Paul Gauguin, il colore della natura
«Sono fuggito da tutto ciò che è artificiale e convenzionale.Qui entro nella Verità, divento uno con la natura. Dopo il morbo della civilizzazione, la vita in questo nuovo mondo è un ritorno alla salute»
Esponente di rilievo della pittura impressionista, Paul Gauguin (7 giugno 1848 – 8 maggio 1903) fu un maestro del colore attraverso cui espresse la sua profonda inquietudine interiore.
Insieme a Paul Cézanne e Vincent Van Gogh, egli rappresentò il più grande dei postimpressionisti e come loro fu la figura base nello sviluppo dell’arte moderna.
Il padre era un giornalista radicale. La madre era per metà francese e per metà creola peruviana. Entrambi furono oppositori del regime di Luigi Napoleone (più tardi Napoleone III) e per questo motivo nel 1851 dovettero lasciare la Francia per andare in esilio in Perù.
Paul Gauguin trascorse pertanto parte della sua infanzia a Lima e solo nel 1855 tornò con sua sorella e la madre ad Orleans: il padre era morto durante il viaggio d’andata.
A 23 anni Gauguin è a Parigi, dove trova un impiego presso un agente di cambio e, incoraggiato dal suo tutore G. Arosa, inizia da dilettante, un’appassionata attività di pittore.
Più o meno a quel tempo incontra Jacob Abraham Pissarro e incomincia a raccogliere dipinti impressionisti.
Nella capitale francese, Gauguin ha modo di conoscere anche Théo van Gogh ( al tempo gestore di una piccola galleria d’arte), e Vincent van Gogh. Tra loro si instaurerà una profonda amicizia, che più tardi purtroppo naufragherà per causa di un violento litigio, con l’artista olandese che arriverà addirittura a tagliarsi un orecchio in preda ad una crisi psicotica.
Nel 1876 uno dei suoi paesaggi è accettato dal Salon e la sua opera viene esposta nel 1880 e ’86 alle esposizioni impressioniste.
Fermamente convinto di voler fare l’artista, Gauguin rinuncia al proprio lavoro per dedicarsi all’arte a tempo pieno, ma ha poco successo e presto dovrà vendere la sua intera collezione di quadri per mantenere sé stesso e la famiglia.
Dopo l’ultima esposizione impressionista Gauguin si trasferirà in Bretagna, lasciando la famiglia a Copenaghen (la moglie era danese).
Qui trova ispirazione non solo dall’aspro paesaggio bretone, ma anche dall’umile fede dei contadini di questa regione e dai costumi ancora quasi medievali; il suo principale luogo di lavoro è Pont Aven, dove diviene il punto di riferimento di un gruppo di artisti, attratti dalla sua forte personalità e dalle sue stimolanti idee sull’arte.
L’amarezza per il mancato riconoscimento pubblico della sua arte lo spinsero nella vita a continui viaggi in giro per il mondo, in cerca di fortuna.
La pittura di Gauguin fu una sintesi delle principali correnti che attraversarono il variegato e complesso panorama della pittura francese di fine secolo. Egli partì dalle stesse posizioni impressioniste, comuni a tutti i protagonisti delle nuove ricerche pittoriche di quegli anni, ma poi superò l’ Impressionismo per ricercare una pittura più intensa sul piano espressivo. Fornì, dunque, soprattutto per i suoi colori forti ed intensi, stesi a campiture piatte, notevoli suggestioni agli espressionisti francesi del gruppo dei Fauves ma, per l’intensa spiritualità delle sue immagini, diede soprattutto un importante contributo a quella pittura definita simbolista, che si sviluppò in Francia ed oltre, in polemica con il naturalismo letterario di Zola e Flaubert e con il realismo pittorico di Courbet, Manet e degli impressionisti. Poco alla volta si avvicinò dunque ad un’ altra forma di pittura, il Sintetismo, eliminando i particolari e rinunciando ai colori complementari nei dipinti all’aperto.
Nel suo girovagare per il mondo, Paul arrivò anche a Papeete, il capoluogo di Tahiti, poi visse in vari villaggi, fino a stabilirsi in una capanna davanti all’Oceano per sfuggire alla civiltà e ritrovare il contatto con la semplicità e l’essere primitivo.
A Tahiti, Gauguin si sforzò di diventare nativo e, malgrado la costante pressione della povertà, dipinse le sue opere più belle. I suoi colori diventarono più risonanti, il disegno superbamente semplificato e più profonda l’espressione dei misteri della vita.
Nel 1893 la povertà e la cattiva salute lo costrinsero a tornare in Francia, ma un’eredità inaspettata da parte di uno zio gli consente di ritorna presto di nuovo a Tahiti.
Alla fine del 1897 dipinge il suo quadro più grande, la famosa allegoria della vita: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?.
E ciò avvenne poco prima di tentare il suicidio, forse perché sconvolto dalla notizia della morte della figlia preferita: morirà invece due anni dopo, soltanto per l’ aggravarsi di una malattia venerea che aveva contratto, lavorando fino all’ultimo ininterrottamente, sfidando la povertà e la mancanza di riconoscimenti.
Morirà di sifilide a Hiva Oa, l’8 maggio del 1903: strano a dirsi ma, l’ultimo suo dipinto … fu una piccola nevicata nostalgica!