Via San Gallo
Della serie…in giro per Firenze…Via San Gallo.⚜️!
Via San Gallo a Firenze era il prolungamento dell’antico cardo romano verso nord. La strada corre, in continuazione con via de’ Ginori, da via Guelfa fino alla piazza della Libertà. Lungo il tracciato si innestano: via XXVII Aprile e via degli Arazzieri, via delle Ruote, via di Camporeggi, via Bonifacio Lupi e via Salvestrina, via Duca d’Aosta e via Sant’Anna, via delle Mantellate.
San Gallo era un monaco celtico del VI secolo, che trascorse la sua vita predicando e fondando numerosi monasteri in tutta Europa (per esempio in Svizzera, dove il Canton San Gallo prende proprio da lui il suo nome). Di grande fama in tutta Europa, il suo culto venne portato in Italia, tra cui anche a Firenze, dai seguaci di San Colombano, che fin dal 1218 gli avevano dedicato una chiesetta lungo il Mugnone, affiancata a un ospedaletto per i pellegrini di qualche anno prima, fondato da tali Guidalotto di Volto dell’Orco e sua moglie Bernardesca. San Gallo in Italia veniva anche venerato, a causa del nome, come protettore dei gallinacei. In questo ospedale avevano alloggiato, secondo la tradizione, i primi francescani, giunti in città nel 1209. La chiesetta di San Gallo diede il nome prima alla Porta San Gallo, costruita nel 1285, e poi anche la via.
Nel Quattrocento San Gallo era officiata dai monaci agostiniani, tra i quali predicava fra Mariano da Genazzano, colto umanista e rivale di Girolamo Savonarola, perciò ben visto da Lorenzo de‘ Medici: il Magnifico, in questa che era la zona di residenza della propria famiglia, decise di sovvenzionare la ricostruzione del monastero, facendolo ampliare notevolmente e dandogli un elegante aspetto rinascimentale. Incaricò l’architetto Giuliano Giamberti, che vi realizzò un complesso così bello, all’avanguardia e funzionale, da essere da allora identificato con questo suo primo capolavoro, tanto che il cognome suo e poi dei suoi familiari divenne da allora “Da Sangallo”. Il monastero però venne sacrificato qualche decennio dopo, in occasione dell’Assedio di Firenze: venne raso al suolo dai Fiorentini perché, trovandosi fuori le mura cittadine, poteva offirre una pericolosa base logistica ai nemici. Vasari ricordò come già ai suoi tempi non ne rimanesse alcuna traccia.
Via San Gallo, ben più antica del XIII secolo da quando ne è attestato il nome attuale, era la continuazione dunque del cardo romano lungo direttrice verso il Passo della Futa e quindi Bologna e il Nord-Italia. Si era originata da fuori l’antica porta Aquilonia (in latino aquilonem significa il vento di tramontana, quindi il Nord), collocata in fondo all’attuale via Roma, e come di consueto nelle città romane doveva qui trovarsi una necropoli punteggiata di cippi e monumenti sepolcrali.
Già verso l’anno Mille in questa zona, che era attraversata dal transito settentrionale verso l’Emilia e la val Padana, erano sorti alcuni “borghi“, cioè insediamenti lungo la via fuori dalle mura, che erano detti di San Lorenzo, di Cafaggio (zona di piazza San Marco) e di Camporeggi (zona dell’ospedale Bonifacio). Questi ultimi due nomi erano legati ai boschi in cui i re longobardi e la compagine imperiale di Matilde di Canossa cacciavano: il gahagi, o campus fagi, e il campus Regi. I borghi vennero gradualmente inglobati nelle mura, prima nella zona di San Lorenzo (arrivando quindi all’imbocco dell’attuale via dei Ginori), poi nel XIII secolo fino alla Porta San Gallo, quando la città murata arnolfiana raggiunse il suo massimo sviluppo.
Lungo il tracciato i terreni furono per lo più lottizzati da religiosi, con la conseguente costruzione di conventi, chiese, oratori, sedi di confraternite e di congregazioni, spedali e ospizi per pellegrini, tanto che valsero alla strada l’appellativo popolare di “via Sacra“. Tali edifici religiosi nel tempo furono in buona parte soppressi e destinati ad altri usi (per lo più caserme e scuole) ma che ancora oggi segnano in modo inequivocabile la strada. Ancora oggi la via è ricca di fascino per i suoi monumenti fuori dalle rotte comuni del turismo di massa, ed è stata nota anche, fino ai primi anni Duemila, per le rivendite di libri nuovi o usati che le avevano valso anche il nome di “via dei librai“.
Il tracciato della via ha oggi origine all’incrocio con via dei Ginori e via Guelfa, detto il canto alle Macine: il nome si riferisce ai mulini che in antico avevano qui sede, sfruttando il corso del Mugnone che alimentava i fossati lungo le mura “di Cacciaguida“. Una di queste pietre era ancora visibile nel Cinquecento, quando padre Laínez, il secondo generale dei Gesuiti, la usò come pulpito per predicare ai cittadini. In una di queste case presso i mulini, destinate al popolo minuto, Boccaccio colloca inoltre l’abitazione di Calandrino.
Di tutti gli altri incroci della strada, gli unici antichi sono: quello con via degli Arazzieri (Canto dei Preti, dall’oratorio dei Pretoni), che però formava una T non esistendo via XXVII Aprile; quello con via delle Ruote (Canto alla Pace, forse dalle monache di Santa Maria della Pace che avrebbero risieduto per un certo periodo all’oratorio di Santa Maria della Neve); e quello con via Salvestrina, pure a T (Croce di Via, forse da una deformazione di “San Michele de Cruce Vitae” con cui era originariamente titolato l’ospedale Bonifacio). Da qui fino alla porta la strada era un susseguirsi ininterrotto di chiese, monasteri, ospedali e abitazioni, che solo nel corso dell’Ottocento vennero intervallati dall’apertura di altre strade.