Cristina di Lorena, la perla coltivata di nonna Caterina
Nel passato le donne appartenute a famiglie dominanti, per esercitare il potere, erano costrette a seguire strade ben più tortuose rispetto a quelle praticate dagli uomini. Per tutte loro era poco frequente un azione diretta nel governo politico; più consueto era invece l’esercizio di ruoli politici e sociali in cui si affiancavano agli uomini, in una dimensione plurima, quale forma alternativa del potere al fine di riuscire a trovavano spazi e funzioni non marginali. Dal mecenatismo all’assistenza caritatevole, dalla pianificazione di strategie matrimoniali alla costruzione di una solida rete di rapporti e alleanze familiari, insomma, per le donne si aprivano dei percorsi meno usuali che la storiografia ha, ahimè, ignorato per lungo tempo ma che le ricerche più recenti hanno invece cominciato a rilevare.
E Cristina di Lorena fu quel genere di donna attribuibile certamente a quest’ultima categoria, poiché con somma maestria ella riuscì ad agire negli anni su entrambi i fronti: il potere politico diretto e le “altre vie”, quelle più informali e meno scontate.
Ma la storiografia che di norma predica sempre prudenza, finisce spesso per contraddirsi emettendo giudizi tranchant che non di rado vengono successivamente rivisti in positivo o in negativo. Questo a dimostrazione di come anche chi dovrebbe mantenere posizioni assolutamente neutrali verso gli avvenimenti e i loro artefici viene poi influenzato dalla propria visione storico-politico-sociale. Per meglio comprenderci dunque, Cristina di Lorena, è stata prima lodata dagli storici, poi demonizzata quindi, giungendo ai nostri giorni, ancora una volta parzialmente riabilitata.
Cristina di Lorena, nacque nel 1565: figlia del duca Carlo III di Lorena e di Claudia di Francia (o Claudia di Valois, a sua volta figlia di Caterina dei Medici regina di Francia, morta molto giovane), trovò proprio nella nonna Caterina una formidabile sponda per la propria educazione e il proprio futuro. La regina madre le era molto affezionata e oltre a lasciarle in eredità buona parte delle proprie sostanze, si occupò attivamente delle trattative per il suo matrimonio con Ferdinando I.
Il Granduca Ferdinando I, fratello e forse addirittura omicida di Francesco I e della sua seconda moglie Bianca Cappello, aveva una quindicina d’anni più della giovane, ma soprattutto si trovava nell’urgente necessità di ricomporre l’immagine familiare medicea fortemente danneggiata dal discusso amore tra Francesco e Bianca, nonché dalla loro misteriosa morte.
Il desiderio di Ferdinando, uomo che aveva senza esitazione e senza rammarico preso le redini del Granducato abbandonando l’abito cardinalizio, era quello di ridare stabilità all’immagine della famiglia e riguadagnare consensi.
Cristina aveva già compiuto i 22 anni di età (in altre parole, per quei tempi era considerata una donna piuttosto matura per andare in sposa) ma ciò fu un bene. Perché il matrimonio non è un cammino facile, soprattutto quando lo sposo di anni ne ha già compiuti 40, e la sua vita si è saldamente costruita attorno ad abitudine ed egoismi. «Ma ella – come ebbe a commentare Pietro Usimbardi – che di buona scuola veniva et in età che le aveva maturato il giudizio, fece sì con la dissimulazione e pazienza sua, che Ferdinando fu vinto a poco a poco». Forse anche i consigli della nonna avevano davvero ben temprato la sposa, fatto sta che non soltanto Ferdinando, ma la città di Firenze e i fiorentini tutti, quando ella vi giunse, le portarono rispetto: dopo la freddezza di Giovanna e l’orgoglio di Bianca, probabilmente la città aveva davvero bisogno di una duchessa da amare.
Cristina di Lorena riuscì ad adempiere perfettamente a questo compito, educata alla perfezione al ruolo che le era stato assegnato. Con sé, al momento del matrimonio celebrato in Francia nel febbraio 1589, la nuova granduchessa portava in dote la cifra considerevole di 600.000 ducati, numerose proprietà e i diritti sul possesso del ducato di Urbino, un altro lascito della potente nonna Caterina, oltre a un’importante rete di relazioni affettive e politiche con la Francia e con mezza Europa.
Cristina non era forse molto bella, ma si racconta che fosse capace di affascinare! E il ritratto dipinto da Scipione Pulzone nel 1590, la raffigura elegante, con uno sguardo diretto e penetrante. Colta e raffinata, era profondamente credente ma anche animata dalla passione per le scienze.
A Firenze Cristina giunse nel 1590, ovvero l’anno successivo a quello del matrimonio, e fu accolta in modo sfarzoso come spesso accadeva per i matrimoni medicei; durante i festeggiamenti la città divenne per giorni lo scenario di molte produzioni teatrali e ovunque si tenevano commedie; insomma era tutto un fiorire di lusso e opulenza, intrecciati alla cultura.
Festeggiamenti a parte, questo fu solo l’inizio di un‘unione che fu davvero felice e prolifica, sotto tutti i punti di vista, non ultimo quello della progenie: Cristina e Ferdinando ebbero, infatti, nove tra figli e figlie e condivisero il potere restituendo l’immagine di una coppia solida, capace di raccogliere il favore delle ricche famiglie fiorentine e di percorrere un’attenta politica di consenso e di conciliazione. Fu davvero un momento di ripresa per la famiglia Medici, sia dal punto di vista finanziario che da quello amministrativo e il Granduca riguadagnò le redini dello Stato dopo che suo fratello Francesco, più interessato alle scienze e all’alchimia che non all’esercizio del potere, lo aveva lasciato nelle mani di molti delegati.
Il nuovo duca stimolò le dinamiche economico-politiche, riaprì i commerci, favorì gli scambi, concesse agevolazioni alla mercatura. Fece di Livorno un porto franco, schiudendolo ad ebrei e ugonotti; a Pisa innalzò l’acquedotto e il canal del Naviglio, da Arezzo presiedette al risanamento della val di Chiana. A Firenze poi, fu instancabile mecenate: concluse la Tribuna degli Uffizi, le collezioni medicee trovarono posto nella Galleria delle Statue, chiese al Buontalenti il Forte Belvedere, e al Tacca e al Giambologna fontane e statue equestri. Partì (finalmente!) il cantiere della Cappella dei Principi a San Lorenzo, e con esso l’Opificio delle Pietre Dure.
E pure Cristina fece del suo meglio: è vero, di lei si diceva che nutrisse soltanto la passione di fondare conventi ma, ad ogni modo, ella si prodigò anche per il popolo. Probabilmente, la Granduchessa non brillò di luce propria, bensì riflesse quella di una politica illuminata, ma fu sempre accanto al marito, attenta, dignitosa e regale. Se mi concedete un vezzo poetico, oserei dire che ella quasi gli si appoggiò nell’anima. Dimostrazione evidente sono le sue frequenti lettere, che si chiudevano sempre con la stessa frase: «Le bacio le mani col cuore»!
Quando Ferdinando scomparve prematuramente (è il 1609), per Cristina sarà il crollo. L’equilibrio in cui era vissuta si romperà, lasciando intuire a tutti che forse non era preparata a camminare da sola. Ecco forse perché, come vi ho accennato all’inizio, la storiografia non è concorde nel giudicarla e, a lungo, il suo ruolo è stato considerato marginale e la sua popolarità dovuta solo all’abilità di Ferdinando.
Tuttavia, pare invece che su di lei Ferdinando I sapesse di poter contare: lo aveva dimostrato in vita, lo dimostrò al momento della morte, nominandola tutrice delle figlie e dei figli e reggente per conto del primogenito Cosimo II, non ancora in età per occuparsi dello Stato; in seguito anche il figlio, che mostrava una fisionomia più sbiadita rispetto a quella paterna, nel testamento designò la madre, insieme alla moglie Maria Maddalena d’Austria, reggente del nipote Ferdinando II, ancora troppo piccolo.
Il governo di Cristina di Lorena è stato giudicato per molto tempo l’inizio della china discendente del potere mediceo. Inettitudine, scarso interesse per il bene pubblico, spese esagerate, bigottismo e asservimento alla politica papale, sono solo alcune delle colpe che le sono state ascritte. Più di recente, tuttavia, l’analisi riguardo al suo operato è cambiata, la sua figura è stata rivalutata, così come il suo pensiero politico e il ruolo che ha rivestito nei primi decenni del XVII secolo, tutte valutazioni che sembrano più coerenti coi giudizi positivi che avevano emesso i contemporanei.
C’è da domandarsi quali e quanti pregiudizi abbiano offuscato le opinioni storiche su questa donna, definita da Filippo Cavriani, medico curante della regina Caterina de’ Medici con licenza di informare il casato toscano delle vicende di Francia,«una delle giovani rampolle “più instrutta nei maneggi di Stato” che si potesse trovare».
La potente Granduchessa di Toscana sentì per tutta la vita di essere stata destinata ad alti compiti, sentì l’orgoglio della sua stirpe francese ma accolse in pieno anche quello della corte fiorentina in cui era entrata. Fu una donna dal forte senso del dovere, attenta e partecipe alla vita della sua famiglia – marito, figlie, figli, nipoti – e al tempo stesso consapevole della propria condizione femminile con la conseguente necessità di dover adeguare le proprie decisioni, di volta in volta, a quelle del marito, del figlio o di chi detenesse il potere sovrano.
Ad esempio, Cristina, smentendo le forse troppo severe accuse di bigottismo, volle per la propria prole un’educazione in cui a una formazione classica venisse affiancato lo studio delle lingue moderne, della cosmografia, della matematica e delle scienze: e precettore a corte fu, tra il 1605 e il 1608, un certo Galileo Galilei che istruendo il giovane Cosimo, divenne pure amico della madre. Famosissima è la lunghissima lettera – iniziata nel febbraio del 1615 e portata a termine nell’estate dello stesso anno – quasi un breve trattato teorico, che il grande scienziato inviò alla Granduchessa.
Erano anni cruciali per Galileo. Nel 1610 il suo Sidereus Nuncius aveva sconvolto l’Europa e il copernicanesimo non si poneva più ormai come una semplice ipotesi, ma come una vera e propria tesi che si riprometteva di abbattere la vecchia cosmologia aristotelico-tolemaica per la quale il sole ruotava intorno alla terra e non viceversa.
La Bibbia sembrava propendere per la teoria geocentrica e a quei tempi andarle contro poteva portare all’accusa di eresia, cosa che, in effetti, anni dopo avvenne. La sfida che pertanto gli si parava davanti era di conciliare copernicanesimo e fede cristiana. E La lettera a Madama Cristina di Lorena rappresentò il tentativo teorico di Galileo di delegittimare garbatamente la Bibbia come fonte d’autorità nella ricerca scientifica, ritenendo il testo sacro infallibile, per principio, solo nell’ambito religioso e morale.
È evidente che Galileo cercasse l’appoggio e la protezione della Granduchessa, ma forse il suo errore fu di presupporre che Cristina di Lorena fosse in grado di comprendere tematiche così complesse e pericolose, e che il suo potere potesse spingersi oltre quello che in realtà era. Sta di fatto che Cristina, nonostante l’amicizia che li legava, non riuscì a evitargli l’umiliazione del processo, né la tortura, né tanto meno la triste condanna.
Sebbene non possedesse una spiccata capacità politica, la Granduchessa rimase a capo dello stato fino a che il nipote, Ferdinando II, succeduto a Cosimo II, non la allontanò dalla corte. Tirando le somme, il suo fu un regno di oltre cinquant’anni, più lungo addirittura di quello di Elisabetta d’Inghilterra!
Dunque, nel bene o nel male, Cristina di Lorena resse le sorti dello stato toscano prima da granduchessa, poi da tutrice del figlio, e infine da reggente del nipote.
Una vita sul trono che ha portato gli storici a sostenerne l’esito come un bilancio dubbio. E’ vero: alla sua morte, i banchi medicei sprangarono le porte, il clero aveva le mani in pasta ovunque, i commerci ristagnavano e per Firenze fu l’inizio del declino. Eppure Cristina visse l’ultima grande stagione di splendore mediceo.
La perla coltivata di nonna Caterina dei Medici, regina di Francia, morirà sola, volontariamente esiliata nella Villa medicea di Castello.
E’ il 1633, a Firenze l’Inquisizione regna sovrana. E il Granducato sprofonda…