La fiera dei pateracchi
Agli inizi del XVIII secolo, Firenze vantava una numerosa tradizione di feste, variegata e spesso d’antica origine pagana, in seguito modificate in maniera più o meno significativa, fino a essere trasformate in feste cristiane. Tutte le festività, con l’eccezione del Carnevale, iniziavano con una o più cerimonie religiose e terminavano con il consumo di vari cibi rituali, scelti in rapporto al festeggiamento o alla stagione; non a caso, le ricette di questi piatti costituiscono il patrimonio più antico e genuino della cucina fiorentina e toscana in genere, facendoci comprendere le radici profonde del valore sacrale attribuito al cibo, al mangiar bene ed al convitar nel migliore dei modi. Come molte pietanze anche alcune di queste feste sono pervenute fino ai nostri giorni, a memoria dell’immenso patrimonio di cui dispone la tradizione fiorentina.
I festeggiamenti in onore di San Giovanni, Patrono di Firenze, erano i più importanti di tutto l’anno: non da meno era la tradizionale corsa dei cavalli detti Bàrberi che rappresentava una grande attrazione non solo per i fiorentini ma anche per la gente del contado e dei turisti che, numerosa, si riversava in città il 24 giugno.
Invece il mese seguente, in occasione della festività di San Jacopo, il 25 Luglio si disputava nello specchio d’acqua dell’Arno fra Ponte Vecchio e Ponte alla Carraia, il Palio dei Navicelli.
A Agosto, il 10, si svolgeva la Festa di San Lorenzo con i religiosi dell’omonima chiesa che distribuivano cibo ai poveri, tra cui la famosa “porrea” o torta di porri, della quale immagino che tutti noi ne conserviamo la ricetta in un quaderno di cucina. Per l’occasione, nella piazza antistante la chiesa, si svolgeva anche la grande mostra dei fornai e dei pastai, con banchi ricolmi di tutti i tipi di pane e di pasta: da qui la tradizione fiorentina di mangiare per tale data le lasagne, ben condite.
Per Ferragosto, in Piazza di Santa Felicita si correva il Palio degli Asini e la Corsa dei Papari,nmentre il giorno dopo, San Rocco, si organizzavano nel quartiere di Santo Spirito giochi col palio della cuccagna e grandi cene all’aperto, con cocomeraia finale.
Terminata l’estate le feste popolari proseguivano con la ricorrenza dell’8 Settembre per celebrare la Natività della Madonna: nell’occasione si teneva una grande fiera in Piazza della Santissima Annunziata.
Per festeggiare la natività della Madonna nella Chiesa della Santissima Annunziata, la sera avanti giungevano in città tanti contadini e montanari con le loro donne, provenienti sia dal vicino contado che dalle zone più impervie del Casentino, del Mugello e della Montagna Pistoiese. Queste persone, oltre ad essere spinte dal devoto pellegrinaggio, approfittavano dell’occasione per venire a vendere la loro mercanzia alla fiera-mercato che si svolgeva l’indomani sulla piazza antistante la basilica, in Via dei Servi e nelle loro immediate adiacenze. Così la festa diveniva in sostanza, un’occasione per tutti d’incontri e d’affari, cittadini e contadini: chi comprava e chi vendeva.
Il 29 Settembre, per San Michele, vi era la benedizione dell’uva, che i contadini la portavano dalla campagna e con l’uso della quale, nei forni cittadini si preparava la rinomata, gustosissima schiacciata con l’uva le cui origini paiono risalire addirittura ad età etrusca .
Non dimentichiamoci poi della Festa di San Fiorenzo, da subito ribattezzato dai fiorentini in San Firenze.
Tra l’Epifania, il Carnevale e le Fiere Quaresimali, la lista delle festività e delle fiere fiorentine era interminabile; moltissime sarebbero le storie da raccontare in proposito ma, quest’oggi, mi vorrei soffermare sul periodo della quaresima -anche per noi imminente- e parlarvi di una fiera davvero speciale!
La Quaresima, soprattutto nei tempi antichi, era intesa come un periodo di penitenza che pertanto doveva restare privo di feste, anche popolari, eccezion fatta per le varie Fiere Quaresimali che iniziavano dalla prima domenica di Quaresima, fino a quella delle Palme, usanza tipicamente fiorentina, atta a spezzare un poco i rigori del lungo periodo penitenziale. Tali fiere si tenevano nelle piazze cittadine, soprattutto in quelle situare in prossimità delle Porte d’accesso alla città e ovviamente, di domenica.
I frequentatori abituali erano gente di tutti i ceti sociali; il popolo si divertiva alle giostre, con gli spettacoli dei saltimbanchi e con quello dei forzatori (vale a dire coloro che nei pubblici spettacoli si esibivano dando prove di forza come sollevare pesi, spezzare catene), sgranocchiando nocciole, semi, fichi secchi e brigidini.
Ma la quinta domenica di Quaresima, quando aveva luogo a Porta Romana la caratteristica Fiera dei Contratti alla quale affluiva gente da tutta la campagna, per i fiorentini le nocciole e i brigidini erano solo il pretesto per parteciparvi; la ragione vera era quella di vedere appaiare i contadini che aspettavano ansiosamente quel giorno combinando “contratti” di matrimonio, volgarmente detti “pateracchî”.
I pateracchi si effettuavano sotto l’oculata direzione del “cozzone”, cioè di quel mediatore intermediario fra la parti, che proponeva la trattazione della dama che il giovanotto si era scelta, oppure di far conoscere candidate promesse spose ad altrettanti aspiranti mariti.
C’è da rilevare che con lo stesso curioso termine, “cozzone”, erano chiamati in Toscana anche i sensali di cavalli i quali svolgevano, in questo caso, l’attività di patteggiamento fra venditori e compratori per quel che concerne la razza equina, offrendo affari d’oro che andavano dalla vendita del destriero all’acquisto del ronzino. Ma spesso e volentieri i cozzoni erano gli stessi che si occupavano sia di cavalli che di matrimoni ed usavano in ambedue i casi la stessa “tecnica” di negoziazione!
Messi accanto giovanotto e ragazza, li sottoponevano innanzitutto all’esame delle rispettive famiglie, quindi facevano incamminare la coppia per la salita del Poggio Imperiale sotto lo sguardo divertito degli ironici fiorentini accorsi per l’occasione ed in spassosa attesa lungo il percorso. Strada facendo il cazzone metteva in rilievo con i familiari i pregi dei due candidati sottolineando la robustezza, l’armatura e tutto quanto poteva servire a dimostrare l’idoneità fisica dell’uomo al duro lavoro dei campi. Quindi passava a elencare le doti giunoniche della donna riguardanti la prosperità del petto e la larghezza dei fianchi quale simboli di auspicate, numerose maternità. Difatti, si soleva dire che le femmine da marito per essere considerate belle dovevano avere:
tre cose nere: ciglia, occhi e capelli
tre cose bianche: unghie, pelle e denti
tre cose grosse: cosce, natiche e seni.
Naturalmente lo spasso dei cittadini intervenuti alla fiera era quello di osservare e dileggiare quei pittoreschi gruppi di coloni con l’indaffarato sensale, sparsi qua e là fuori porta, che contrattavano, guardavano, ammiccavano, questionavano come al mercato, con le ragazze appena affacciate al “mondo di Firenze” con il viso rosso dalla vergogna, anche per gli apprezzamenti saettati dai divertiti spettatori, intervenuti appositamente per godersi il curioso spettacolo.
A pateracchio concluso, così come accadeva per il cozzone a conclusione della trattativa degli animali, avveniva la consegna del compenso anche al mediatore di matrimoni, che quasi sempre consisteva nel regalo di una camicia.
Dono molto allusivo in quanto al mediatore, che aveva favorito l’unione, spettava una camicia mentre il futuro sposo avrebbe goduto tutto il resto… cioè quello che alla sera , avrebbe contenuto la camicia da notte della sua fresca sposina!
Insomma una fiera in cui pochi se ne tornavano a casa a mani vuote, o perlomeno … con un anello infilato al dito sicuramente!
Tempi antichi, antiche feste e antiche usanze. Ovviamente, questa fiera è desueta da tempo: i giovani preferisco affidarsi ai social network, oppure alle molte chat che esistono sul web per organizzare incontri di coppia sulla base di ogni esigenza.
Però, dobbiamo ammetterlo, il pateracchio era assai più divertente e chissà che prima o poi non torni pure di moda!
Interessante, grazie per la diffusione queste ricerche