La cicatrice che non va più via
«Chi non ha mai vissuto litigi in una coppia?». Si dice Anna ad alta voce.
Anna ha una cicatrice sul labbro superiore, che non andrà più via.
Resterà lì, per sempre. Un segno indelebile, come un marchio stampato sulla sua pelle, impresso a fuoco.
Quella ferita ancora aperta ha un nome, il nome di un uomo, Giovanni, suo marito.
«Mio marito, era un uomo rispettato e stimato da tutti – si esprime sussurrando, quasi a parlare con se stessa – piaceva anche a mia madre». E infatti sua madre, come tutte le mamme del mondo, fu felice quando seppe che i due giovani innamorati si sarebbero sposati. Al tempo poi, Anna stava per compiere venticinque anni e il matrimonio le sembravano la cosa più bella del mondo.
Parla con se stessa, Anna, non sembra neppure si rivolga a me. Lo sguardo teso a guardare il panorama che si gode dalla sua finestra di casa, Anna riflette; poi sospira, stringendosi tra le spalle, mentre piccole lacrime dal sapore amaro come di troppo sale, cadono lentamente giù da quegli occhi spauriti e ancora stanchi. Scendono lungo le sue guance come a disegnare minuscoli rigagnoli.
Ancora un po’ di tutibanza, poi ricomincia a parlare: «Sai – mi dice – certe ferite continuano a dolere e non si rimarginano mai». Io posso solo cercare di capire … non ho mai vissuto un’esperienza come la sua. Sono stata fortunata io, ma posso provare a capire, eccome.
Anna è una donna come tante: dopo essersi sposata aveva condotto una vita agiata, non le era mancato nulla. Un figlio, una casa di proprietà e persino una villetta al mare. «Mio marito alzava spesso la voce – dice dando ancora voce ai suoi pensieri quasi per volere convincere se stessa di non avere sbagliato a non capire l’evidente realtà dei fatti che le si prospettavano davanti – ma poi tutto passava. Insomma, una cosa normale a cui io non facevo neppure troppo caso. Poi però è successo qualcosa, e la situazione è mutata»
Così Anna mi racconta di un pomeriggio lontano, uno giorno qualunque in cui si era recata in compagnia del marito in un negozio del centro per acquistare un regalo; una volta che sono all’interno, lui incontra una collega e si ferma a parlare con lei. Parla, parla … davvero Giovanni non la finisce più di parlare con lei. E si complimenta pure ripetutamente con la donna. Anna si infastidisce: un po’ va bene, ma adesso sta esagerando…
Giunta davanti alla cassa, Anna sbotta e richiama ad alta voce il marito. Lo fa davanti a tutti.
«E tutti ci guardano… Ma mio marito non sembra arrabbiato e neppure offeso. Anzi mantiene la calma e mi sorride. Addirittura, scherza e mi prende in giro, mentre torniamo a riprendere l’auto. Una volta che siamo saliti però, mette in moto e parte a tutta velocità, infischiandosene delle paura cronica che io ho per la guida veloce. Così mi terrorizza. E lo sa. Eppure preme sull’acceleratore a tutta manetta.
Arriviamo a casa e Giovanni inizia a sbattere le porte, gridandomi contro con tutta la forza che ha in corpo che io non devo assolutamente permettermi di rimproverarlo. Mai più….
Il meglio che posso fare è stare zitta. Lui rincara la dose e mi dice di farlo sempre, da adesso in poi . Io ubbidisco, taccio e resto ferma, immobile: penso che ho esagerato a comportarmi in quel modo stupido, è tutta colpa mia, non avrei dovuto farlo, ecco tutto!»
L’ inferno di Anna ha avuto inizio così.
Da quel momento il rapporto di coppia cambia in maniera repentina: Giovanni comincia a trattarla come un oggetto. Vuole dominarla.
«Tu lo sai che la violenza psicologica è l’anticamera di quella fisica?» mi dice Anna. Il tono della sua voce è freddo, quasi gelido perché Anna adesso, è una tra quello donne che lo ha capito. E pure bene.
Il racconto prosegue.
Mi parla dei mesi a seguire, dei giorni in cui il marito, rientrando dal lavoro, è sempre più nervoso e irascibile. Addirittura, monta su tutte le furie se, quando arriva a casa, la cena non è già pronta in tavola. Non tollera più di sentire la sua voce, e le suggerisce (oppure è un ordine?) di avere almeno la decenza di starsene sempre zitta.
Ma talvolta Anna reagisce, non vuole tacere: e quando lo fa, volano gli schiaffi. Ormai Giovanni fa spesso il pazzo: l’agguanta con le sue braccia forti e stringendola per le spalle, la scuote come se fosse una bambola di pezza, la sbatte contro il muro e la schiaffeggia con forza. Più lei lo supplica di smettere e più lui agisce con violenza e cattiveria.
Anna ormai viene picchiata con regolarità e si sente sempre più immobile, impotente. Eppure, dentro di se’ la donna sa che cosa è giusto fare: lo sa, ma non riesce a reagire, è talmente confusa che rimanda ogni decisone sempre alla prossima volta. Così, mentendo a se’ stessa, si dice che ogni volta sarà l’ultima.
Per aprire gli occhi, dovrà toccare il fondo. Un giorno quel momento – sfortunatamente o fortunatamente per lei – è poi arrivato.
«Noi donne smarriamo la capacità di vedere quello che sta accadendo. Non ci rendiamo conto, ad esempio, di subire una violenza fino a quando questa non diventa violenza fisica. Entriamo in un circolo vizioso dal quale è difficile svincolarci. Bisogna chiedere aiuto, uscire dalle mura di casa, e rendersi conto che non siamo sole».
Guarda fuori dalla finestra di casa sua e si tocca la cicatrice: «Non riesco a camuffarla neanche con il trucco. Ancora oggi mi domando cosa sia successo all’uomo che ho sposato e amato. Adesso lui si sta facendo curare. Dice che vuole tornare ad essere l’uomo che era prima. Il problema però sono io».
Per la prima volta parlo anche io e le domando perché sarebbe lei il problema.
Anna mi sorride, e mentre spalanca la finestra lasciando che il vento freddo la scuota dal torpore dei suoi tristi ricordi, risponde: «Perché io non voglio più tornare ad essere la donna che ero prima. Io oggi sono un’altra donna. Guarda che bel sole! Anche se siamo in pieno inverno, in me è finalmente sbocciata la primavera!».
Affinché molte altre donne come “Anna” possano nutrire la speranza di poter vivere un’altra “Primavera” in questa vita….
N.d. A: ogni riferimento a nomi e cose di questa storia, è puramente casuale.
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Il 25 novembre, è la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne.
Un fenomeno raccapricciante che vede morire una donna ogni tre giorni solo in Italia.
Troppo spesso le donne vittime di violenza si sentono sole, convinte che nessuno possa capire o, peggio, aiutare.
Ma non è così: l’obiettivo della giornata contro la violenza sulle donne che ricorre oggi è porre sotto i riflettori il fenomeno e far sì che sempre più persone conoscano le radici e la profonda gravità del problema. E infine, almeno, ci riflettano sopra.
«Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi Signori, davanti a una Donna» . William Shakespeare