Il Dieci dei fiorentini
Appartiene alla storia artistica della città, come un grande artista quattrocentesco. Perché nel suo calcio c’erano anche i tratti della nuova energia rinascimentale, di chi ha portato fuori la Fiorentina dal buio medievale degli anni ‘70 riconsegnandole luce, bellezza e magnificenza.
Giancarlo Antognoni, la Luce, o anche Enel come lo chiamavano i tifosi per via della predisposizione a quel suo improvviso illuminìo, ai suoi guizzi di genialità.
Giancarlo giunse a Firenze grazie all’intuizione di un uomo che di calcio se ne intendeva, e parecchio, il barone Liedholm. Il barone lo vide mentre si allenava a Coverciano in uno dei tanti raduni delle Nazionali minori e pensò che se quello non fosse diventato un campione, allora lui avrebbe potuto anche cambiare mestiere nella vita.
Così il presidente Ugolini staccò un assegno di 400 milioni al patron dell’Astimacobi e Giancarlo da Marsciano si trasferì a Firenze.
Ci sarebbe restato per sempre.
Raccontare in poche righe cosa sia stato Antognoni per Firenze, per i tifosi tutti, ma anche per ogni singolo fiorentino, è un’impresa ardua che rasenta l’impossibile.
Di certo, già dal suo esordio a Verona, il pubblico che era presente fu unanime nel parlare di lui come di un fenomeno calcistico: lo etichettarono subito come il «nuovo Rivera». Ma come, sosteneva mio nonno, quell’appellativo era un poco improprio poiché Antonio correva parecchio di più, anche di Rivera! Il nostro 10 in maglia viola fu il prototipo di una figura tutta nuova di centrocampista, talento puro che per la prima volta si accompagnava a una prestanza atletica assoluta. Antognoni era ovunque e a grandi falcate attraversava il campo di gioco per intero non so quante volte, senza risparmiarsi mai.
Giancarlo Antognoni, che giocatore! Un giocatore che tutti volevano; corteggiato dalla Juventus di Agnelli, come anche dalla Roma e dalla sua tifoseria lui, per sua volontà, decise invece di rimanere per sempre a Firenze: indossando la maglia viola ha giocato per una stagione infinitamente lunga e davvero bella da ricordare. Tra il 1972 ed il 1987, il Bell’Antonio disputò ben 341 gare e segnò 61 reti.
E’ vero, questo legarsi per sempre alla causa fiorentina lo fece vincere poco: l’unico trofeo della sua carriera viola è stata la Coppa Italia del ’75 … io ancora me la ricordo!
Ma Giancarlo ha fatto molto di più, è stato l’uomo che ha fatto trionfare la passione in città: ci crediate o meno -miei cari giovani d‘oggi- ci sono stati degli anni in cui noi fiorentini si andava allo stadio solo per vedere lui. Anche noi ragazzine: pensate che mio padre mi fece avere in dono un pallone, firmato da lui. Ed io, felice come non mai, l’ho conservato come un cimelio in camera mia per anni e ammetto di averlo ancora, riposto in alto su una mensola!
Un giocatore a tutto tondo che però non ha avuto la sorte dalla sua parte, come testimoniano i due infortuni terribili subiti in campo; prima nel 1982, per via della ginocchiata di Martina che lo colpì alla testa e rischiò quasi di ucciderlo. Poi, nel febbraio dell’84 mentre disputava una partita contro la Sampdoria e rimase coinvolto nello scontro con Pellegrini, impatto che gli causò la dolorosa frattura di tibia e perone.
Forse è vero: il ragazzo che giocava guardando le stelle, secondo la bella definizione coniata da Vladimiro Caminiti, non ha propriamente mai avuto le stelle dalla sua parte. Piuttosto, invece, ha avuto una carriera complicata a causa dei molti infortuni subiti. Ma Antognoni rimane quel calciatore che al Mondiale in Argentina riuscì ad incantare tutti per una sola gara, anche se poi dovette arrendersi per una tarsalgia; Antonio è stato anche il calciatore che, 4 anni dopo, nella sfida col Brasile al mondiale spagnolo, si vide annullato un gol regolarissimo che lo avrebbe fatto entrare nell’albo dei mitici, insieme a Paolo Rossi; e ancora, il nostro numero 1o è stato il giocatore che, per rifarsi, nella semifinale con la Polonia non tirò indietro la gamba nel tentativo di fare gol da fuori area, e finì per lacerarsi il piede nello scontro con Matysik, saltando di conseguenza la finale con la Germania. Destino beffardo!
Così a Madrid nel 1982, nel momento magico del trionfo, mentre le telecamere riprendono gli azzurri che inneggiano al cielo la propria gioia alzando la coppa, le telecamere lo inquadrano che se ne sta da una parte per non disturbare, un leggero sorriso un poco malinconico stampato sul volto.
Per qualcuno il segnale che quel calciatore non era un predestinato a vincere. Per i fiorentini, che sanno leggere le cose del mondo ben oltre la superficie, il marchio dell’eroe puro che non ha bisogno della vittoria materiale per trionfare nel cuore della gente: come Parsifal, Ettore di Troia, Candide di Voltaire e Gilles Villeneuve, vincitori che non hanno conosciuto la vittoria. Così Antonio.
Grazie di 💜!