La “Signora del Vittoriale”
“Signora del Vittoriale”, così era soprannominata Luisa Baccara, musa e amante di Gabriele D’Annunzio, ma anche talentuosa pianista e donna dal grande carisma. Nata a Venezia in una famiglia borghese, si era affermata giovanissima nel mondo della musica.
Sfuggente a qualsiasi etichetta, appassionata e colta, la veneziana Luisa Baccara fu una delle musiciste più importanti del panorama nazionale del Novecento. Alta, minuta, dai lineamenti greci e dal fascino misterioso, a soli vent’anni era ritenuta la rivelazione del Conservatorio veneziano Benedetto Marcello.

Il mondo di Luisa era fatto di sinfonie, di spartiti e di note, che conosceva perfettamente già all’età di cinque anni. Figlia di un colonnello dei bersaglieri e di una tra le donne più originali ed eclettiche della borghesia veneziana del tempo, questa bambina prodigio non sapeva né leggere né scrivere quando iniziò a suonare il pianoforte per la prima volta.
Suonava per ore nelle sale del Conservatorio Benedetto Marcello e cresceva, diventando, a poco a poco, una giovane donna, virtuosa di talento e bellezza aristocratica.
La sua fama di pianista sublime veniva elogiata da tutti i giornali dell’epoca e si espanse oltre i confini della sua città, Venezia, arrivando fino ai cancelli del Vittoriale, la reggia del poeta Gabriele D’Annunzio che, fin da subito, si interessò al talento e alla bellezza della giovane veneziana.
Fu proprio mentre Luisa era al pianoforte che scattò il colpo di fulmine con il Vate. Lui aveva quasi trent’anni più di lei e l’aveva ascoltata suonare per la prima volta a casa di un’amica in comune, Olga Levi, rimanendone stregato.
Ovviamente, egli non aveva bisogno di presentazioni!
Dopo il primo, folgorante incontro tra il poeta e l’affascinante ventiseienne, seguì da parte del Vate un corteggiamento serrato: D’Annunzio le inviò una copia de La Leda senza cigno con tanto di dedica, ma anche fiori, lettere e libri con altrettante dediche appassionate.
“Smikrà”, ovvero “piccola” in lingua greca: egli adorava dare dei nomignoli alle sue amanti!
E così D’Annunzio scelse di chiamare affettuosamente la sua Luisa, la quale a sua volta, si rivelò ben presto essere un’amante devota e fedele, capace di sopportare i comportamenti anticonformisti e sopra le righe del poeta, ma anche sfuggente e talvolta indecifrabile.
Quando, nel 1919, il Vate partì alla volta di Fiume per la celebre marcia, volle con sé Luisa, che nel frattempo era diventata ufficialmente la sua compagna (con scarsa approvazione da parte della famiglia di lei, anche perché D’Annunzio era già sposato).
Nel 1920 la coppia si trasferì al Vittoriale, la casa-museo sul Lago di Garda voluta per rappresentare la memoria della “vita inimitabile” del poeta-soldato. E sarà questa la loro dimora fino alla morte di D’Annunzio, sopraggiunta nel 1938.
Proprio al Vittoriale avverrà uno degli episodi della vita del Vate ancora oggi avvolto nel mistero, noto come il “volo dell’angelo“. In una calda sera di agosto, pare che D’Annunzio cadde dal balcone di una stanza del palazzo, riportando ferite gravi che lo tennero per giorni tra la vita e la morte. La versione ufficiale definì la caduta accidentale, ma per molti c’era stato lo zampino delle sorelle Baccara. Si vociferava infatti che fosse stata la sorella minore di Luisa, Jolanda, a spingerlo per difendersi da un approccio.
Altri sostennero che la responsabilità era stata tutta della stessa Luisa, in quanto gelosa e infastidita dalle avance che il compagno riservava alla sorella.
Fatto sta che la pianista non era molto gradita tra i fedelissimi del Vate. Furono costoro che programmarono di allontanarla da lui perché troppo pericolosa.
Anche i figli del poeta, Renata e Mario, la ritennero responsabile dell’accaduto, ma d’Annunzio li allontanò e, di contro, fece addirittura testamento in favore di Luisa.

Ma pure volendo escludere questo episodio e il suo colpevole, c’è da dire invero che gli anni trascorsi insieme dai due amanti in quella Casa-Museo non furono certo degli anni felici, e mi riferisco ad entrambi: D’Annunzio si chiuse sempre più in se stesso, al punto che comunicava con la donna che un tempo amava solo attraverso bigliettini e lettere.
Potete non credermi, ma vi assicuro che furono millesettecento e ottanta le lettere che D’Annunzio le scrisse e millesettecento e ottanta furono le lettere che Luisa conservò gelosamente, rivelando poco o nulla della loro vita trascorsa insieme.
Alla morte del Vate nel 1938, la musicista lasciò il Vittoriale, luogo in cui era stata l’incontrastata signora, per rifugiarsi a Venezia, vivendo una vita isolata e solitaria.
Nonostante le schermaglie, i pettegolezzi, i tradimenti e infine l’incomunicabilità, Luisa rimase sempre fedele al suo compagno e al loro amore che sfuggiva a ogni etichetta.
Per lui aveva abbandonato una brillante e promettente carriera nel mondo della musica, per lui aveva rinunciato a una vita da giovane donna per rinchiudersi nel rifugio dorato di Gardone Riviera, in una vita fatta di solitudine dove l’unico sollievo veniva dalla musica e dal suo amato pianoforte. Buona parte della vita di questa giovane e talentosa musicista veneziana era scorsa così, tra le mura del Vittoriale, le pene d’amore per il suo amato e la musica, fino alla morte del poeta,
Tornata alle sue origini, in quella casa che l’aveva vista crescere e muovere i primi passi nel mondo dell’arte e della musica, da sempre la sua unica ragione di vita, in solitudine, circondata da qualche fedele amico e dando lezioni private di pianoforte, ella visse gli ultimi anni nella sua Venezia, tra i ricordi di un amore tormentato e la serenità della sua amata città.
