Una ragazza americana a Firenze, la storia di un istante
Firenze, 22 agosto del 1951.
«Un caldo boia. Ho ventun’anni e studio ingegneria. Si va al Gambrinus a giocare a biliardo perché c’è l’aria condizionata. Guido una Lambretta, dietro porto un mio amico che fa il cameriere. In piazza della Repubblica, davanti al Caffè Gilli, vediamo una bella donna americana che passa. Si voltano tutti, qualcuno fischia, noi accostiamo al marciapiede. Io sono Carlo Marchi, il giovane ciuffo biondo e mocassini senza calze, ed entro per sempre in una delle foto più famose del mondo: American girl in Italy…»
Carlo Marchi, ingegnere idraulico, imprenditore e finanziere ( 12.06.1930 – 23.12.2012)
Quante storie – ed equivoci – si nascondono dietro una foto. E quante storie ci sono dietro i suoi protagonisti! Specialmente se quell’immagine è diventata un’icona, come lo è divenuta “American girl in Italy“: una ragazza passa velocemente su un marciapiede di Firenze mentre un “corridoio” di uomini la guardano e commentano. Quella donna, al tempo poco più che ventenne, è morta cinque anni or sono il 2 maggio 2018, all’età di novant’anni in un ospedale di Toronto, per le complicazioni dovute a un cancro che la affliggeva da anni. Ma la sua dipartita, a quasi settant’anni da quello scatto, non ha fatto la stessa notizia.
Ninalee Allen Craig (detta “Jinx“) era il nome della protagonista immortalata in una delle immagini che rappresentano la storia della pellicola in tutto il mondo e il fermo immagine di una Firenze che fu.
C’è davvero tanto da raccontare a proposito di questo celeberrimo bianco e nero che ritrae una giovane turista americana che cammina su un marciapiede del centro di Firenze davanti al Caffé Gilli. L’amica fotografa la precede: tutto intorno, quindici uomini non le tolgono gli occhi di dosso, la fissano rapiti dal suo avanzare deciso e delicato come il vestito che sembra danzare insieme a lei. Due sorridono seduti su una Lambretta (simbolo della ripresa economica), un altro fa un fischio. Mentre passa tra gli sguardi e gli ammiccamenti di maschi giovani e adulti, Ninalee stringe a se’ un album da disegno e si drappeggia uno scialle arancione sulle spalle, i suoi occhi rivolti a terra.
Stiamo parlando dello scatto più celebre di Ruth Orkin, divenuto un’immagine tra le più vendute al mondo ma anche il bersaglio di accese critiche femministe, per lunghi anni. Venne realizzata il 2 agosto del 1951 in Piazza della Repubblica e non nacque -come molti invece suppongono- per caso. Orkin che all’epoca aveva ventinove anni e sognava di farsi strada nel fotogiornalismo, non nascose mai che quello scatto fosse spontaneo solo in parte, precisando di essersi limitata a intervenire su aspetti minori della scena.
A Firenze aveva incontrato Ninalee, una studentessa americana: «La scelsi perché era bella, luminosa e, diversamente da me, era alta: doveva sembrare una Beatrice della Divina Commedia che passava attraverso questa dozzina di uomini» spiegò nel 1995 al New York Times.
Così, Jinks era divenuta la sua modella per una serie intitolata originariamente “Non aver paura di viaggiare da sola‘”, un diario della loro esperienza di donne in viaggio in Europa negli anni Cinquanta. Dopo ore di incontri, si erano messe all’opera nelle strade affollate, all’ora di pranzo e la ragazza era stata ritratta mentre faceva acquisti, oppure attraversava la strada nel traffico o sedeva al bar. Fu per un puro caso che le giovani si imbatterono in quel gruppo di uomini: «Mi misi lo scialle intorno al corpo – raccontò Jinx – era la mia protezione, il mio scudo… Camminavo attraverso un mare di uomini».
In seguito, non mancò di aggiungere che quegli attimi l’avevano davvero divertita: «La foto non ritraeva paura perché erano altri tempi. Erano italiani e io amo gli italiani!».
Quel fermo immagine destinato a diventare un vero simbolo della street photography del ‘900, ha raccontato il femminismo e la figura della donna in un periodo storico particolare come il boom economico; non a caso, molti anni più tardi sarà scelta come copertina di un libro del Time & Life sul boom economico italiano. Uno scatto dal forte impatto emotivo e con la capacità di raccontare una storia italiana, fuori dallo spazio e fuori dal tempo: gli sguardi degli avventori, la Lambretta come mezzo di locomozione disponibile per tutti, la calda partecipazione della folla ed il suo distribuirsi in quasi tutte le età anagrafiche sono cliché del maschio italico, fischiatore da marciapiede, che probabilmente, la foto stessa ha contribuito a diffondere nel mondo.
Nato come uno scatto che voleva raccontare il divertimento di una giovane donna americana in vacanza nell’Italia ancora devastata dalla guerra, con il passare del tempo, divenne una fotografia simbolo per denunciare le difficoltà delle donne in un mondo di uomini. Molti infatti furono coloro che la interpretarono come una foto di molestie e sciovinismo. Ma la Craig ha sempre sostenuto diversamente: «Mi stavo divertendo. Stavo camminando attraverso un mare di uomini. Mi stavo godendo ogni minuto. Mi sentivo Beatrice. Studiavo la Divina Commedia ed era come se a ogni passo, ogni momento, Dante dovesse vedermi e dedicarmi una poesia. Ero la sua ispirazione. Indossavo una sciarpa arancione comprata in Messico e nelle mani avevo del materiale per disegnare e dipingere (…) .In nessun momento sono stato infelice o molestato in Europa. [La fotografia] non è un simbolo di molestie. È un simbolo di una donna che si sta divertendo moltissimo! Gli uomini italiani apprezzano molto ed è bello essere apprezzati. Non ero minimamente offesa!». Parlò soltanto per un attimo con due di loro, i due giovani che se ne stavano seduti sul motorino: «Ho urlato loro di dire agli altri che non guardassero la macchina fotografica». Dopodiché, Orkin le chiese di passare di nuovo e fu così che la giovane fotografa americana colse la celebre immagine.
Bastarono due soli scatti, all’incirca trenta secondi, per vedere nascere uno dei capolavori della fotografia ancora oggi riprodotto e diffuso ovunque, poster, calendari e cartoline. La didascalia diceva: “Pubblica ammirazione… non vi agitate, in Italia è normale, i galantuomini sono più rumorosi degli uomini americani”.
La foto venne pubblicata sulla rivista Cosmopolitan nel settembre 1952. Jinx vide per la prima volta la sua immagine caricata su di un enorme display arrivando a Gran Central Station di New York.
Rientrata negli States per lavorare come insegnante e scrittrice pubblicitaria, Ninalee decise di trasferirsi in Italia, sposando un conte di Treviso rimasto vedovo, Achille Passi e crescendo il suo piccolo figlio. Visse con lui a Milano per molti anni, fino a che il matrimonio non naufragò in un divorzio. Dopo avere fatto rientro a New York, Jinks incontrò un canadese, si sposò una seconda volta e si trasferì a Toronto. I due sono rimasti sposati fino alla morte di lui avvenuta nel 1996. La nostra bella modella ebbe il dono di crescere una grande famiglia allargata, con dieci nipoti e sette pronipoti.
Orkin, invece, subito dopo il felice scatto, sposò il fotografo e regista Morris Engel. Insieme diressero il lungometraggio “Little fugitive”, che ebbe una nomination all’Oscar nel 1953 e fu premiato con il Leone d’Argento al Festival di Venezia in quello stesso anno. La fotografa continuò la sua carriera collaborando con riviste prestigiose, Life, Look, Esquire e divenne famosa per i ritratti di attori, musicisti e personaggi dello spettacolo, da Marlon Brando a Montgomery Clift, Humphrey Bogart e Leonard Bernstein.
Il cinema marcò profondamente la carriera fotografica di Ruth Orkin. Avrebbe voluto fare la regista ma fu costretta a rinunciare perché quel ruolo era precluso alle donne. L’ immagine in movimento l’aveva sempre attratta. Del resto conosceva quel mondo molto bene, era cresciuta a Hollywood all’ombra della madre Mary Ruby, attrice di film muti. Le avevano regalato la prima fotografica a dieci anni e nel 1939 viaggiò in bici da Los Angeles a New York per visitare l’Expo immortalando persone e luoghi. Nella Grande Mela si era stabilita nel 1943 dopo aver abbandonato il sogno della regia e cominciò a ritrarre personaggi famosi per le grandi riviste. Nel 1951 Life la spedì in Israele per un reportage al ritorno del quale Ruth Orkin fece tappa a Firenze dove trovò lo scatto della vita.
L’ amore per il cinema, la portò a inventare un linguaggio che fosse il punto di incontro tra la macchina da presa e la fotografia e indurre una corrispondenza tra queste due temporalità non parallele. Ad affascinarla erano gli intervalli di tempo, lo spazio tra un momento e l’altro. Una delle sue ultime serie – ‘‘Un mondo fuori dalla mia finestra”, pubblicata nel 1978 – è dedicata a ciò che vedeva dalla sua casa su Central Park, la stessa inquadratura in diverse stagioni con gli alberi che cambiano fisionomia e colori, documentando lo scorrere del tempo con una sequenza dal ritmo cinematografico.
Forse tutta la sua opera consiste proprio in questi intervalli, che fanno emergere una atemporalità nascosta nell’ombra. La realtà, dunque, inseguita per tutta la vita giace nelle ellissi di tempo, e non dietro le apparenze.
La Orkin, e la Allen sono rimaste amiche per tutta la vita.
Sempre molto belle queste pubblicazioni.