La mia campagna -IX episodio
Una villeggiatura d’altri tempi!
9° episodio
Da leggere ce n’era in abbondanza. Avevo trovato, in un cassetto di casa, degli strani pacchetti, legati con l’elastico, di “strisce” di giornale: si trattava dei famosi romanzi d’appendice, pubblicati a puntate sui giornali di una volta che, probabilmente, i miei nonni avevano, a suo tempo, ritagliato. Fu così che feci la conoscenza con la “Portatrice di pane” e con il “Romanzo di un giovane povero”.
Trovai anche molti numeri del “Romanzo Mensile”, quello che oggi si chiamerebbe inserto” del Corriere della Sera. In tal modo conobbi anche i romanzi di Maurice Leblanc, il cui protagonista, Arsenio Lupin, mi piacque moltissimo e le cui avventure non mi dispiacerebbe di poter, oggi, rileggere.
Il sabato sera spesso la Pia ci chiedeva di andare da loro “a veglia” per fare due salti: dopo la guerra era scoppiata la frenesia del ballo! Noi portavamo il grammofono a manovella e una notevole quantità di dischi a 78 giri, racchiusi in un’apposita valigetta, dei generi più disparati: polke, mazurke, tanghi, fox-trot, canzoni di successo ed i motivi più in voga del momento, il lento “Valzer delle candele” e lo scatenato boogie woogie “In the mood”, arrivato da noi al seguito degli americani.
Portavamo su dai contadini anche la nostra lampada a gas di petrolio per rischiarare un po’ l’ambiente.
La grande cucina si trasformava in sala da ballo ed eravamo sempre tanti perché si era sparsa la voce e venivano molti giovanotti dei dintorni. Venivano tutti profumati, pieni di brillantina, con la camicia fresca di bucato aperta sul collo abbronzato ed i pantaloni del vestito “bono” che era di lana e lo usavano anche d’estate. Io ballavo con i miei compagni di giuoco d’infanzia che erano tutti diventati dei provetti ballerini nelle danze tradizionali. Ma quando l’addetto al cambio dei dischi (cioè papà) metteva su il disco del boogie-woogie, i vari ballerini si fermavano, impacciati ed imbarazzati.
Allora ero io che mi esibivo, anche da sola, e sculettavo e mi dimenavo, dando ad intendere che quel modernissimo ballo si dovesse ballare proprio così… e suscitavo una grande ammirazione! Papà, come ho detto, cambiava i dischi, le puntine e dava la carica. Mamma stava a guardare, divertendosi un mondo, fumava una sigaretta dietro l’altra e conversava con la Pia del più e del meno.
Fu uno o due anni dopo, una volta ritornati definitivamente a Roma, che facemmo, alla volta di Castagneto, uno dei viaggi più memorabili.
Papà, ormai in pensione, aveva ricomprato la macchina, una Topolino d’occasione.
Partimmo in cinque. C’erano due personaggi che non erano mai stati a Castagneto: il mio gatto Titti e la fida ancella Iside. Per Titti era la prima volta perché l’avevamo preso alla fine dell’estate precedente. Iside, invece, dal 1939 al 1942 non era mai stata a Castagneto, perché, dopo averci accompagnati al mare nel mese di agosto, si prendeva le ferie nel mese di settembre, tornando in famiglia nel Friuli, proprio mentre noi partivamo per la campagna.
Nell’immediato dopoguerra, quando stavamo a Firenze e a Livorno e già avevamo ripreso a passare l’estate a Castagneto, Iside lavorava in Svizzera. Mi ricordo quel viaggio come se fosse ieri. Davanti sedevano papà e mamma. Dietro (ammesso che in una Topolino si possa parlare di “dietro?) ed in posizione fetale, c’eravamo io e Iside che, povera disgraziata, teneva sulle ginocchia la grossa cesta di vimini con dentro il gatto… La “velocità di crociera”, tenuta da mio padre, era di circa 70 chilometri l’ora e ogni cinquanta chilometri si fermava per fumare una sigaretta e per far riposare quel povero “macinino” affaticato dal sovrappeso. Durante le frequenti soste ne approfittavamo per “far scendere” il gatto e portarlo nei campi, tenuto da una cordicella attaccata al suo collarino. La speranza era che facesse la pipì, ma evidentemente i gatti non sono cani, ed infatti non la fece.
Anzi, non la fece per tutta la durata del viaggio, nonostante la sua lunghezza, nemmeno dentro la cesta (che sarebbe come dire addosso a Iside..) perché un ricordo del genere non mi sfuggirebbe. Eravamo partiti alle prime luci del sole e… sul far della sera, malgrado lo stato delle strade delle nostre colline, la piccola eroica Topolino riuscì ad approdare trionfalmente davanti casa! Fummo accolti dalla famiglia colonica, schierata ai bordi dell’aia, come trasvolatori atlantici!
Il gatto Titti e la fida ancella ebbero subito, fin da quel loro primo anno, uno strepitoso successo, ripetuto l’anno successivo. Devo ricordare che il mio micio non era stato castrato e, vissuto sempre nel nostro appartamento cittadino, era cresciuto in coatta verginità.
Una volta al Poggio, si dette alla pazza gioia! Spariva per ore e lo vedevamo riaffacciarsi solo al momento dei pasti. Titti, di purssima razza “bastardo-soriana”, aveva 1 pancmo bianco e il dorso e la testa grigi striati di nero. I gatti di Castagneto erano invece, al novanta per cento, “rossi”, cioè bianchi striati di arancione.
Bene, l’anno successivo, tutti i gattini della zona erano bianchi, grigi e neri con qualche filino rosso… Non so se ho reso l’idea!
Quanto a Iside… anche lei veniva “a veglia” il sabato sera in casa dei contadini. La bella bionda friulana, con gli occhi bistrati, la sigaretta in bocca, emancipata per i tempi e per i luoghi, non poteva non far colpo!
E così fece perdere la testa a tre giovani del luogo, a quello che aveva fatto la 6ª elementare, al giovane colono della Maggi che era il più bravo ballerino della zona e ad un timido ricco possidente. Ricevette da questultimo una formale richiesta di matrimonio cui seguì un tormentato fidanzamento.
A Roma arrivavano in continuazione lettere e pacchi-dono contenenti, per lo più, lenzuola, coperte e sopracoperte, queste ultime del genere sfavillante che faceva furore in quei posti, di raso e di damasco. Ne aveva collezionate talmente tante che, ogni qualvolta ne arrivava un’altra, io e lei si moriva dal ridere. Ma il più bello è che in mezzo a questi regali erano sempre nascoste lussuose confezioni di saponette variopinte dalle forme più ricercate (fiori, cuori, farfalle ecc.) e dai più straordinari profumi.
“Io posso anche capire le coperte, anche se cominciano ad essere troppe -diceva Iside- ma tutti questi saponi non li capisco proprio, anzi, mi domando se è il caso di offendermi… Che cosa vorrà dire con questo, che non mi lavo??!”. Durò un’altra estate.
Un bel giorno ci disse: “A me Castagneto piace, ma solo per villeggiatura” e ruppe il fidanzamento. Restituì lenzuola, coperte e sopracoperte e forse anche le saponette. O no?… Poi, come si sa, qualche anno dopo sposò l’autista del generale che abitava nel nostro palazzo, sopra di noi.
Ogni anno ormai tornavamo a Castagneto in automobile. Mio padre aveva imparato a conoscere le insidie della strada e perfino i sassi, ad uno ad uno. Sapeva in qual punto conveniva buttarsi nei campi ed in quale, invece, salire con una ruota sopra una determinata pietra, per evitare di spaccare la marmitta.
Al nostro arrivo la carraia in facciata veniva sgomberata e trasformata in garage. I polli e i piccioni, che dentro la carraia la facevano da padroni, all’inizio non si accorgevano della differenza tra un carro e un’automobile.. Perciò i polli saltavano sul cofano, i piccioni si accovacciavano sul tettuccio. Trovavamo sempre la macchina pittorescamente decorata, finché papà non comprò un telone. Ormai la spesa domenicale in paese non ci costava più alcuna fatica e spesso facevamo anche qualche gita nei dintorni.
Ma quante volte, arrivando da Roma o tomando a casa dopo un acquazzone, siamo finiti con le ruote impantanate nel fango senza possibilità di muoverci.Quante volte è venuto il contadino a trainarci con le funi e i buoi!
Quante volte ho visto sul suo viso un sorrisetto eloquente come a dire: “Macchine…motori… tutte trappole!… E poi c’è sempre bisogno delle “bestie”..!”
…. Arrivederci a domani con il prossimo episodio!