Il diavolo in gonnella
Alfonsina Morini, questo il suo nome da nubile. Era nata nel 1891 a Castelfranco Emilia da una famiglia di braccianti agricoli.
Alfonsina era ancora giovanissima, quando in lei aveva sentito accendersi la fiamma ardente della passione. Non per un uomo, bensì per altro: la bicicletta.
Suo padre ne possedeva una, vecchia e malridotta, ma lei, ancora bambina, se ne innamorò e lo fece perdutamente. Fu per amore che fece tutto.
E si dette davvero un gran daffare. Cominciò facendo la vedette delle competizioni sportive della zona; poi arrivarono le prime gare a Reggio Emilia e dintorni. Ma poiché c’era l’alto muro del maschilismo sportivo (e non solo), pur di partecipare Alfonsina decise di spacciarsi per un uomo.
Era già chiaro, niente e nessuno l’avrebbero fermata.
Presto si guadagnò il soprannome che davvero le calzerà a pennello, quello di “diavolo in gonnella”. Ovviamente, i genitori e tutti gli altri parenti non approvavano le sue velleità. Doveva trovare marito come tutte le altre, Alfonsina. E magari diventare una brava sarta.
Nel 1905, a soli 14 anni, sposò il meccanico e cesellatore Luigi Strada. La precoce fine di un sogno, penserete voi?
No, anzi. La coppia Alfonsina Strada e Luigi Strada sorprese tutti, perché quell’uomo si rivelò essere dotato di grande intelligenza e mentalità aperta. Nel giorno delle nozze, regalò ad Alfonsina una bici da corsa. L’anno successivo i due si trasferirono a Milano e lui cominciò addirittura a farle da allenatore.
Alfonsina Morini Strada prese parte a diverse competizioni, inanellando successi. Nel 1924 fu ammessa al Giro d’Italia. Sostenne le prime tappe con risultati più che validi, soprattutto considerando che tutti gli altri atleti erano uomini. Durante l’ottava tappa (L’Aquila-Perugia), però, la pioggia e il vento la fecero cadere rovinosamente.
Eppure non si arrese. Con l’aiuto di una donna, aggiustò il manubrio della sua bicicletta usando un manico di scopa e ripartì. Arrivò a Perugia per ultima e fuori tempo massimo, esausta e ferita. Ma arrivò, conquistando tutti gli spettatori, i quali la accolsero con ammirazione e calore.
Tuttavia, anche a causa di chi disapprovava l’emancipazione femminile, venne esclusa dalla gara. Le permisero comunque di prender parte alle seguenti tappe, senza conteggiarne i tempi. Su novanta atleti partiti da Milano, solo trenta portarono a termine l’intero percorso. Tra questi c’era anche lei, Alfonsina.
Ciò nonostante, incredibile ma vero, non le fu mai più permesso di iscriversi al Giro! Eppure lei non si arrese, non si arrese mai: anzi, decise di seguire il giro per conto proprio, e lo fece naturalmente, a bordo della sua bici.
Divenuta celebre, prese parte a molte altre competizioni; si esibì ovunque, addirittura al circo, pedalando sui rulli.
In sella alla sua bicicletta correva veloce Alfonsina, sempre di più: e infatti, nel 1938 conquistò un altro record, quello dell’ora femminile, fissandolo a 35,28 chilometri, a Longchamp, in Francia
Dieci anni dopo che Luigi era passato a miglior vita, rendendola vedova, la campionessa decise di risposarsi con Carlo Messori, un settantenne che, manco a dirlo, in gioventù era stato un appassionato ciclista.
Correva l’anno 1950. Insieme aprirono un negozio di biciclette con officina annessa, in via Varesina 80, a Milano. E lei, Alfonsina, andava tutti i giorni al lavoro su due ruote. Nel 1957, però, Messori morì. La donna decise di mandare avanti l’attività da sola, ma dentro di sé cominciava a sentirsi stanca, forse anche per via di quel suo perpetuo pedalare.
Ma questo era un problema a cui si poteva trovare rimedio: tutto pur di rimanere sempre in sella! Detto fatto, quindi, la nostra campionessa acquistò una Moto Guzzi 500 di colore rosso, bello fiammante!
Qualcuno disse che era stata costretta a vendere parte delle sue medaglie e dei suoi trofei per mettere insieme il denaro necessario. Forse è la verità, forse no. Ma di certo, il tramonto della sua vita non fu luminoso.
Sono stati molti coloro che l’hanno descritta come una persona bizzarra, fuori dal comune. Non vi è alcun dubbio, Alfonsina di certo fu un’anticonformista, un’anima libera dotata di una forza incredibile. Durante la sua vita raggiunse traguardi inimmaginabili, soprattutto per quei tempi.
Ma affrontò anche prove molto dure. Aveva imparato a sostenerle fin da bambina, quando aveva patito i morsi della fame. E poi pure dopo, quando si era fatta adulta. Perché anche con Luigi Strada non erano state tutte rose e fiori. Un incontro determinante quello loro, questo è sicuro; lui si rivelò essere un uomo pieno di virtù, che l’amava profondamente. Ma dentro, egli aveva un animo fragile; a un certo punto della loro vita rimase vittima della depressione e, per essere curato, fu ricoverato in una casa di cura psichiatrica: «Sono una donna – aveva dichiarato una volta Alfonsina nel corso di un’intervista al Guerin Sportivo – è vero. E può darsi che non sia molto estetica e graziosa una donna che corre in bicicletta. Vede come sono ridotta? Non sono mai stata bella, ora sono… un mostro. Ma che dovevo fare? Ho un marito al manicomio che devo aiutare; ho una bimba al collegio che mi costa 10 lire al giorno. (…) Ho le gambe buone, i pubblici di tutta Italia (specie le donne e le madri) mi trattano con entusiasmo. Non sono pentita. Ho avuto delle amarezze, qualcuno mi ha schernita; ma io sono soddisfatta e so di avere fatto bene».
Proprio grazie ai suoi successi sportivi Alfonsina era riuscita a pagare tutte le rate. Anche quelle del collegio dove stava sua figlia, così come la chiamava lei. Perché, in realtà la ciclista non divenne mai madre. La bambina a cui si riferiva era una nipote.
Il 13 settembre 1959 si spense all’improvviso.
Aveva assistito alla gara ciclistica Tre Valli Varesine e si era fatta sera. Alla portiera disse di essersi divertita tanto, che era stata una gran bella giornata. La sua intenzione era quella di portare la moto in negozio e tornare nuovamente a casa in bicicletta. Ma la moto non partiva, era ingolfata. Mentre spingeva con forza sulla leva di avviamento, un malore mortale la colpì. La causa del decesso fu un infarto.
Fine della corsa.
La storia di Alfonsina ci ricorda che la parità di genere nell’agonismo è una gara iniziata ormai più di un secolo fa e non ancora finita, ed è da atlete come lei che ancora oggi tutte le donne possono trarre ispirazione per continuare la propria lotta.