Il suono del silenzio
«Interrompiamo questo programma per trasmettervi questo rapporto speciale della ABC Radio. C’è un rapporto speciale da Dallas, Texas. Tre colpi d’arma da fuoco hanno colpito il corteo del Presidente Kennedy oggi in centro a Dallas, Texas. Questa è la ABC Radio».
Era Don Gardner della ABC Radio Network ad informare la nazione, appena un’ora dopo l’accaduto, del dramma che si era da poco consumato a Dallas, nella tarda mattinata di venerdì 22 novembre dell’ anno 1963.
Il presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy (allora quarantaseienne, salito in carica da appena 1035 giorni) ed il governatore del Texas, John Connally (ferito piuttosto gravemente ma poi riuscito a cavarsela), rimasero vittime di un attentato, nel corso di una visita ufficiale, organizzata in vista delle prossime elezioni.
Poco prima delle tre del pomeriggio giunse a tutto il mondo la notizia della morte di Kennedy: da quel momento calo’ il silenzio sulle trasmissioni regolari e sugli spazi commerciali, ogni cosa rimase sospesa per ricominciare non prima del martedì seguente.
Da un punto di vista mediatico l’assassinio di Dallas fu seguito da una diretta non-stop di quattro giorni che segnò un vero e proprio primato nella storia televisiva, superato soltanto nel 2001 da quella successiva all’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York.
Immediatamente, attraverso le testimonianze della gente, si cercò di ricostruire l’accaduto; al passaggio del corteo presidenziale nell’affollatissima Dealey Plaza furono uditi tre spari ( forse quattro per alcuni testimoni), provenienti da una collinetta erbosa sul lato della strada; per altri (in maggioranza) furono invece sentiti provenire dal deposito di libri della Texas School.
Fu qui che al sesto piano, nascosto tra alcuni scatoloni, gli agenti trovarono un fucile modello Carcano 91 (di fabbricazione italiana) e, vicino ad una finestra che si affacciava sul luogo dell’attentato, due bossoli.
L’ operaio Lee Harvey Oswald risultò essere assente ingiustificato dal posto di lavoro: non fu messo tempo in mezzo e poco più tardi, in un cinema (dove era entrato senza pagare), Lee Harvey venne arrestato in qualità di sospettato per aver ucciso un poliziotto nelle ore successive all’attentato.
L’FBI aveva negli archivi un fascicolo già redatto su di lui: ex marine, trasferitosi in Unione Sovietica, poi rientrato negli USA, sposato ad una donna russa, tenuta anch’ella sotto osservazione da tempo per via delle sue idee marxiste.
Le impronte trovate sull’arma, compatibili con le sue, sembrarono incastrarlo definitivamente, anche se Oswald continuò a dichiararsi un «capro espiatorio». Non arriverà mai a dimostrare la sua tesi al processo: due giorni dopo l’attentato, durante il trasferimento alla prigione della contea, verrà assassinato da Jack Ruby, un gestore di night club vicino ad ambienti di potere legati alla mafia: una perizia medica lo dichiarerà peraltro affetto da turbe psichiche.
Questa è la verità ufficiale ricostruita soprattutto grazie ad un video amatoriale, girato dal sarto Abraham Zapruder: lo stesso sarà il punto di partenza di tutte le indagini sul caso JFK per fare luce sui fatti di Dallas dalla Commissione Warren, istituita da Lindoln Johnson, nel frattempo succeduto alla presidenza a Kennedy. Ma una larga parte dell’opinione pubblica disconoscerà tale risultato, optando per la teoria del complotto.
Numerose inchieste giornalistiche, la più autorevole delle quali appartiene al cronista Chris Plumley, suffragheranno questa tesi; studi successivi, in primis quello della United States National Academy of Sciences, invece, smonteranno buona parte delle prove tecniche del complotto, non riuscendo tuttavia a sgomberare il campo da indefiniti sospetti e molti dubbi sulla verità ufficiale.
Di fatto, le circostanze della morte del trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti, hanno fatto scorrere fiumi di inchiostro e di pellicola ma non sono mai state del tutto chiarite.
Nuovi elementi sono addirittura emersi qualche anno fa, nell’ottobre del 2017, quando tutti i documenti ancora coperti dal segreto di Stato, furono resi pubblici.
L’unica verità, storica o meno, è che con la morte di Kennedy (la cui rielezione era data quasi per certa dall’opinione pubblica), si chiuse un’epoca di nuovi e importanti cambiamenti sul piano della politica estera e di quella interna.
Indubbiamente, la morte di Kennedy faceva comodo a molti; alla CIA, alla mafia, a chi voleva bloccare la sua politica antirazziale, all‘FBI, ai ricchi produttori di armi. È certo, comunque, che il successore di Kennedy cambiò radicalmente linea politica, continuando il lavorio anti Fidel Castro, interrompendo qualsiasi dialogo con l’URSS, continuando la guerra in Vietnam, lasciando in pace la CIA e i banchieri statunitensi. E quando lo spettro di un nuovo Kennedy, Bob, si riaffacciò sulla scena della carica presidenziale, un nuovo omicidio chiuse la vicenda.
Tornano in mente le parole pronunciate da John Kennedy in un incontro pubblico: «Chi ha cercato stupidamente di ottenere il potere cavalcando la tigre, ha finito per esserne divorato». E J.F.K. che cercò di domare quelle tigri che volevano conservare il proprio potere, finì sbranato.
Ma da quel dolore qualcosa ne uscì rafforzato. Dopo gli spari di Dallas, dopo che tutto il mondo potè vedere Jacqueline che si sporgeva dalla macchina per recuperare ciò che restava di John Fritzgerald Kennedy, una parola divenne fulcro centrale delle nuove generazioni: la ricerca collettiva di una maggiore libertà, un’aspirazione al cambiamento, l’ intenzione, la volontà di stabilire nuove Frontiere. La medesima ricerca in cui erano già impegnate molte stelle del rock, del momento, da Bob Dylan in poi.
Da quel 22 novembre, Kennedy divenne per la musica popolare un simbolo composto in egual modo da dolore e speranza, ricordato e cantato in tanti dischi.
In questo giorno in sua memoria, vogliamo ricordarlo con questo brano: The Sound Of Silence, di Simon&Garfunkel, 1964.
Paul Simon lo ripeteva in tutte le sue interviste: in quei giorni di novembre di quel lontanissimo 1963, poco più che ventenne, egli era ancora alla ricerca del proprio stile, della propria strada. Poi, l’emozione per l’omicidio di Kennedy si trasferì in quella che è divenuta la sua composizione più celebre: sottovoce, lo scoramento di una nazione.
Tutto racchiuso in un attacco: «Hello darkness, my old friend...».