La Mesticheria Sposimo
Nel 1898 si trovava in vendita al costo di 1 lira la “Guida manuale di Firenze e de’ suoi contorni”.
L’editore ha un nome noto, Francesco Pineider. All’interno, su carta patinata e colorata, non solo la pubblicità di esercenti privati ma anche nomi di ristoranti, teatri, librerie ecc. Tra queste troviamo la Mesticheria dei Fratelli Sposimo situata in via Sant’Antonino al numero 7 che non era la più antica, quella era Pegna del 1860, ma certamente era conosciutissima essendo situata vicino al mercato centrale.
Giovan Battista Sposimo che era falegname, intagliatore, pittore, rilegatore di libri e fabbricante di infissi in Pomarance, mandò a Firenze i suoi due figli Raffaello e Egisto a mettere su un’attività di infissi visto l’incredibile fervore edilizio in una città in rapida espansione. Naturalmente, trovarono molta concorrenza ma soprattutto si sgomentarono dell’alto costo dei pennelli e delle vernici ed allora decisero di smettere con gli infissi e di iniziare a fabbricare i pennelli, fondando la Fabbrica Fiorentina Pennelli, ed aprire una mesticheria con l’esclusiva per Firenze delle vernici Lechler.
Il successo dell’attività fu dovuto al fatto che il negozio apriva alle sette di mattina perché a quell’ora i contadini, che con i loro carretti portavano frutta e verdura al mercato centrale, ritornavano a casa soprattutto nelle zone di Mantignano, Ugnano e San Bartolo a Cintoia, ma prima si fermavano a comprare vernici, chiodi, liscivia, bullette, gesso e così via.
Un reparto importante era il reparto dedicato alle belle arti con una quantità infinita di tele, pannelli, colori ad olio ed a tempera e, naturalmente, i pennelli in martora, castoro di tutte le forme dimensioni: per questo c’era un viavai incredibile di pittori più o meno bravi, più o meno fortunati.
Si accedeva al lungo negozio, circa cinquanta metri, da una porta di legno verde finestrata e dentro si trovava sulla destra un lungo bancone in quercia interrotto dalla cassa sulla quale svettava un monumentale e luccicante registratore di cassa National a manovella con dietro il capo commesso, che stava attento anche che le persone non rubassero niente.
Quand’ero ragazzo, ero affascinato dai severi arredamenti con le vetrine in quercia scura, dalle file ordinate di barattoli di vernice, dalla gentilezza dei commessi e dall’odore inconfondibile di quella bottega. Non esistevano i sacchetti di carta ed i cartocci erano fatti a mano con un’abilità sorprendente che, nonostante la mia buona volontà, non è mai riuscito di farne uno a modo.
Verso il 1963 tutto fu modernizzato e sparirono le pesanti suppellettili in legno per far posto a mobili metallici e in formica in voga a quel tempo. Nel 1965 cessò l’attività e il fondo fu venduto proprio in tempo per non subire l’alluvione dell’anno successivo.