa nemmeno dopo cinquant’anni di nord Italia.
-Tedeschi – confermò il portinaio – marito e moglie, amici dei Malvestio.
-E cosa sono venuti a fare in Italia? – chiese il maresciallo Muttone – che in Germania si vive meglio?
Il servizio informazioni era già scattato. Il portinaio snocciolò quanto sapeva dicendo che i signori Wrinkler provenivano dalla Baviera, lui era un ingegnere edile in pensione. Avevano lasciato i figli in Germania, possedevano una Mercedes ultimo modello. Come facesse a disporre di tutte quelle informazioni fu un mistero per il Cusumano ed il Muttone, i quali si guardarono con aria desolata e convennero che bisognava attendere con pazienza l’evoluzione degli eventi. Allo scadere del mese di aprile finirono i lavori, il silenzio tornò a regnare. Lia pulì le scale, sistemò la corsia in androne, spolverò le clivie, riuscì persino a sbirciare nell’appartamento giusto in tempo per vedere le piastrelle nuove della cucina e dei bagni, il pavimento di legno lucido e biondo della stanza da letto e del tinello, le pareti tinteggiate in colori pastello e le docce nuove fiammanti nei servizi.
-Vestono male, ma hanno buon gusto per la casa – ammise. A maggio arrivò il furgone del trasloco. La signora Bardone raccontò alla professoressa Gnoccarini di aver sentito rumori da mattina a sera, un via vai di operai e facchini che trasportarono mobili, cassoni, bauli e scatoloni.
– Perfino un pianoforte verticale – assicurò – e le sedie Biedermeier, ne sono sicura!
-Staremo a vedere – osservò Ghitta – se amano la musica possiamo stare tranquilli. Che ne dice il portinaio? Alle loro spalle arrivò la signora Cusumano che rientrava dalle commissioni: – Go sentioche i xe todeschi e arriveranno la prossima settimana …
Ghitta e Velia si allontanarono rapidamente con la scusa di impegni impellenti: era di dominio pubblico la diceria che parlare con la signora Cusumano portasse sfortuna. Le si addossava la colpa degli infortuni capitati al signor Giacomo, al portinaio, al povero Bardone e alla dolcissima signora Elia. Infortuni disparati in stagioni e con modalità diverse, ma con il minimo comun denominatore della chiacchierata con la signora Cusumano. Dita incrociate, toccatine sfuggenti, balbettii e fughe improvvise davanti alla signora veneta che, povera diavola, non se ne rese conto mai. Fu lei per prima ad incontrarli, salendo le scale, mentre la coppia di tedeschi, bisbigliando, cercava di aprire la porta.
–Ach! Non siamo fortunati, a quanto pare – disse l’uomo in ottimo italiano. La signora Cusumano si offrì di aiutarli ad infilare la chiave nella toppa del portoncino blindato.
-E’ nuova di pallino – disse – ghe vol un poca di pazienza, ecco … buongiorno, piacere, Rita Cusumano.
Il tedesco le fece un inchino e la tedesca chinò il capo da una parte. La signora Cusumano lo raccontò al marito, la sera, a cena: – Le xe proprio do brave persone! Peccato che non ci sia un giardino più grando per el can! Occupava tutto il pianerottolo e fatigavo a salire con le sporte in mano!
-Un golden retriver! – confermò il portinaio – grande e grosso quanto un cavallo!
La professoressa Gnoccarini partì alla volta dell’amministratore, ragionier Gabettoni.
-Non c’è regolamento che tenga! Un cane di siffatte proporzioni non è da appartamento, suvvia … ha bisogno di scorrazzare in giardino.
-Dimentica, signorina, che il vostro condominio vanta un cortile spazioso che circonda il perimetro dell’edificio per … – e, carte alla mano, le snocciolò i metri quadri a disposizione di chi avesse voluto portare il cane a passeggiare, correre e saltare.
-Inoltre il signor Wrinkler, col quale ho già avuto occasione di parlare, mi ha assicurato che la bestia è docile, educata e non darà alcun disturbo.
La professoressa Gnoccarini tornò con la coda fra le gambe, decisa però a denunciare qualsiasi infrazione. Non successe nulla. I Muttone che li avevano sotto ai piedi, giurarono di non sentir abbaiare il cane. La signora Bardone, dirimpettaia di pianerottolo, continuò a dire che erano silenziosissimi, scivolavano via senza farsi sentire. Valerio assicurò che il signor Wrinkler, ad orari fissi e munito di tutto il necessario, lo portava a spasso in giardino e qualche volta si allontanava per raggiungere il parco vicino.
-Là c’è un’area riservata ai cani – sottolineò Lia – e tanto spazio per correre e saltare! Questi crucchi sono più organizzati di noi …
-Sono fortunati – concluse il signor Giacomo che non credeva alle stupidaggini – mi risulta che la prima persona a parlarci sia stata la Cusumano … a quanto pare a loro non è capitato nessun incidente!
Passarono i mesi e i coniugi tedeschi entrarono a buon diritto nelle grazie del caseggiato. Parlavano italiano, meglio il marito che la moglie la quale doppiava le erre e caricava di acca le ci e le giquando non serviva. Le signore convennero che non vestivano bene: erano spesso infagottati in modelli fuori moda dai colori spenti.
-La signora Magda indossa ancora camicette con le protesi alle spalle – disse un giorno Lia alla signora Muttone – come si usava negli anni ottanta, oppure delle gonnelline stile figli dei fiori … l’ha vista?
Rosa Muttone sorrise:
-E’ una signora gentilissima. Pensi che quando le ho portato un piattino di fiadoni come benvenuto, mi ha offerto il the.
Lia che non aspettava altro le chiese i particolari dell’incontro.
-Si direbbe che abbiano buongusto. Il the era squisito e servito in tazzine di porcellana Rosenthal, a mio parere. Tengono molte fotografie sul pianoforte in tinello e Biscotto è rimasto per tutto il tempo accucciato nella cesta.
Lia non soddisfatta volle saperne di più.
-Ahimè la signora Magda non parla volentieri dei fatti suoi, in Baviera tiene quattro figli … secondo me sente nostalgia … e Rosa inumidì gli occhi al pensiero dei suoi figli che vivevano lontano. Valerio rimase meravigliato dal fatto che la cassetta postale degli Wrinkler fosse sempre vuota, ma il figlio svelò l’arcano.
-Significa che possiede un computer, papà! Questo è un palazzo di vecchi, porca miseria! Il mese prossimo me ne compro uno anch’io. E’ ora di finirla con lettere, cartoline e raccomandate …
Valerio scosse il capo: -Non ce lo siamo potuti permettere, lo sai. E poi che ci sto a fare qui se non riordino e smisto la posta. A parte la pubblicità, grazie al Cielo, ce ne siamo liberati una volta per tutte!