Donne di casa Medici

Caterina, il ponte tra due mondi

 
Caterina Maria Romula di Lorenzo de’ Medici (Firenze, 13 aprile 1519 – Blois, 5 gennaio 1589)

Il 13 aprile del 1519  nasceva una bambina che fu chiamata Caterina; ella fu destinata ad una vita lunghissima ma travagliata, cominciata a Firenze e terminata lontano, nel Castello di Blois il 5 gennaio 1589.

La piccina apparteneva ad una famiglia illustre e potente; il suo nome completo era Caterina de’ Medici.

Suo bisnonno, morto da oltre quarant’anni, era stato il grande Lorenzo, detto Il Magnifico, signore di Firenze, mecenate e poeta. Un suo prozio era stato papa col nome di Leone X ed era morto da una dozzina d’anni.

Caterina, una volta venuta al mondo, non conobbe né suo padre né sua madre: la mamma di origine francese, Madeleine de la Tour, morì di febbre puerperale due settimane dopo averla partorita, a soli diciotto anni.

Il padre, Lorenzo, che aveva sofferto fin dalla nascita di una grave forma di tubercolosi e di anni ne aveva ventisette, la seguì nella tomba dopo alcuni giorni. Lorenzo aveva ricevuto dallo zio papa il titolo di duca d’Urbino ed era stato signore di Firenze per sei anni. A lui Nicolò Machiavelli aveva dedicato la sua opera più importante: Il Principe.

L’orfana Caterina trascorse la sua infanzia passando da un convento ad un altro, affidata a suore che curarono la sua educazione e che lei ricordò per tutta la vita con affetto e riconoscenza.

Politicamente parlando, quello era un periodo assai burrascoso: da anni ormai i Medici venivano scacciati da Firenze, quindi rientravano al potere e di nuovo venivano scacciati. Essi avevano però un importante protettore: il papa Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici. L’anziano pontefice si era sempre interessato, seppur da lontano, alla sorte di questa bambina così sfortunata, figlia dei suoi lontani cugini; pertanto, sul finire del 1532, egli iniziò a elaborare un progetto per accasarla degnamente in quanto Caterina aveva già compiuto tredici anni.

Iniziarono trattative segrete con il re di Francia, Francesco I. Egli aveva due figli maschi: per il primogenito, il cui nome era Francesco,  delfino ed erede al trono, occorreva una sposa di maggior rango. Però per il secondo, Enrico di Valois duca di Orleans, che aveva anch’egli  tredici anni, la giovane Caterina de’ Medici poteva essere una sposa adatta.

Lo sposalizio fu deciso per il 28 ottobre del 1533; avrebbe avuto luogo a Marsiglia, officiato dal pontefice in persona. I due protagonisti, naturalmente, non erano stati nemmeno consultati, come usava a quei tempi.

Alla corte di Francia l’annuncio della notizia destò un certo scalpore: una discendente di mercanti e banchieri rappresentava per i più un partito troppo modesto per il figlio del re. Ma era pur vero che egli, essendo un secondogenito, non era certo destinato al trono e tutto sommato Caterina era duchessa di Urbino e nipote del papa.

Una volta stabiliti gli accordi matrimoniali, Caterina (che nel frattempo aveva compiuto quattordici anni) lasciò il convento di Firenze e, per raggiungere Marsiglia, si imbarcò a Livorno. Da questo momento, la vita di questa donna Medici sarà da ricordare esattamente così: fra terreni infidi e mari in tempesta.

Ella prese dunque il mare, salpando con sessanta navi: viene riferito da più fonti che quella che portava la sposa aveva le vele color porpora ricamate d’oro e il vascello pontificio si distingueva per un baldacchino di broccato eretto sul ponte, ricoperto da ricchi tappeti. Molte le dicerie da favola e pochi gli elementi veritieri, ma resta il fatto che Caterina portò davvero con sé non solo denaro e il suo corredo, ma anche uno stuolo di persone, ritenute fondamentali per animare la sua corte una volta che fosse giunta in terra straniera, da subito definibile poco amichevole: con se chiamò il suo astrologo di fiducia, sarti, ricamatrici, gioiellieri, profumieri e un gran numero di cuochi, pasticceri e sommeliers, scelti fra i migliori di Firenze. Tra i tanti anche uno specialista in gelati, tale Ruggeri, il quale fu addirittura prelevato e caricato a forza su una nave. A Marsiglia, al banchetto di nozze, il gelataio Ruggeri fece conoscere ai francesi la sua specialità e tutti i commensali ebbero modo di conoscere e apprezzare  i vini toscani, ottimi già allora.

La cerimonia di nozze venne officiata dal papa alla presenza della famiglia reale e, giunta la sera, gli sposi furono accompagnati in corteo al talamo nuziale che era stato solennemente benedetto.

Fin da quando Caterina vide Enrico la prima volta, si sentì attratta e il giovane le piacque subito; in breve si innamorò di quel bel ragazzo alto e snello, dal carattere cupo e malinconico. Enrico invece, nel conoscere Caterina, rimase totalmente indifferente e così fu per sempre. Il matrimonio fu celebrato il giorno 23 ottobre dell’anno 1533.

Jacopo Chimenti, “Nozze di Caterina de’ Medici con Enrico II di Francia”, 1600, Galleria degli Uffizi, Firenze.

La duchessina, come veniva chiamata dai più, non era di belle fattezze, anzi si dice che fosse piuttosto bruttina, piccola e goffa. Ma i suoi occhi erano bellissimi, il suo sguardo fiero e diretto, insomma una ragazza piena di charme, discreta e attenta che piaceva al re, ma decisamente meno a suo figlio, lo sposo, il quale era già al tempo travolto emotivamente da una irrefrenabile passione nutrita per una delle più belle dame di corte, di venti anni anni più vecchia di lui,  colei che era stata fino a quel momento la favorita del padre. Il suo nome era Diana de Poitiers. Del resto, le unioni felici erano davvero poche a quel tempo essendo tutti i matrimoni programmati sulla base di giochi di potere ed economici intentati dalle famiglie.

Ma tre anni dopo, accade un episodio inaspettato: l’erede designato al trono di Francia morì improvvisamente. Il giovane Francesco, che allora aveva diciannove anni, aveva giocato un’accesa partita a pallacorda e alla fine, tutto accaldato, aveva trangugiato dell’acqua gelata prendendosi una congestione che gli fu fatale.

Adesso il nuovo delfino di Francia diventava Enrico, il secondogenito del re e pure l’italiana, sua moglie, un giorno non troppo lontano sarebbe divenuta regina. Ma Caterina era una sposa che in tre anni non aveva ancora messo alla luce alcun erede: a questo punto, il fatto che il matrimonio fosse sterile diventava un grave problema di stato.

Purtroppo, nella mite e remissiva Caterina, pesava terribilmente il fatto che suo marito fosse pazzamente innamorato di Diana. Ovviamente il rapporto fra le due donne era già colmo di tensione, ma a questo punto fu obbligatorio giungere ad un equilibrio, un compromesso. Caterina, innamoratissima del marito, dovette tollerare l’infedeltà del marito. Con la minaccia del ripudio data la sua sterilità, l’unica soluzione per lei era, paradossalmente, di farsi alleata di Diana e ci riuscì, a forza di sopportazione e autocontrollo. La favorita finì col dirsi che, da una moglie così remissiva non aveva nulla da temere. Ma se Enrico l’avesse ripudiata e fosse subentrata una donna più esigente e orgogliosa, il suo dominio avrebbe corso pericolo. Usò pertanto la sua influenza su Enrico per eliminare ogni idea di ripudio e Caterina rimase al suo posto.

Passarono dieci anni poi, finalmente, Caterina si rese conto di essere in attesa di un figlio. Nel gennaio del 1544 nacque un maschio accolto da grandi trasporti di gioia e fu battezzato con il nome dell’augusto nonno, Francesco. Circa un anno più tardi nasceva Elisabetta e poi, di seguito, altri otto principi tra maschi e femmine.

Differentemente da quel che potremmo essere portati a pensare, la nascita dei figli non migliorò molto la posizione di Caterina. Infatti a lei spettò solo il compito di metterli al mondo. L’educazione dei principini le fu totalmente sottratta e si svolse sotto il controllo della favorita, Diana.

Quando nel 1547 Francesco I morì, Enrico fu dunque incoronato re di Francia con il nome di Enrico II e Caterina divenne regina. Ma ancora, continuò a vivere nell’ombra e senza alcun potere.

Diana, nonostante fosse ormai vicina alla cinquantina era sempre bella e affascinante e la sua influenza sul nuovo re, totale.

Unica consolazione per Caterina fu il cibo. Era dotata di un appetito vorace ma aveva anche gusti molto raffinati. Ella si servì proprio dell’arte culinaria per aumentare il proprio potere alla corte di Francia e fece allestire dei sontuosi banchetti. I suoi critici non mancarono di far notare che questi costavano più di centomila monete d’oro alla volta, ma ella non se ne curò: addirittura, rese obbligatorio l’uso della forchetta con un decreto affinché si potesse mangiare con maggiore pulizia.

Per tutta la sua vita, trovandovi conforto, ella interpellò i suoi astrologi, credendo sempre alle loro previsioni. In particolar modo ne ebbe uno, in cui ripose tutta la sua fiducia: il famoso Michel de Nostre-Dame, latinizzato Nostradamus. Egli era medico, guaritore, studioso di botanica, di astronomia, di teologia, produceva filtri, cosmetici e tinture per capelli: il suo massimo interesse era però l’astrologia e sosteneva di poter prevedere il futuro.

Previde in effetti la propria fine e pure quella della casata dei Valois. E così veramente andarono le cose.

Nel 1559, durante le celebrazioni per le nozze reali della figlia Elisabetta con Filippo II di Spagna,  tra i molti eventi in programmazione era stato previsto un torneo: due cavalieri con elmo, armatura e lancia si sarebbero misurati a cavallo e ciascuno avrebbe dovuto cercare di disarcionare l’altro. Enrico adorava questo tipo di gara e decise di parteciparvi. Indossava una preziosa armatura e un elmo dorato. Il suo avversario era giovanissimo, un ragazzo di nome Gabriel de Montgomery; sul suo scudo campeggiava un leone. Nel corso della sfida, il maldestro Gabriel sbagliò nel maneggiare la lancia e la infilò in un occhio a Enrico, facendola uscire da un orecchio; una ferita mortale che non poté dargli scampo.

Caterina de’Medici in abiti vedovili e i figli: re Carlo IX, Margherita, Enrico d’Angiò e Francesco Ercole d’Alençon, 1561 circa

Suscitando tanto orrore quanto scalpore, subito divennero chiare le parole di una quartina delle profezie che Nostradamus aveva pubblicato cinque anni prima: «Il leone giovane sormonterà il vecchio /In campo bellico in singolar tenzone /In gabbia d’oro gli occhi gli sfonderà /Due ferite in una per morire morte crudele».

Il giovane con il leone nello scudo, il più anziano battuto, l’elmo dorato, la doppia ferita. Restava solo da aspettare la morte crudele.

E infatti Enrico sopravvisse per soli dieci giorni, fra sofferenze atroci. Chiese, supplicò di vedere Diana, di averla vicina. Ma Caterina non lo concesse e dopo che fu morto, a lei non permise neppure di assistere ai funerali.

Dopo ventisei anni in cui non aveva mai potuto dire una parola, in cui il re aveva vissuto per un’altra donna e aveva per lei abdicato ad ogni dignità, facendo di lei una regina senza corona finalmente, dopo ventisei anni, Caterina era libera e potente.

Si mise il lutto. Per le regine il colore del lutto era il bianco, ma Caterina, facendo prove davanti allo specchio, decise che le stava meglio il nero, anche perché le sfinava un po’ la figura che si era alquanto appesantita. Così adottò gli abiti e i veli neri e non se li tolse mai più per tutta la vita.

Quindi si vendicò a dovere con Diana, la rivale di una vita, obbligandola a restituire i gioielli della corona e i mille regali di cui aveva preso buona nota, le impedì l’accesso a corte, le tolse il Castello di Chenonceaux (regalatole da Enrico anni addietro) dandole in cambio un altro castello, più piccolo e modesto, ad Anet.

Dalla morte del marito, per trent’anni fino a che non giunse la propria, Caterina divenne il vero e unico re di Francia, anche se sul trono si avvicendarono i suoi figli, dedicandosi a salvaguardare i loro interessi ma anche a cercare di riunire un paese dilaniato.

La Francia del XVI secolo era un’enorme polveriera, un regno impantanato da anni in sanguinose guerre di religione. Occorreva un governo saldo, in grado di mantenerlo unito. Da tempo infatti, si erano addensate pesanti nubi per questioni politico – religiose: nel 1535 si era formato un partito, chiamato degli Ugonotti. Essi erano protestanti che aderivano alle teorie di Giovanni Calvino, riformatore religioso francese.

Gli Ugonotti lottavano per restaurare le libertà feudali contro l’assolutismo regio e il potere dell’aristocrazia, e trovavano adepti nella borghesia e fra gli artigiani: contavano già oltre duemila comunità, diffuse specialmente nel sud della Francia, che si consideravano indipendenti ed eleggevano dei propri anziani e un proprio pastore.

Quando a soli diciassette anni il giovane re Francesco II si spense a causa di un’infezione all’orecchio aggravata dalla sua gracilità, gli successe al trono il secondo figlio maschio, Carlo, che al tempo aveva appena dieci anni. Per quanto giovane, Carlo IX doveva diventare il simbolo del regno di Francia.

Per consolidare il proprio ruolo e quello di suo figlio, Caterina decise quindi di condurre il figlio in un lungo viaggio attraverso il regno, seguendo una strategia che oggi definiremmo promozionale, come una sorta di campagna elettorale senza elezioni. Anche portare il lutto fino alla fine dei suoi giorni dopo la tragica morte del marito era stato, in un certo qual modo, un’ altra scelta promozionale: austerità e dolore a parte, la Reggente intendeva costantemente ricordare il suo doppio ruolo di vedova e madre di re.

Oltre a mentore e tutore del futuro sovrano, Caterina era la moglie del defunto Enrico II, ne era pertanto l’ombra, il braccio destro, l’incarnazione del volere nel governo del paese.

Nella lunga lotta fra cattolici e protestanti che funestò tanta parte del suo regno, Caterina fu comunque un’ostinata sostenitrice della tolleranza. Due cose le premevano: salvare la corona dei suoi figli e la pace religiosa del paese. Tentò perfino di combinare un matrimonio fra il suo figlio minore Enrico e una anglicana, la regina d’Inghilterra Elisabetta, che aveva diciannove anni più di lui. Ma il piano non riuscì in quanto Elisabetta I non si sposò mai.

Alla fine, nel 1563 Caterina concesse la libertà di culto agli Ugonotti. Essi erano appoggiati dallInghilterra, mentre i cattolici, guidati dal potente duca di Guisa, erano appoggiati dalla Spagna.

Negli anni seguenti la situazione si aggravò tanto che Caterina, la quale governava in nome del debole figlio, ne ordinò la famosa strage che avvenne la notte di San Bartolomeo, il 24 agosto del 1572. Non ci fu misericordia, né per le donne né per i bambini. Nella sola città di Parigi vi furono più di duemila vittime.

François Dubois. “il massacro di San Bartolomeo”, 23-24 agosto 1572

Carlo IX, che lasciava decidere tutto a sua madre, aveva allora ventidue anni. Egli morì due anni dopo. Si disse che fosse ossessionato dal rimorso di non aver impedito la morte di tante persone.

Con la sua dipartita, Caterina vide salire al trono il suo terzo figlio maschio, Enrico III, il suo figlio prediletto.

Il suo fu un regno  ancor più tragico e la discordia che regnava nel paese si ripercosse entro la stessa famiglia. Enrico III visse separato dalla moglie, Luisa di Lorena: dal matrimonio non nacquero figli.  Morì di morte violenta, assassinato da un monaco fanatico nell’agosto del 1589,  all’età di trentotto anni.

A questo punto, nonostante i quattro figli maschi partoriti da Caterina, non c’era più nessun erede al trono e così la dinastia dei Valois si estinse. La profezia di Nostradamus, in un certo qual modo si era avverata.

Tuttavia, a Caterina fu risparmiata la pena più terribile, quella di vedere l’uccisione del suo figlio prediletto. Lei se ne era andata pochi mesi prima. Si racconta che un astrologo, forse lo stesso Nostradamus, da lei interrogato circa la propria fine, le aveva predetto: «Maestà, Saint-Germain vedrà la vostra morte».

 

Da quel giorno la regina aveva accuratamente evitato di recarsi nelle località francesi (più di una) con questo nome. Stava per compiere settant’anni quando si ammalò gravemente. Mandò a chiamare il suo confessore, ma costui era assente. Le mandarono un teologo che si presentò nella sua camera: «Non vi conosco – disse Caterina – come vi chiamate?»

«Il mio nome è Saint-Germain», rispose il sacerdote.

Così la regina comprese che la sua vita era terminata. Era il 5 gennaio del 1589.

Una storia machiavellica la vicenda di Caterina: personalità capace di cambiare verso e fisionomia, di adattarsi alle difficili e sdrucciolevoli condizioni dei due mondi entro i quali oscillò; quello della giovinezza, la splendida ma ambigua e ingannevole capitale del Rinascimento italiano, Firenze; e la Francia, vissuta da inaspettata regina.

Un personaggio affascinante, proprio per questa sua capacità di costruire la sua vita sulla prudenza, la convenienza, la sottigliezza politica, la pianificazione, l’adattabilità, il sacrificio, la padronanza di sé e mai sull’amicizia o l’empatia, bandite dal suo vocabolario, appartenenti ad un orizzonte a lei completamente alieno.

Nostradamus in un dipinto del figlio César de Nostredame

Un ritratto di una donna a tutto tondo, di una vita lunghissima e travagliata, cominciata a Firenze cinquecento anni fa, il 13 aprile 1519 e terminata lontano da casa, nel Castello di Blois, il 5 gennaio 1589.

Settant’anni coronati dal matrimonio con re Enrico II e dal suo ruolo di reggente del regno di Francia, che lasciano emergere una figura femminile di prim’ordine, spregiudicata e determinata, capace di districarsi con energia tra i veleni della corte del più grande regno d’Europa, che non sempre la guardò con fiducia bensì con sospetto, diversità, invidia e la considerò sempre distante, la «banchiera» come veniva definita dispregiativamente, per i trascorsi della sua famiglia.

Il ruolo svolto da Caterina è invece definibile come un vero e proprio ponte non solo tra due mondi culturalmente distanti (la sofisticata Italia, l’ancora acerba Francia di quell’epoca) ma come figura di transito di un lungo XVI secolo, intessuto di novità e mutamenti e costellato di contraddizioni.

Caterina fu capace, prima di molti altri, di concretizzare l’intuizione della ragion di Stato che Niccolò Machiavelli aveva introdotto.

Tomba di Caterina e di Enrico II, nella cattedrale di Saint-Denis

Non poteva essere diversamente per colei che, nata a Firenze in casa Medici, aveva saputo felicemente coniugare le doti della virtù con quelle che, ad ogni qual modo, la fortuna le regalò!

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Barbara Chiarini

Barbara Chiarini nasce a Firenze nel 1967. Laureata in Architettura con indirizzo storico-restauro e conservazione dei Beni Architettonici, si ritiene un architetto per professione, una scrittrice per passione, ed una fiorentina D.O.C. Autrice del libro “Per le Antiche Strade di Firenze”, “Una finestra affacciata dull’Arno” e “Su e Giù per le strade di Firenze”, ella è anche la fondatrice nonche’ uno degli Amministratori di questo Blog.

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Fiorella cozzani architetto

Ottima sintesi,ben articolata

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